Ormai è quasi impossibile sfuggire ai meme, e chiunque sia connesso a Internet ne fa esperienza quotidiana: compaiono nelle bacheche dei social network, nei siti web, nelle pagine dei quotidiani e nelle trasmissioni televisive. È ormai evidente che siamo di fronte a un fenomeno comunicativo che non può essere banalizzato, in quanto i meme hanno ormai un ruolo fondamentale nella narrazione degli eventi del nostro tempo.
Ma che cos’è esattamente un meme? Se volessimo darne una definizione, potremmo dire che esso è “un oggetto culturale, generalmente scherzoso, che acquista valenza nell’essere trasmesso online”. La definizione è di Davison, e risale al 2012. In realtà, il termine “meme” appare per la prima volta nel 1976 con il biologo Richard Dawkins nei suoi studi sui geni umani, e deriva dal greco Mímēma, ovvero “qualsiasi cosa sia imitata”. Come i geni si diffondono nel corredo genetico passando da un corpo all’altro, così i meme si trasmettono da cervello a cervello, in un processo di continua evoluzione.
Un meme può assumere diverse forme – una immagine, un video, una gif, una base musicale – che si diffondono attraverso internet grazie al contributo degli utenti e alle variazioni che questi introducono nelle forme originarie con le loro rielaborazioni.
Il meme si caratterizza per la velocità con cui si trasmette: quello che lo distingue dagli altri contenuti virali, che si diffondono sempre uguali a loro stessi, è il fatto di modificarsi nei vari passaggi, grazie proprio alla creatività e alla fantasia degli utenti. La diffusione dei meme si basa sulla cultura del remix in un processo che, di fatto, potrebbe durare all’infinito e che è sempre difficilmente prevedibile, basandosi su una molteplicità di fattori. Di solito, si possono enucleare due livelli di significato: uno che fa riferimento a un elemento della cultura pop già presente nell’immaginario collettivo, mentre il secondo è legato a un fatto di cronaca, diffusosi nei media.
Uno dei periodi di maggiore produzione memetica degli ultimi anni è stato sicuramente quello della pandemia da Covid-19, quasi che la metafora della viralità, dal piano simbolico, divenisse quanto di più sinistramente reale si potesse immaginare. Si tratta di un fenomeno che ha interessato tutto l’ecosistema mediale.
La narrazione della pandemia è cominciata ben prima delle fasi concitate del lockdown e della consapevolezza dell’arrivo del SARS-CoV-2 in Italia, contribuendo anche a far diventare le persone consapevoli rispetto a quanto stava accadendo. Si può citare a questo scopo l’emergere del primo caso di infezione da Covid-19 a Roma, con una coppia di turisti cinesi che viene ricoverata presso l’ospedale per le malattie infettive Spallanzani (30 gennaio 2020), dall’altro l’individuazione del primo positivo italiano a Codogno (21 febbraio 2020).
Mentre il lockdown si avvicina al nostro Paese, la produzione dei meme si concentra su temi legati alle difficoltà personali, come l’approvvigionamento, dovuto dalla scarsità di prodotti quali il lievito, la farina, la carta igienica. Quando poi vengono messe in atto le chiusure, la sopravvivenza durante il periodo di chiusura forzata, con le conseguenze derivanti dalla convivenza nello stesso nucleo abitativo, e le preoccupazioni diffuse rispetto all’aumento di peso legato all’eccesso di consumo di cibo e alla mancanza di attività fisica, diventano aspetti più centrali.
Il racconto della vita quotidiana durante il lockdown si è sviluppato intorno ad alcuni nuclei tematici più ricorrenti e al centro dei flussi comunicativi più popolari. Il cibo è stato uno dei principali protagonisti di questa narrazione, coniugato in diverse declinazioni: dalla mancanza di alcuni ingredienti, come la bustina di lievito, che attraverso la celebre espressione «il mio tesoro» del Signore degli anelli diventa motivo di esagerate reazioni possessive, di cui il personaggio Gollum è l’emblema, alla ironia (sapientemente costruita) sui prodotti che sembra non volere nessuno, come le penne lisce.
Durante la pandemia si è assistito a un proliferare di meme che hanno sicuramente influito non solo sull’immaginario collettivo, ma talvolta sui comportamenti stessi delle persone. Basti pensare al caso della birra Corona, che è stata protagonista di molti meme a causa dell’assonanza tra il suo nome del prodotto e il virus. Questo non solo ha portato a un crollo delle vendite della bevanda, ma la cui proprietà si è dovuta anche esporre pubblicamente per smentire i legami tra la birra e il Coronavirus.
Tutto questo ci permette di ritornare a quanto affermato inizialmente: il fenomeno dei meme non deve assolutamente essere sminuito, in quanto fa ormai parte dell’immaginario e della narrazione collettiva. Parafrasando la frase di Boromir, il personaggio del Signore degli Anelli diventato protagonista di moltissimi meme, si può concludere questo articolo scrivendo “it’s not simply a meme!”.