Artista Pop con oltre un milione di followers sui social, 37 anni, definito dal giornale The Guardian, il nuovo Michelangelo, Jago ha ottenuto un trionfale successo al Tribeca Film Festival di New York con il film intitolato Jago into the white, firmato dal regista indipendente Luigi Pingitore e distribuito in Italia da Nexo Digital.

Una storia intensa e toccante che racconta due intensi anni della vita dello scultore italiano Jago, dall'arrivo a Napoli fino al completamento della sua nuova scultura: una versione moderna e personale della Pietà. Isolato e immerso nel suo lavoro, Jago, nome d’arte di Jacopo Cardillo, nato ad Anagni, è l’ artista che ha inviato una scultura in marmo dal titolo The First Baby, raffigurante il feto di un bambino sulla Stazione spaziale Internazionale nel 2019 e autore l’anno successivo dell’istallazione Look Down in piazza del Plebiscito a Napoli che più tardi verrà poi trasferita nel deserto Al Haniya nell’Emirato di Fujaira.

La scoperta e la potenza di questo scultore contemporaneo che conquista le folle risiede nel fatto che non è solo un artista che si ispira ai grandi maestri del Rinascimento; è anche un grande comunicatore, un instancabile viaggiatore e un imprenditore che sfida le convenzioni dell'arte contemporanea, offrendo ai giovani una nuova prospettiva sull'arte.

La concezione di Jago per l’arte viaggia di pari passo con la vita e Il 20 maggio 2023, nel Rione Sanità a Napoli ha inaugurato nella chiesa di Sant’Aspreno ai Crociferi, lo Jago Museum e davanti a un pubblico di cinquemila persone ha presentato alcune tra le sue opere più note.

L’artista/protagonista del film iniziato poche settimane dopo la fine del primo lockdown e da lì per i tre anni successivi, per il regista Pingitore è una continua scoperta che si dilata con quella sua particolare energia che lo anima: “Con lui lì da solo che, giorno dopo giorno, ripresa dopo ripresa, cerca di vincere il suo incontro. Il percorso per arrivare alla statua diventa in questo senso molto più importante dell’opera stessa. Perché quella forma - La Pietà - non avrebbe senso se prima non ci fosse stata tutta quella fatica e tutti quei sacrifici, se non avessimo visto con i nostri occhi quei momenti di esaltazione e quelle giornate di scoraggiamento. Tutta la bellezza che arriva al pubblico è simile alla luce che ci arriva solo dopo molti anni dopo l’esplosione della stella”.

Per Jago, l’esperienza del film ha un significato molto profondo: “Vorrei che lo spettatore guardasse questo film con la consapevolezza che esso racconta anche un’altra storia. C'è la mia vita e la mia opera ovviamente, ma c'è anche la magnifica avventura che ha portato un regista in quattro anni a dar vita a un'opera nella più totale indipendenza. Creando, per un puro gioco del caso, un parallelismo con la mia storia di artista, che si è formata anch'essa nella solitudine, nella distanza dal Sistema Italia e con uno sguardo forgiato nel sacrificio. Into the white è quindi un viaggio condiviso, che per me è stato una magnifica lezione di scultura.

È per questo motivo che oggi sono animato da un senso di gratitudine, perché è raro in vita avere la possibilità di vedersi e conoscersi attraverso gli occhi di qualcun altro. Dal pubblico si impara moltissimo. L’emozione che si prova stando su un palco è unica e affrontare quel momento è un magnifico banco di prova, una scuola fondamentale. Chi è di fronte vedrà le proprie cose, avrà necessità di riconoscerle e io posso fare un’opera che poi si arricchisce dal punto di vista degli altri. La Pietà andrà a Roma a Piazza del Popolo a Santa Maria in Montesanto, la Basilica degli artisti”.

Per Jago ogni bambino dovrebbe avere un desiderio fondamentale e cioè ambire alla grandezza “e se noi riusciamo a fare tesoro di questo sentimento e ce lo portiamo dietro nella nostra quotidianità, senza farci condizionare, noi avremo realizzato il capolavoro della nostra esistenza”. E davanti alla contemporaneità esprime il suo pensiero: “Viviamo in un periodo storico in cui siamo bombardati di immagini ma il fatto di trasformare un’immagine in una forma scultorea, in qualcosa che ha un peso specifico, già vuol dire fissarla nella memoria collettiva e questo si deve continuare a farlo”.

Lo stilista Gianni Versace disse Perfino Michelangelo è stato pagato per la Cappella Sistina e a tutti gli artisti che sostengono che stanno facendo per amore dell’arte, voglio dire diventate realisti . A questa citazione Jago risponde: “Aveva ragione. È perché va di moda l’artista morto di fame con la testa fra le nuvole. Ma quando mai? È diventato così perché qualcuno ha pensato bene che occupandosi di lui poteva guadagnare. Guadagnano le gallerie, l’intermediario. Gli artisti invece devono essere liberi di potersi esprimere e investire in cultura. Devono formarsi, capire cosa significa economia, diventare dei manager, degli imprenditori di sé stessi. Io lavoro dalla mattina alla sera ed è un grande esercizio di pazienza”.

E davanti alla statua in marmo della sua Pietà guarda a un futuro lontano: “La cosa che mi interessa è che tra cento anni e non adesso chi sarà totalmente lontano anche dal significato della parola pietà, comunque riconoscerà qualcosa e vedrà un corpo, vedrà una mano e riconoscerà quello e racconterà la propria storia”.