Leggendo un testo può capitare di imbattersi in un vocabolo di cui si ignora l’esistenza e, nella maggioranza dei casi, si passa oltre e non ci si interroga sul suo significato. Quella parola sarà per sempre inesistente nella nostra memoria non avendo noi concessole il tempo necessario per un approfondimento.

È da questa osservazione che sono partito per sviluppare un piccolo progetto didattico destinato (non solo) ai più piccoli: sottoporli alla lettura di una storia semplice che contenga al suo interno parole difficilissime. L’adulto quando si rivolge ai bambini tende purtroppo a semplificare sia i concetti sia la scelta dei termini, fino alla stupidità della storpiatura dei vocaboli con gli infanti. Ci si dimentica che la memoria del bambino è viva e in grado di assorbire con velocità le cose nuove, e che un vocabolario personale si forgia soprattutto a quell’età. Perché non approfittarne? Di seguito i punti chiave che ho seguito per la realizzazione della mia idea.

Esiste tra le figure retoriche, la catacresi, parola difficile per esprimere il significato di un termine o di un’espressione quando esso va oltre rispetto a quanto si è abituati a intenderlo. Se si dice ‘gambe’ viene in mente qualche cosa di preciso che è molto differente dall’espressione "gambe del tavolo", non essendo queste ultime gambe vere e proprie. Diciamo, per generalizzare, che spesso ci sono cose che non hanno ancora ricevuto un nome che abbia attecchito tra la maggioranza e quindi ci si gira un po’ intorno in questo modo.

Il concetto è affascinante ma ancor più lo è questo ragionamento filosofico: le cose che non hanno nome esistono ugualmente? Mi pare abbastanza evidente rispondere di sì, anche in virtù dell’esistenza della catacresi o di una semplice perifrasi; e dato che esistono le cose senza nome esisteranno pure quelle di cui non so il nome. Però quando leggo un termine di cui ignoro il significato come faccio a sapere se questo esista e se esista ciò che dovrebbe denominare?

Se non si dispone di un vocabolario ci si può solo fidare e sperare che nessuno si stia burlando di noi. Per riprendere quanto detto, da insegnante di italiano la soluzione che mi sento di suggerire è che, per non avere problemi, quello che conta è imparare con metodo e costanza una grande quantità di parole nuove così da arricchire il nostro scarno vocabolario personale.

Ed eccoci arrivati all’idea della storia semplice: qualche anno fa provai a fare un esperimento utilizzando mia figlia come cavia che, al tempo, frequentava la terza elementare. Per migliorare la sua dizione, trascinando lei un po’ le fricative in genere, creai una storiella la cui trama era composta solo con parole molto complesse da pronunciare e delle quali la mia povera Benedetta non poteva certo conoscere il significato.

Eccola:

Un esicasta, influenzato da un amico acemeta, sfruttò la scepsi per costruire una sua teodicea. L’omiletica di cui era padrone unita alla parresia, lo condussero a un apotegma innalzandolo a padre dioratico. Con l’eucologia diede vita a nuove icastiche ipotiposi e visse in cratisi.

Le dissi che per prima cosa doveva leggere molte volte il testo scandendo bene tutti i suoni (a vantaggio dell’ortoepia e della dizione); poi, che in mezzo a tutti i vocaboli astrusi utilizzati, uno era inesistente: va da sé che per scoprirlo fosse necessario cercare una per una tutte le parole sul dizionario.

Il giochetto piacque a tal punto che nell’arco di pochi giorni la storiella mi veniva ripetuta a memoria e sciorinata come uno scioglilingua e questo mi convinse a proseguire ancora in un’altra direzione: la convertii in canzone così che alla difficoltà legata alla pronuncia si unisse anche quella della scansione ritmica. Fu così che nacque Parole difficili, primo nucleo tematico di una serie di brani scritti con finalità didattiche ed educative a dimostrazione di come da un’idea strampalata di scrittura creativa si possa ricavare un vantaggio per l’apprendimento, la pronuncia, la ritmica, la curiosità in genere. Non rimane ora che scriverne altre.

Per chi fosse interessato alla ‘parafrasi’ della storiella, questa è la sua riscrittura con parole semplici (il lemma inesistente è l’ultimo):

Un monaco, influenzato da un suo amico bizantino appartenente a una comunità che si era imposta di dormire il meno possibile per riuscire a lodare meglio il Signore, sfruttò un metodo di ragionamento che si basava sul mettere in dubbio un po’ tutto per costruire una sua teoria che mettesse in relazione la giustizia di Dio e la presenza del male nel mondo. L’arte della predicazione di cui era padrone unita alla sua franchezza nell’esprimersi, lo condussero a formulare una massima innalzandolo a una sorta di autorità in grado di gettare uno sguardo contemplativo sulle cose. Con lo studio delle preghiere diede vita a elaborazioni ben definite rappresentate tramite immagini e visse in [?]