Imparare la grammatica è uno scoglio durissimo per i bimbi della scuola primaria (e non solo). Un po’ tutte le generazioni l’hanno considerata una materia astratta, puramente mnemonica e priva di qualsiasi finalità che non fosse quella di accaparrarsi un bel voto dall’insegnante: questo perché molto spesso si tende a presentarla proprio in questo modo, con un approccio vecchia maniera fatto solo di tabelle di verbi, pronomi ed eccezioni ortografiche. È un po’ la visione emblematicamente espressa dall’aforisma di Pitigrilli quando la definisce “complicato strumento che ti insegna le lingue ma ti impedisce di parlare”. Attenzione, non dico che insegnarla con tale metodologia sia sbagliato tout court ma questo sistema andrebbe sempre dosato alternandolo con qualche cosa di un po’ più accattivante, soprattutto per un bambino.
Innanzitutto mi pare giusto ricordare che certe espressioni le si impara con l’uso corretto e con la pratica ed ecco perché i veri maestri di grammatica dei pargoli sono e rimangono i genitori: storpiare le parole con vezzeggiativi e diminutivi stralunati per accattivarsi (?) i piccoli o inventare di sana pianta nomi o espressioni, oltre a rendere ridicoli gli adulti novelli nomoteti, serve a creare confusione e a generare errori difficilmente correggibili in chi li sente. Si cominci a parlare correttamente l’italiano in famiglia e il gioco sarà in parte completato; e non a caso ho detto ‘italiano’: in una realtà multilinguistica come la nostra non è per nulla scontato che lo si conosca bene e se l’unica parlata condivisa in famiglia fosse ad esempio il dialetto, che si parli dialetto e non ci si preoccupi d’altro. Ci penseranno i compagni di giochi e la scuola a ripartire da zero con l’italiano e se da un lato ci andrà più tempo per la formazione di un vocabolario nutrito, il vantaggio finale del piccolo discente sarà doppio, ritrovandosi bilingue senza essersene accorto.
Ma ritorniamo al problema dell’apprendimento delle cose noiose (o ritenute tali) come la grammatica o lo studio delle poesie a memoria: uno degli strumenti utili per fissarle meglio nella mente è senz’altro la musica (parola di musicista). Una cosa cantata rimane in testa molto prima di una cosa letta e riletta mille volte: senza andare troppo nel complicato o nello stravagante (come mi divertii a fare con la simpatica Io non ho nulla da dire di Marino Moretti) trasformare la lunghissima ma regolarissima Marzo 1821 o il primo coro dell’Adelchi di Manzoni in ballate alla Brassens le renderà decisamente più fruibili e accattivanti e soprattutto più memorizzabili.
La musica è strumento utile altresì per lo studio delle grammatiche in genere: per apprendere l’inglese ad esempio non c’è nulla di meglio che impratichirsi con la pronuncia di Paul McCartney o di Greg Lake e di gettarsi a capofitto sui testi di una classica ballad per comprenderne il significato. Non ci andrà molto a capire cosa è grammaticalmente corretto e cosa è slang (ecco intervenire la grammatica in modo comparativo) ma in ogni caso si avrà un avvicinamento concreto e rapido al mondo dipinto dalle parole di quei brani. Nel caso dell’italiano si pensi poi a che cosa può insegnare un brano (qualunque) tratto dal repertorio di De Andrè: vocaboli desueti, pronuncia impeccabile, contenuti che abbracciano un panorama culturale a tutto tondo, strutture sintattiche complesse.
Nel corso di un programma di insegnamento questo artificio può essere utilizzato nelle scuole secondarie e risulta indubbiamente funzionale; va da sé che la competenza del docente debba veicolare un ascolto rivolto a quei testi di norma irreprensibili nella loro forma di scrittura: per quanto possa stimare Freak Antoni, difficilmente sottoporrei un testo degli Skiantos ai miei alunni.
Un po’ diverso è il discorso per i più piccoli: nella scuola primaria il rapporto che si viene a instaurare tra la grammatica e la musica deve basarsi soprattutto su riferimenti testuali precisi e mirati. Un ragazzo può arrivare a comprendere deduttivamente una struttura grammaticale estrapolandola da una frase che non necessariamente parli di quella struttura grammaticale. Per i bambini invece è meglio ricorrere a canzoni nate proprio con lo scopo di risolvere dubbi: grande successo ha avuto ad esempio quella sul congiuntivo di Lorenzo Baglioni o la vecchia Che pasticcio la grammatica del Piccolo Coro dell’Antoniano.
Con un po’ di dimestichezza con i versi e con la musica un maestro può tentare la scrittura di una sua personale canzone partendo da un argomento (gli accenti, le eccezioni, gli apostrofi, i pronomi relativi…) e cantilenando un po’ di frasi su un semplice giro armonico. La cosa può sembrare impossibile ma vi assicuro che non lo è: sull’orma dei grandi autori del passato mi sono divertito a scrivere la mia canzonetta a mo’ di esempio che ho intitolato provocatoriamente A me mi piace dire. L’idea espressa dal testo è quella di far confessare a una bambina che crea molti meno problemi (soprattutto di inclusione) utilizzare un linguaggio corretto rispetto alle solite sgrammaticature tanto in auge tra gli scolari. Per far questo ho collezionato un po’ di luoghi comuni e di espressioni in voga tra i più piccoli come ‘a me mi’, ‘ma però’, ‘non mi oso’ e ho confezionato loro attorno una storiella che ho poi fatto cantare a mia figlia Benedetta. Buon ascolto.
Adesso vi racconto tutto quello che ho sentito
a scuola stamattina dalla mia compagna Ste;
mi ha detto che si dice: “È nevicato o è grandinato”
Io proprio non ci credo: tutto ciò non fa per me.
A me mi piace dire ‘ma però perché è più meglio’;
lo dico alla maestra ma non penso capirà.
A me mi piace dire ‘io speriamo che mi sveglio’:
lo so che non va bene ma è più facile così.
Qual è non ha l’apostrofo perché ne ha perso un pezzo:
la chiamano eccezione e pure in lei c’è zia, zio, ziu.
Ho detto alla vicina: “Dillo te che non mi oso”
“Si dice ‘Io non oso’. Il tè si beve e fallo tu!” ma
anche in geometria lo confesso ho qualche dubbio:
mi han detto che le righe sono rette o giù di lì.
“E quando son vicine” ha domandato la maestra
“son rette pa… pa… pa…”
“Pacifiche?”
Da come mi ha guardato penso che non sia così.
A me mi piace dire ‘ma però perché è più meglio’;
lo urlo alle mie amiche che sorridono di me.
Però quando io dico ‘io speriamo che mi sveglio’
mi fa rabbrividire ma è più facile così.
Da qualche giorno penso che qualcosa non funzioni:
sarà l’effetto serra, sarà il caldo o non lo so!
Mi sento un po’ osservata, sono al centro di attenzioni,
di occhiate, ammiccamenti. Adesso basta: cambierò!
Con calma (mi son detta) voglio mettermi d’impegno:
mi studio tutto il libro di grammatica così
saprò tutte le regole. No, no, non mi rassegno
le scrivo, me le stampo e poi le salvo sul PC!
A me non piace dire ‘ma però perché è più meglio’;
è assurdo veramente e anche stupido perciò
se non lo studi a fondo non capisci che è uno sbaglio
adesso l’ho imparato e non me lo scorderò,
adesso l’ho imparato e non me lo scorderò.