Villa Orrigoni Menafoglio Litta Panza è una dimora storica situata a Varese, più precisamente nel quartiere di Biumo Superiore, ed è nota, anche fuori dai confini nazionali, per la sua collezione di arte contemporanea. Dal suo nome si possono evincere le famiglie che, negli anni, l'hanno abitata. Ma procediamo con ordine e cerchiamo di capire la storia di questo luogo.

Il marchese Paolo Antonio Menafoglio, nella seconda metà del ‘700, acquistò delle proprietà sulla collina di Biumo Superiore dalla famiglia Orrigoni allo scopo di avere una “villa di delizia”, che godesse di una vista panoramica. Il progetto consisteva in un'abitazione di tre piani a forma di U che si apriva verso un ampio giardino di trentatré mila metri quadri. Come testimonia lo scarso spazio riservato alla servitù, la villa non era pensata come luogo di residenza della famiglia, ma come scenario per ricevimenti e feste mondane.

Nel 1788 i Menafoglio, a causa di problemi economici, vendettero la casa a Benigno Rossi. Nel 1823 cambiò nuovamente proprietario, diventando parte del patrimonio del milanese Pompeo Litta Visconti Arese. Egli decise di ampliare la dimora e incaricò l'architetto Luigi Canonica, noto al tempo per essere “l'architetto di Napoleone”. In soli tre anni, dal 1829 al 1831, Canonica trasformò la “villa di delizia” in una vera e propria dimora signorile.

L'architetto ricavò una piazza di fronte all'edificio per sottolineare l'ingresso principale, trasformò i rustici in nuove scuderie dotate anche di rimesse per carrozze e disegnò l'importante sala da pranzo detta “salone impero”. Quest'ultimo era un nuovo edificio di un piano, a pianta rettangolare resa ovalizzata dalle colonne poste agli angoli. Per questa sala curò anche il disegno del pavimento e di molti arredi presenti, inclusa la stufa.

Alla morte del conte, la villa venne ereditata dal figlio Antonio Litta Visconti Arese e dalla moglie Isolina Prior. Dopo la morte di entrambi i coniugi, nel 1901, la dimora passò al nipote Henry David Prior. Nel 1935 Ernesto Panza, un commerciante vinicolo, la comprò e la lasciò al figlio Giuseppe Panza che vi si stabilì con la sua numerosa famiglia. I Panza decisero di ampliare la villa e affidare i lavori all'architetto Piero Portaluppi, che si occupò non solo dell'abitazione, ma anche del parco. Nel 1996 la famiglia Panza decise di donare il parco e due piani della villa al FAI, che, attualmente ne, è proprietario e, dal 2001, in seguito a ristrutturazioni e restauri, ne garantisce la fruizione al pubblico.

La villa oggi ha mantenuto il suo impianto originale a U, aperto verso ovest e sviluppato su tre piani, caratterizzato da un porticato a tre archi che circonda il cortile lungo il lato aperto della U. Sopra il porticato si trova un camminamento che connette i due bracci laterali della villa. Fulcro della casa rimane ancora il “salone impero”.

Anche il parco oggi visibile è il frutto della stratificazione dei lavori eseguiti dai diversi proprietari. I Menafoglio organizzarono lo spazio su tre livelli: il primo si trova lungo l'asse principale della corte, il secondo sul fianco della villa mentre il terzo a un livello ancora inferiore rispetto ai primi due. I Litta, invece, basandosi sui principi del paesaggismo inglese in voga in quegli anni, fecero piantumare con alberi ad alto fusto il perimetro del secondo e del terzo livello e ricavarono zone verdi a prato e luoghi più romantici, come il laghetto. Infine, l'architetto Portaluppi, incaricato da Panza, costruì all'interno del parco una serra in prossimità della villa e una collinetta con un tempio. Come per la casa, anche il parco era pensato per ospitare opere d'arte, in particolare installazioni di land art. Di fronte alla villa, invece, è rimasto immutato nel tempo il giardino geometrico delimitato dalla carpinata.

Come detto, oggi la villa è un punto di riferimento per gli appassionati di arte contemporanea. Ma come e quando avviene il cambio da “villa di delizia” a casa-museo?

L'abitazione diventa casa-museo dagli anni '50 del Novecento quando Giuseppe Panza di Biumo decide di intraprendere un ambizioso e appassionato progetto di collezionismo. Il conte era appassionato d'arte fin da piccolo, grazie ad uno zio che lo portava a visitare mostre e gallerie. Dopo la guerra, nel 1954, riuscì a intraprendere un viaggio negli Stati Uniti per conoscere gli artisti e vedere da vicino la nuova arte americana, che in lui suscitava grande interesse.

Da qui l'idea, condivisa con la moglie Rosa Giovanna Magnifico, di iniziare a collezionare opere di arte contemporanea (soprattutto statunitense, ma non solo), arte africana e arte precolombiana. A quel primo viaggio ne seguirono molti altri: ogni anno marito e moglie decidono, infatti, di intrattenersi almeno un mese a New York per poter raccogliere opere per la loro collezione. Ma non basta, decisero, inoltre, di ospitare nella villa artisti che, tra il 1973 e il 1976, realizzarono opere site specific, soprattutto nella zona dei rustici e delle scuderie.

Il risultato di questo lavoro durato molti anni è una dimora in cui convivono armoniosamente quadri e statue di arte moderna americana ed europea con preziosi pezzi di arte africana e precolombiana, tutti inseriti in antichi ambienti, impreziositi da arredi rinascimentali. Per rendersi conto del grande lavoro svolto dai due coniugi basti pensare che nel 1996 la collezione contava più di 2500 pezzi, catalogati in tre macroperiodi. Il primo (1943-1966) dedicato all'Informale europeo e alla Pop Art, il secondo (1968-1976) dedicato all'arte minimal, concettuale e ambientale e il terzo (1987-2010) dedicato all'arte organica e monocroma. Lo Stato italiano non si dimostrò interessato all'acquisizione e quindi molte di queste opere furono vendute e divise in diversi musei, fra i quali il Guggenheim di New York e il MOCA di Los Angeles. Oggi a Varese rimangono circa 150 opere, appartenenti, principalmente, all'ultimo periodo.

Immergiamoci, dunque, in questa villa in una visita che si snoda fra passato e presente. Ogni opera è stata posizionata nel luogo in cui, secondo Giuseppe Panza stesso, era più adatta e poteva essere meglio valorizzata. Il criterio alla base è di dare a ciascun artista un ambiente al fine di far immergere a pieno il visitatore

Superata la biglietteria, si può accedere alla corte interna dove troneggia il cono d'acqua di Meg Webster, un cono essenziale, scuro, con l’acqua a raso che riflette il cielo, i muri del palazzo e i volti incuriositi dei visitatori. Al piano terra della villa troviamo l'elegante salotto rosso, così chiamato per la presenza di divani di velluto rosso, stucchi settecenteschi, vasi moderni e statuette africane che dialogano con i quadri alle pareti di Max Cole e David Simpson.

La sala attigua è detta, invece, “sala del biliardo”. Al centro vi si trova un grande tavolo da gioco mentre alle pareti spiccano le opere di Phil Sims, artista californiano. Ad un primo sguardo i dipinti sembrano monocromi ma, avvicinandosi, si scorgono vari strati di colori diversi con pigmenti che confondono l'occhio del visitatore. Si prosegue fino alla “sala del pianoforte”, il cui focus è uno strumento musicale ottocentesco attorniato da tele di Ford Beckman e a seguire la sala da pranzo con le tele nere ed ipnotiche di Max Cole. Il fiore all'occhiello di questo piano è il sontuoso Salone Impero. È caratterizzato da un grande lampadario che, colpito dalla luce naturale, crea giochi di luce sul pavimento. In questa sala la fanno da padrona i quattro grandi pannelli monocromi di David Simpson, il cui colore cambia in base alla luce e al punto di vista dell'osservatore, grazie alle particelle metalliche di mica di cui sono intrisi.

Al piano primo, troviamo, invece, le due camere da letto dei coniugi Panza divenute sale espositive dedicate a Ettore Spalletti. L'artista ha realizzato sia grandi tele che oggetti geometrici a grande scala. Entrambi sono caratterizzati dall'uso dei colori pastello o del bianco, colore del gesso, elemento alla base delle sue opere. Collegano le stanze del piano le gallerie, caratterizzate dalle grandi opere monocrome verdi, viola e rosa di David Simpson. Spiccano fra gli arredi le panche barocche e un cassone finemente intarsiato del 1400. Sicuramente merita anche una visita il bagno in marmo verde screziato con soffitti affrescati realizzato dall'architetto Portaluppi, frutto della trasformazione di una cappella settecentesca. All’interno della villa sono, inoltre, disseminati quadri e sculture minimaliste di artisti come Phil Sims, Ruth Ann Fredenthal, Alfonso Fratteggiani Bianchi, Lawrence Carroll, Stuart Arends, Allan Graham e Winston Roeth.

Dalla casa si passa poi alla zona dei rustici (una vera e propria galleria ricavata negli ambienti delle ex scuderie e rimesse). Questo è il regno delle installazioni site specific di Robert Irwin, James Turrell, Robert Wilson, Dan Flavin e Win Wenders. Uno spazio neutro, completamente bianco, il cui file rouge è la luce, sia essa naturale o artificiale. Maestro nell'utilizzo di quest'ultima è, indubbiamente, Dan Flavin. Qui troviamo una delle sue opere maggiori, Varese corridor, un corridoio di quasi 30 m illuminato con 207 tubi fluorescenti (luci al neon), gialli rosa e verdi.

Dal corridoio si accede ad altre stanze nelle quali si viene colpiti da esplosioni di luci differenti, ogni stanza è priva di luce naturale, diversa dalle altre e studiata per provocare emozioni differenti nel visitatore. Alla fine di questo corridoio si trova una porta, ed aprendola si viene colpiti dalla luce accecante del sole. Si è entrati nell'opera Sky space Varese, realizzata dall'artista californiano James Turrell: una stanza a cui l'artista ha letteralmente tolto il tetto per vedere il cielo. Davvero sorprendente.

Ma le sorprese non sono finite. Alcune stanze, completamente bianche, sono state affidate invece all'artista Robert Irwin. Anche lui decide di agire sull'architettura. Taglia parti di muro, ne ricava finestre senza infisso e senza vetro che affacciano sul giardino della villa. Quelle aperture diventano a tutti gli effetti quadri vivi, che mutano con il cambiare delle stagioni. Per giungere a queste opere si attraversa uno stretto corridoio, ma non è un passaggio comune bensì un'altra opera dell'artista. I muri, in realtà, non sono altro che tessuti sapientemente intrecciati e se, inavvertitamente ci si appoggia, si sprofonda.

Al piano terra dei rustici, restaurati negli anni '90 dall'architetto Gae Aulenti, vengono ospitate le innumerevoli mostre temporanee, organizzate in collaborazione con i maggiori musei e gallerie di arte contemporanea.

Parte imprescindibile della visita è il parco. Vale la pena perdersi nel verde del prato, imboccare la carpinata, una galleria composta dalle fronde degli alberi, e ricercare alcune opere disseminate. Fra queste le più scenografiche sono La ruota di rami e l'installazione Twelve Part Vertical Pipe Piece di Jene Highstein. Quest'ultima è composta da dodici elementi cilindrici d'acciaio alti cinque metri, disposti in una sequenza che fa riflettere sul senso del pieno e del vuoto.

Indubbiamente vivere una mezza giornata in questo luogo è un'esperienza da fare almeno una volta nella vita, anche se non si è appassionati di arte contemporanea. Questa infatti non è una semplice collezione, la villa stessa è un'opera d'arte in cui arte e architettura si fondono e si confondono. È lo specchio di colui che l'ha posseduta, un appassionato e instancabile ricercatore d'arte che ha conosciuto almeno tre generazioni di artisti e ha apprezzato molti movimenti artistici, dalla minimal e conceptual art, all'arte della luce all'arte del colore e sono tutti degnamente rappresentati nella sua dimora.

Vale la pena visitarla perchè, come diceva lo stesso Giuseppe Panza vedere è un’esperienza di maturazione personale; si può inoltre dire che non si finisce mai di vedere… è un’esperienza senza fine.