Esiste una convinzione secondo la quale le mafie non ucciderebbero donne e bambini.

In molti si auto convincono, forse per istinto di conservazione, che le dinamiche mafiose si consumino all’interno delle loro cosche, che per essere al sicuro dalle mafie basta non avvicinarsi all’entrata del loro club.

Purtroppo però questa visione tralascia un elemento importante: i mafiosi non hanno una “M” appesa addosso e una volta contaminatisi con quel mondo, è difficilissimo riuscire a uscirne.

E non importa se sei donna o se sei un bambino, la mafia non distingue per sesso o per età.

Che sia per nascita o per amore, molte donne sono state uccise dalle mafie senza aver commesso alcun reato e senza avere alcuna colpa.

Lea Garofalo fu uccisa dall’ex compagno Carlo Cosco perché scelse di allontanarsi dalla famiglia con la figlia Denise.

Rita Atria, figlia di un boss mafioso, si suicidò a 17 anni alla notizia della morte di Paolo Borsellino, colui che aveva promesso di proteggerla dopo la decisione di testimoniare contro i killer del padre e del fratello.

Maria Concetta Cacciola, sposata con Salvatore Figliuzzi, affiliato alla ndrangheta, fu uccisa dalla famiglia in quanto sospettata di avere una relazione extraconiugale.

Angela Costantino fu uccisa a causa di una relazione extraconiugale avvenuta durante la detenzione del marito, affiliato alla ‘ndrangheta.

Santa Puglisi, figlia di Antonio Puglisi, capo di una famiglia mafiosa, fu uccisa mentre pregava davanti alla tomba del marito.

Marcella Di Levrano fu uccisa dalla Sacra Corona Unita dopo essere diventata testimone di giustizia.

Sono solo alcuni dei nomi delle donne che sono morte solo perché compagne di uomini di mafia, intrappolate in matrimoni da cui non riuscivano a scappare o perché hanno trovato il coraggio di denunciare, spesso spinte dall’amore profondo per i propri figli.

Qualche settimana fa ho avuto occasione di cenare con Marisa Fiorani, madre di Marcella Di Levrano, uccisa dalla Sacra Corona Unita a soli 26 anni.

Marcella entrò in contatto con la Sacra Corona Unita per problemi di dipendenza dalla droga, che la portò a frequentare ambienti malavitosi. Solo dopo aver scoperto di essere incinta, decise di uscire da quel giro e di raccontare alle forze dell’ordine tutto quello che aveva visto, di fare i nomi delle persone che aveva conosciuto in quell’ambiente tossico e criminale.

Divenne così un personaggio scomodo e ne pagò le conseguenze: il suo corpo fu ritrovato il 5 aprile dello stesso anno con il viso completamente sfigurato, come da codice della Sacra Corona Unita.

Marisa dedica la sua vita alla memoria della figlia, partecipando ad eventi, congressi, andando nelle scuole a parlare di mafia.

Lei, come tanti altri famigliari delle vittime di mafia, trova così la forza di sopravvivere a un dolore inimmaginabile.

Ho scoperto però un’altra cosa che mi ha profondamente colpita.

Poco tempo fa ho cantato davanti a Marisa una canzone che ho scritto per Lea Garofalo, al termine dello spettacolo Marisa esclama: “mercoledì lo dico a Cosco che hai scritto una canzone su Lea e Denise”.

Non capisco, e subito mi racconta che da qualche tempo trascorre tutti i suoi mercoledì in carcere a parlare con assassini, mafiosi, uomini colpevoli di reati terribili.

Si incontrano e si raccontano, una condivisione del rispettivo dolore, un tentativo di comprendere cosa succede dentro la mente di una persona, a capire cosa la porta a diventare un assassino, una “non persona”.

Lei sviscera lo strazio causato dalla morte della figlia, i detenuti confessano le ferite profonde che hanno annullato ogni ponte emotivo, alcuni di loro non ricordano quante persone hanno ucciso, altri non parlano, si sono persi dentro sé stessi.

Marisa mi racconta commossa di un mafioso che si trovò, appena tredicenne, ad impugnare la pistola e uccidere un uomo per ordine del padre, e di un ragazzo che fu costretto ad uccidere l’amico più caro, per sottostare alle dinamiche di potere interne alla famiglia.

Mi racconta di abbracci e lacrime, tappe di un percorso di redenzione e di cura. Guardo i suoi occhi e vedo una sincera compassione, non vedo odio né risentimento.

È veramente riuscita a perdonare? Analizzare la genesi di un male profondo che porta a compiere delitti scellerati, la aiuta a darsi pace?

Legge le lettere che alcuni ragazzi delle scuole medie hanno scritto per Marcella e si commuove, poi mi dice: “sai, per alcuni uomini non c’è redenzione, ma alcuni sono diventati così a causa di un male profondo, che li ha fatti diventare inumani”.

La mia prima reazione è di sgomento: non posso provare compassione verso questa gente, sono degli assassini.

Continuo però a pensare a quel ragazzino costretto ad ammazzare un uomo “perché così il papà non va in galera” e mi squarcio in due, penso che se Marisa può perdonare, io sicuramente posso fare lo sforzo di capire.

È difficile parlare di mafie senza provare repulsione ed odio, un mafioso è un mostro che ti tende la mano e cerca di risucchiarti nel suo mondo.

A volte penso che però ci concentriamo troppo sugli assassini, e poco sulle vittime. Ci lasciamo consumare dall’odio verso i carnefici invece di pensare alle vittime, conosciamo i nomi dei boss ma non conosciamo i nomi delle persone uccise.

Come disse Enza Rando in occasione del processo sulla scomparsa di Lea Garofalo “Dobbiamo essere in tanti, in questi i processi gli imputati sono supportati da moltissimi amici e parenti, mentre le vittime sono sole. Non deve più accadere. Noi siamo più di loro”.

Lea Garofalo diventò così simbolo dell’antimafia, diventò un nome da ricordare.

Nessuno si ferma mai a pensare che se sei figlia di un mafioso hai già il destino segnato, che cresci senza qualcuno che ti aiuti a distinguere il bene dal male e solo quando sei adulta ti ritrovi a realizzare di essere in trappola, una trappola dalla quale è difficilissimo uscire.

Oppure dentro di noi c’è un sentimento profondo di negazione, lo stesso che ci porta a chiedere a una donna come fosse vestita quando è stata stuprata, in fondo se l’è cercata, se si è sposata un mafioso.

Forse in fondo colpevolizzare le vittime ci consola in qualche modo, ci aiuta a trovare un senso a queste morti assurde, perché ci porta erroneamente a pensare che se non avessero compiuto determinate azioni non sarebbero morte.

Ci aiuta ad allontanare la paura: se noi non commettiamo quelle azioni non saremo vittime, saremo al sicuro.

Su internet c’è un elenco, curato dall’associazione Libera Contro le Mafie, che raccoglie i nomi ad oggi conosciuti delle vittime innocenti delle mafie.

Ci sono uomini, donne, bambini. Persone senza alcuna colpa, persone innocenti.