Il disco d'esordio dell'ex iohosemprevoglia, una “mappa umano/sonica” sincera ed emozionante. Canzone d'autore intrisa di rock per il musicista pugliese che riflette sul rapporto tra massa e individualità.

Vittorio Nacci nasce a Monopoli, in Puglia, nel 1985. Da adolescente, dopo aver militato da chitarrista in formazioni punk-hc della sua zona, comincia a scrivere per sé. Frequenta il CET-Centro Europeo Toscolano di Mogol e si diploma come autore, poi ne diventa assistente alla docenza.

Nel 2003 mette insieme gli iohosemprevoglia, autori di diversi EP, due album e un’intensa attività live nazionale (arrivando a suonare sul Mambo Stage dello Sziget Festival di Budapest). Nel 2012 viene selezionato con la band per il 62° Festival di Sanremo, nella sezione nuove proposte, raggiungendo il secondo posto. Ne conseguono un contratto con Sony Music, un disco omonimo e l’entrata nel roster di Sony/ATV come autore. Successivamente pubblica il libro di racconti La mandria umana (CSA Editrice) e parallelamente all’attività della band produce progetti della scena pugliese.

Tra il 2022 e il 2023 scrive, arrangia e registra nel suo studio Il Bisonte (NOS Records), la cui produzione è stata seguita da Orbita Dischi. A fine 2023 partecipa con Francesco Bianconi, Cesare Basile, Mauro Ermanno Giovanardi e altri a Stagioni, disco tributo per i 30 anni di carriera dei Massimo Volume pubblicato sempre da NOS. Il 29 febbraio 2024 esce il primo singolo Il Bisonte, il 22 maggio il secondo Stai qua, il 20 giugno l'album Il Bisonte.

Tra la mandria e la solitudine. Il Bisonte sembra partire proprio da questo dissidio, è corretto?

Più che un dissidio lo definirei un circolo con due apici. Sono i grandi bisogni ma anche i grandi tormenti dell’uomo (di oggi, di ieri e ancora di più di domani). Cerchiamo gli altri, li portiamo in noi, con noi nel viaggio, ma sentiamo sempre una enorme attrazione verso alcune solitudini ristoratrici. Come se ci servisse di spegnerci, per ricaricare la nostra socialità. Questo aspetto, inutile dirlo, è stato calcato dall’avvenimento pandemico. Quanto ci ha tolto, ma quanto ha insegnato a chi ha voluto o saputo leggersi?

Hai fatto parte per tanti anni di un gruppo, ora fai tutto in proprio. Quali sono i vantaggi di agire nella band e quali quelli del percorso solitario? E i contro?

Sono assolutamente uno da band. Anche in questo disco, seppur solista, ho voluto accanto a me i miei amici della “banda” (come mi piace chiamarla). Nella dimensione live anche, cerco la dimensione da band e ascolto prevalentemente le band. I vantaggi a mio avviso sono molteplici ma su tutti c’è l’aspetto delle teste differenti. La percezione di ognuno sul lavoro, il tocco, l’interpretazione, credo siano tutti elementi che arricchiscono il patrimonio del lavoro finale. Credo siano tutti pro.

Certo, avendo militato in banda per vent’anni (e più, se teniamo in conto gli anni delle band adolescenziali), c’è tutta la questione delle sporadiche divergenze proprio sulle scelte artistiche o di direzione del concetto. Bisogna che tutti abbiano come obiettivo la valorizzazione dei pezzi, del progetto. Che tutti vadano nella stessa direzione. Ecco, questo non è per niente facile. Tenere tre, quattro o cinque teste coese, non è una passeggiata (ma può portare a enormi e importantissimi insegnamenti).

Dietro ogni azione c'è sempre una motivazione, anche lontana. Con le canzoni ancora di più. Quali storie ci sono dietro la genesi dei tuoi brani?

Tempo fa mi è capitato di guardare un documentario nel quale si mostrava una mandria di bisonti che, seguendo senza senso apparente il bisonte capo attaccato da un predatore, come in uno stormo in formazione, finiva per intero nel dirupo di un canyon. La drammaticità di quel tuffo collettivo e la sua devozione totalizzante mi sconvolgono ancora oggi. Questi animali sono capaci di grandi solitudini e al contempo di un acuto senso della protezione. Famigliare e personale. Non importa a quale costo.

Alla fine della chiusura per la pandemia ho avuto la sensazione di aver disimparato gli esseri umani. Vivo in campagna, in collina, ho vissuto quei mesi solo coi miei tre cani. Seppure fosse un momento di enorme difficoltà collettiva, la sospensione del tempo e la fortuna che ho avuto di poter camminare per boschi, hanno affilato il mio desiderio di silenzio assuefacendomi. Non c’è nulla di spirituale in questo, solo è stato come tornare a una dimensione letargica, fatta di innumerevoli microscopiche consapevolezze di sé, ma anche dei limiti terrestri ai quali si accompagnano. È così che può capitare di sentirsi soli con gli altri e meno con sé.

Nel 2016 hai scritto un libro di racconti, anche in quel caso con un titolo familiare: La mandria umana. Ci sono affinità o divergenze tra scrivere canzoni e racconti?

Per quanto riguarda la mia raccolta di racconti si può usare una metafora: è come se fossero gocce provenienti da laghi diversi, eterogenei, ma con il comune denominatore della mancanza. Per Il Bisonte (disco), invece, le gocce hanno la provenienza dello stesso sconfinato mare, quello delle solitudini. Sono solitudini utili, a volte addirittura splendenti, altre ancora fatte di nostalgie, ma anche di forza propulsiva; si mescolano nell’umana cassa toracica e restituiscono salinità. Accedervi non è stato facile.

Proviamo un identikit di Vittorio ascoltatore. Quali sono i nomi di artisti o gruppi che ti hanno segnato, senza i quali non sarebbe mai uscito Il Bisonte?

Ho ascoltato moltissimo i Twain. Progetto sconosciuto nel nostro territorio e che consiglio enormemente. Soprattutto i dischi Rare Feelings e Noon. Ma anche Fleet Foxes e Kurt Vile. Nella mia genetica italica invece prevalgono Flavio Giurato, Lucio Battisti, ma anche gli Alunni del Sole.

Hai avuto anche un'esperienza al CET di Mogol, è stata utile?

Decisiva! Non avevo direzione nella scrittura pre-Mogol, lui mi ha insegnato a veicolare il mio dire. Ma anche il dire degli altri.

Anche se hai una lunga attività alle spalle, cominciare da soli non è semplice: a chi si rivolge il disco?

Il Bisonte è per chi vuole sentire ascoltando. Il dono dell’attenzione e/o dell’ascolto è virtù rara, a costo di risultare datato, ho voluto rallentare senza badare al classico “Ei, questo funziona, questo no allora scartiamolo”. Quello che avevo da dire credo di averlo detto. Chi leggerà, chi ascolterà e poi criticherà criticamente, voglio si domandi se non vale la pena di amare come i cani o continuare a fare tutte quelle nostre cose stupide con la grazia di un bisonte.

Il Bisonte è un'esperienza confinata allo studio o ti vedremo anche sul palco?

So di poter risultare anche in questo troppo radicale, ma credo moltissimo nella filosofia battistiana. Mi piacerebbe essere ascoltato, valutato, criticato per le mie idee, per come sono state messe insieme e miscelate. Non credo molto nel valore della riproducibilità dal vivo, magari dovendo improvvisare malamente un ruolo da anchorman, stand-up comedian o intrattenitore. E lo dico da amante e grande frequentatore dei live (soprattutto di band, vedi sopra). La dimensione dal vivo vorrei praticarla, ma con grande attenzione all’esecuzione e solamente negli ambienti che mi permettano di rendere efficace la mia idea, quello che sto dicendo. Mi rendo conto, è utopico, ma come diceva uno che stimo: la comprensione è un’utopia come l’anarchia ed è per questo che va ricercata.

Silvio Pellicano: basso Onny Allegretti: batteria Andrea Loliva: sintetizzatori e piano elettrico Giovanni Longo: sax. Testo, musica, arrangiamenti, riprese: Vittorio Nacci.