Elisabetta Dotto fa parte di una lunga dinastia di albergatori ed è cresciuta dietro ai banchi degli hotel gestiti dalla nonna e dal padre, negli anni in cui si faceva la storia dell’hotellerie in Italia e all’estero. Dopo una miriade di esperienze nel settore turistico, si è trasferita a Cortina d’Ampezzo, dove ha realizzato il sogno di trasformare un’antica locanda in un fashion boutique hotel di successo.

Non paga, ha deciso di condividere con il pubblico, le esperienze di una vita elettrizzante nell’appena pubblicato Parola di locandiera (edito in versione italiana ed inglese), all’interno del quale si racconta senza filtri, così come nella nostra intervista e nell’estratto che proponiamo a proposito della sua vision nella progettazione d’albergo.

Inizio col chiederle cosa l’ha spinta a creare un’opera così pop ed elegante.

Volevo un libro appunto pop colorato che emergesse nel racconto con una forte presenza cromatica e di design L’obiettivo era anche quello di creare un contenitore un armonia con le mie “creature“.

Nel volume non risparmia racconti di gioie e dolori a proposito di un mestiere non facile. È stato arduo mettersi a nudo al cospetto dei lettori?

In effetti ho esposto aspetti di vita privata presente e passata come in una conversazione tra amici intimi, il mio intento era anche quello di raccontarmi per spiegarmi come persona. Sono così e così perché sono uscita e cresciuta in certi ambienti.

Che immagine spera dia di lei questo volume così variopinto?

Di un’albergatrice impegnata e appassionata.

Come si è mossa nelle scelte relative al ricco apparato iconografico, destreggiandosi nello scegliere le immagini maggiormente rappresentative?

Le immagini raccontano una storia un lavoro un risultato ho scelto quelle che potevano maggiormente rappresentate il percorso e la fatica per raggiungere tale risultato.

Posso chiederle quali sono gli eventi collaterali che organizzerà in merito e quali i progetti futuri?

L’idea è quella di fare un book tour in Italia e perché no in giro per il mondo, mi piace l’idea di incoraggiare con la mia storia ispirare o rassicurare le nuove generazioni che si affacciano al mondo dell’hospitality. Un mondo stupendo fatto di relazioni umane e sfide di empatia.

[…] Progettare un albergo è tutt’altro che semplice, non bastano le risorse finanziarie, richiede idee chiare, immaginazione, proiezione, creatività prima e messa in opera poi. Per non parlare della manutenzione e dell’aggiornamento rispetto a un concept creato che non è mai totalmente timeless, ma come le più classiche borse o scarpe must have del mondo della moda, ogni tanto va rinnovato parzialmente, spesso integralmente. Una delle sfide più difficili da soddisfare è il disegnare un luogo adatto al relax e allo svago, un luogo che favorisca i sogni e l’evasione dalla quotidianità, che permetta di mettere da parte problemi e ansie, almeno per un po’.

Per questa ragione come già accennato credo sia molto difficile trasformare un luogo di sofferenza come un ospedale o un manicomio in un hotel (c’è chi lo ha fatto), la sofferenza rimane intrisa in qualche modo tra le mura, le voci corrono e potrebbero non portare bene al progetto, far emergere ombre dal passato che la gente in vacanza o in viaggio per lavoro non ha alcuna voglia di incontrare. È abbastanza semplice riconoscere questi luoghi con corridoi lunghissimi, stanze piccoline e tutte uguali, la planimetria parla chiaro e in questi casi c’è poco da fare, almeno dal mio punto di vista. Come vi dicevo è molto importante per me sentire un luogo, percepire e far percepire poi al cliente vibrazioni positive, un’atmosfera piacevole e rilassata e ogni elemento, anche il più piccolo dettaglio, concorre solo e unicamente a soddisfare questo scopo. Ho visto gruppi finanziati spendere cifre immense in luoghi improbabili. Risultato: strutture imbarazzanti.

Per quanto riguarda le dimore storiche riadattate al discorso appena fatto, i monasteri possono considerarsi un’eccezione, perché legati alla meditazione e alla preghiera, all’isolamento dal mondo e dalla protezione, che in certi casi sono sentimenti e sensazioni che si addicono perfettamente un hotel di vacanza. Sono luoghi che ti portano naturalmente in un’altra dimensione e molti di essi sono diventati cinque stelle di lusso, mantenendo la struttura originaria, anche perché la legge italiana, giustamente, tutela questi luoghi e anche quando vengono convertiti ad alberghi, pretende che ne venga rispettata e preservata la struttura. I migliori hanno giardini botanici stupendi, dove si sente ancora (chi riesce a farlo) l’eco di canti angelici dei monaci o di suore di clausura.

I luoghi dove c’è stata l’arte, la storia, la meditazione spesso vengono positivamente riconvertire questa conversione genera poi un’anima positiva. L’albergo ideale potrebbe essere ricavato da una bella villa, un fienile, una dimora d’epoca, un palazzo del centro, una chiesa importante o una cascina di campagna Le opzioni sono molte, ma tutte accomunane dall’aver costituito la cornice per la vita delle persone e averne conservato la memoria.

[…] Ho colto prima di altri la sinergia tra moda e hotel a partire da una naturale inclinazione. Un trend che nel tempo si è affermato e consolidato dando vita a intere catene di hotel che portano in insegna un brand legato alla moda, solitamente nelle grandi città in cui passa tanta gente e resta colpita da questo binomio, e indirettamente si incuriosisce e si affeziona non solo a un brand, ma al mondo che quel brand offre.

L’hotel diventa così ambassador del brand. Si potrebbe dire che il mio brand sono io, al di là delle insegne che ho creato. Spesso sento dire “gli hotel di Elisabetta”, proprio seguendo questa idea che ho cercato di condividere anche se molto personale e non facile da tradurre in parole. Si può razionalizzare il processo, ma c’è anche un elemento di imponderabile follia e ispirazione che viene dal cuore e di cui vado fiera.

Gli alberghi sono teatri del bello in cui si va continuamente in scena. Un hotel bello richiamerà persone belle e se al bello non si comanda e non c’è mai fine alla bellezza, lasciamoci trasportare da questa piena e cogliamo la meraviglia negli occhi di chi entra per la prima volta negli spazi che abbiamo progettato e si stupisce, si emoziona, attraverso un certo luccichio negli occhi rende evidente il fatto che “era proprio il posto in cui ho sempre sognato di andare”.

Ecco in quei momenti, nonostante la stanchezza, i tragitti in auto di notte su e giù tra la laguna di Venezia e le Dolomiti, non sento la stanchezza e mi sento ripagata di tutto. E sono felice.