La grande guerra ci ha lasciato alcuni segni indelebili nei territori interessati, tra questi l'area del Piave, non per nulla fiume sacro alla patria, sulle cui sponde sono state combattute aspre battaglie, con i scarsi mezzi dell'epoca e quindi con un cospicuo spargimento di sangue, soprattutto di giovanissimi.

La storia, che come noto viene scritta dai vincitori, ci ha restituito una fila quasi infinita di martiri per la libertà ma cosa ci diciamo di chi è stato mandato qui a combattere -e morire- per noi? Di più, lo stesso discorso girato sugli “invasori” dove ci porterebbe? Al di là delle motivazioni delle opposte fazioni, evidentemente una contraria all’altra, chi è stato precettato per “operare” sul posto aveva molto in comune con il proprio avversario: erano per lo più ragazzi di vent'anni spediti qui a conquistare o a resistere, quindi in entrambi i casi a combattere, ed il cui corpo in moltissimi casi è rimasto sepolto nel nostro territorio.

Non vi è alcuna intenzione di dare interpretazioni su argomenti tanto importanti e delicati ed ancor meno pretendere che una di queste sia l’unica corretta. Molto più banalmente è sicuramente importante comprendere anche dal basso quello che è successo. Visitare questi luoghi, sicuramente al di fuori del classico turismo fatto di arte e… gastronomia, può contribuire a questo processo.

La proposta qui ed ora riguarda il mausoleo germanico presente a Quero, in provincia di Belluno, ora in comune di Setteville, ovviamente nelle vicinanze del Piave, allora si usava il femminile per cui “della Piave” o, in dialetto, “della Piau”.

Per arrivarci senza sbagliare -ma anche per una visita virtuale, quanto meno dell’esterno- possiamo utilizzare queste coordinate [45.922745, 11.942767] sul nostro navigatore satellitare sullo smartphone o sul personal computer.

Le caratteristiche principali sono l’ubicazione sul Col Maor, dove vi era un avamposto, e luogo nelle cui prossimità vi fu una cruenta battaglia. Da qui il fiume conteso è ben visibile dall’alto, il progetto è dell'architetto Robert Tischler, che scelse di utilizzare il porfido in blocchi per dare forma ad una fossa comune in cui ospitare alcune migliaia di corpi di soldati morti durante le battaglie avvenute in zona nella prima guerra mondiale.

Ovviamente il tema della morte è sempre stato estremamente forte, ed ancor di più lo è quando ciò avviene combattendo per il proprio stato. Nel caso specifico assistiamo ad un modo in cui si decise di “rappresentare” questa tragedia sicuramente nuovo, per il tempo, e dotato di una forza e di significati tuttora percepibili. Basta considerare il nome (“Totenburg”, letteralmente "fortezza dei morti") e la diffusione che questo tipo di edificio ebbe (non solo in Italia ma sempre con significati semplicemente inquietanti).

Volendo saperne di più di questi particolari cimiteri, diversi da quelli civili ma pure da quelli analoghi realizzati da altri paesi belligeranti -in primis noi, si pensi a Cima Grappa [45.873531, 11.799341] e Redipuglia [45.851942, 13.490103]- non resta che affrontare alcuni dei temi, con la relativa ed immancabile retorica, che sicuramente non mancano.

Il primo è quello della memoria: non si può dimenticare chi si sacrificò per la patria e per farlo non è sufficiente raccogliere le salme e dar loro degna sepoltura. Dobbiamo, infatti, farle oggetto di un racconto e questo non deve finire mai! E’ il tempo la sfida, oggi -a quasi un secolo un secolo dalla realizzazione- l’”oggetto” continua a comunicare, dimostrando il suo buon esito.

Il secondo è il classicissimo “fare il contrario”: a corpi inanimati non si può che contrapporre qualcosa di vivo, come sono le piante, in generale, e quindi ancor meglio un giardino, meglio se richiede poca manutenzione. Tale aspetto venne codificato dai vari paesi e nei distinti periodi, dal boschetto alla regolare distribuzione delle alberature. In ogni caso qualcosa di vivo, ed in costante evoluzione, che si contrapponesse all’immobilità dei corpi sepolti, ed anzi al loro inevitabile deperimento.

Un terzo è quello del simbolismo, che nello specifico non può che portare diritto al monumentale. Di questo aspetto è particolarmente interessante la scelta effettuata dall’ufficio preposto: dal passato si è preso molto, fino ad arrivare a qualcosa che davvero sembra senza tempo. Nei progetti e nelle relative realizzazioni sono chiari i riferimenti al mausoleo di Teodorico a Ravenna ma anche a Castel del Monte ed al Pantheon -forse nella rivisitazione, quasi coeva, dell’”occhio” a cura di Heinrich von Tessenow- fino a giungere al castello-fortezza, che è anche nave, chissà come arenatasi qui.

Sempre vi è l’uso del contrasto -forte e netto- tra la luce e l’ombra, così come si è passati dalla moltitudine di tombe individuali ad una sola sepoltura collettiva, con ovvio e fortissimo significato basato sulla riconciliazione e l’uguaglianza nella morte, per questo perfetto per l’utilizzo a scopi propagandistici… Proviamo ad immaginare cosa potesse voler dire -quasi un secolo fa!- il genio che sorge dal campo della morte, o le teste di drago incastrate nella parete esterna. Forse (!) i sacrari volevano essere luoghi affatto religiosi per glorificare i deceduti in battaglia fino a farne degli eroi, modello per quel futuro allora ormai prossimo e che per noi è storia, purtroppo tristissima.

Questo rapporto si esplica anche come una forma di dominazione del paesaggio. Questi cimiteri di guerra diventano perciò vere e proprie architetture tedesche al di fuori della Germania, quasi un modo per riconquistare in qualche modo, quanto meno quello appunto simbolico, parti del territorio, anche se “solo” per dar casa ai propri defunti morti qui in battaglia. Sembra incontestabile come più che la volontà di accompagnare i corpi nell’ultimo viaggio -comunque lo si intenda- qui si sia in presenza della volontà di ricordare ai vivi -e celebrare- il motivo della morte, quasi fosse il primo passo delle operazioni allora ormai prossime.

Un quarto tema potrebbe riguardare i modi seguiti per giungere alla realizzazione. In primis il progettista, proveniente dal mondo deI giardino, dal poco che sappiamo non era certo malato di protagonismo ma desideroso di costituire una squadra coesa di realizzatori che alla propria individualità riuscissero ad anteporre il risultato collettivo, quasi una bottega medievale! Abbiamo notizia pure della sua presenza in loco, per la scelta di luoghi più adatti ma anche per la valutazione dell’inserimento dei manufatti nell’ambiente, verificato con la realizzazione in loco di sagome in legno a grandezza naturale.

Infine, il risultato, quello con cui anche noi possiamo entrare in contatto. La parola chiave è “percorso”, che inizia con la ricostruzione di una casa tedesca all'ingresso, avente lo scopo di ospitare il custode e di separare in modo netto ciò che c’è prima da ciò che c’è dopo, il fuori dal dentro. Un ingresso apparentemente banale ma in realtà estraniante. Da qui, infatti, inizia il percorso di avvicinamento all’edificio vero e proprio, che viene percepito poco a poco, quasi conquistando l’ingresso. Siamo in presenza di un’apparentemente inespugnabile fortezza in cui però possiamo entrare ed anzi muoverci liberamente, ritrovando in sequenza spazi e volumi ricchi di significato.

Innanzitutto le murature sono in porfido del Passo Rolle, quindi scure con una “vena” rossa, in cui più di qualcuno ha letto il colore del sangue. La sequenza di vani e forme classici è senza tempo, realizzati con tecniche e materiali fatti per durare. Non mancano opere d’arte, affatto cervellotiche, come sono i mosaici, le decorazioni parietali e le sculture, ma anche componenti di tipo più ordinario, come le inferriate ed il leggio, e pure i mensoloni. Il tutto completamente rispettoso dello stile “romanico-romantico” scelto. Dopo l'accesso da una stretta porta al vestibolo, dotato di piccole aperture e quindi sempre in penombra, si può accedere alla sala principale tramite uno dei tre portali presenti.

Qui troveremo il libro d'oro dei caduti, illuminato dall’altro dalla luce solare. A seguire un camminamento, che qualcuno identifica con l'evocazione della trincea, comprendente un punto di osservazione-sparo e che porta alla zona delle sepolture, consentendo di ammirare il paesaggio oggetto delle note battaglie.

Agli appassionati di storia, ma anche ai semplici cultori e curiosi, consiglio la visione del filmato girato durante l’inaugurazione, alla fine degli anni Trenta dello scorso secolo, recuperato dall’Istituto Luce, la cui attività meritoria è volta anche alla valorizzazione di documenti storici che rischiano il deperimento (fisico) e l’oblio (culturale), facilmente recuperabile online.

In questo, si perdoni la nota familiare, ho potuto notare mio padre, allora bambino, che insieme a moltissime altre persone partecipa a questo straordinario evento, ovviamente gestito dai militari tedeschi.

Fuor di retorica, si vedono le tipiche figure che noi più giovani abbiamo visto solo nei film, ma qui sono vere. Nei discorsi -siamo tra le due guerre- quella che oggi chiamiamo retorica la fa da padrona, ma non è l‘arte del bel parlare…

Prima di tornare all’edificio vero e proprio, ricordo solamente come venne detto che tramite questa opera alcune migliaia di soldati tedeschi, pur da morti, si sono stabilmente installati qui -in Italia- e, per conto della Germania, hanno preso stabile possesso di questa parte del territorio, in cui il paese che rappresentano è “tornato”. Davvero un triste presagio di quello che succederà negli anni successivi, ovvio per chi quasi un secolo dopo ne prende visione, differentemente interpretato allora da chi aveva stretto strategiche alleanze, per scopi molto simili, e aveva messo in atto ogni forma possibile al tempo -”teorica” e “pratica”- per costruirsi il consenso.

La forma è quella di una sorta di cupa fortezza costruita sulla sommità di una collina, come si faceva un tempo coi castelli, per farli dominare sull’intorno. Confrontare questo edificio -ed i suoi significati più o meno reconditi- con il nostro quotidiano può essere piuttosto interessante.

Innanzitutto il nostro parlare con leggerezza di guerra, con riferimento al nostro quotidiano, caratterizzato da problemi quali il non poter cambiare il cellulare, mentre allora ci sono stati giorni in cui l’acqua del Piave, che non era certo quello di oggi ma il fiume era molto più grosso, non era trasparente ma rossa di sangue…

A seguire il mito della conquista, un tempo fisica, basata sulla forza, oggi più subdola, ma rivolta comunque al dominio. Sicuri che i “signorsì” di allora fossero tanto diversi -nella sostanza, non nell’apparenza- dagli “yesmen” di oggi?

Infine, la capacità di invocare rispetto che questa architettura sicuramente possiede, cosa che di certo non diciamo dei prodotti edili contemporanei, per i quali il termine architettura non può essere usato. Certo, potrebbe sembrare dovuto alla forza di un tema tanto importante e, quanto meno allora, quando è stato costruito, sentito. La realtà però ci mostra tanti casi contemporanei -ma anche precedenti e successivi- in cui il tema è lo stesso ma cambia la declinazione.

Molto vicino abbiamo, infatti, il cimitero germanico a Feltre [46.015856, 11.918329], del tutto diverso da quello di Quero, pur essendo stato realizzato solo qualche anno prima. Il poco tempo intercorso tra i due è stato sufficiente all’elaborazione delle nuove teorie di cui si è scritto, di cui l’edificio a Feltre sembra essere un primo abbozzo. Altro esempio non troppo lontano è a Pederobba, in provincia di Treviso, sulla strada statale feltrina, dove i francesi hanno edificato un loro sacrario, davvero molto diverso, forse in tutto se non nella presenza delle salme -di nuovo- di giovani combattenti [45.874610, 11.963753].

Ovviamente non mancano analoghi manufatti italiani, perché anche noi abbiamo versato un contributo enorme. Meritano una visita perlomeno il citato sacrario del Grappa e quello di Fagarè della Battaglia, in comune di San Biagio di Callalta, in provincia di Treviso [45.703897, 12.433928].

Pur se fuori tema, non è possibile non segnalare come a pochi metri dal Totenburg di Quero vi sia nel cimitero “civile” una tomba meritevole di visita, quella progettata da Carlo Scarpa per la pittrice Bice Lazzari, imperdibile [45.922020, 11.939208].

Oggi, pur con i continui lugubri presagi che ci giungono da molte parti del mondo e in cui potremmo essere coinvolti, tutto è fin troppo leggero. Anche i temi più profondi vengono trattati -anche in architettura- come uno spettacolo di musica leggera, tanto eterea da richiedere il supporto di immagini in movimento che ne mascherino la pochezza. La canzonetta però finisce (e soprattutto passa da una moda meno che stagionale al dimenticatoio), l’edificio invece rimane. Se i principi che lo hanno generato ed il messaggio che porta sono forti e di qualità, come nel caso del Totenburg di Quero, un secolo dopo -meglio se contestualizzandolo- lo si ammira ed ascolta ancora, se e quando non è così...

Infine, ripercorrere la storia delle sepolture ci indica come prima che succedesse quanto sinteticamente sopraindicato -strategie, progetti e costruzioni di altissimo livello- nell’immediatezza del fatto -la morte di giovani di diversi paesi in guerra tra loro- i paesani dei luoghi in cui ciò successe molto semplicemente hanno sepolto le salme insieme, senza distinzioni: gesto tanto elementare quanto grande, su cui noi oggi -avversari in tutto e per tutto- dovremmo ragionare!