Quando noi contemporanei pensiamo alla città di Roma nei secoli XVII e XVIII ci viene alla mente una città fastosa e magnificente dal punto di vista architettonico, dove tutto è splendente ed eccezionalmente bello, come i capolavori di Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini, oppure la Scalinata di Trinità dei Monti e la Fontana di Trevi. Tuttavia, a fronte di questa opulenza, in città a quel tempo vagavano masse di senza lavoro e senza fissa dimora, malati incurabili, vecchi privi di assistenza, ladri, prostitute e mendicanti che creavano gravi problemi che oggi definiremmo di ordine pubblico.

Il problema della mendicità e del vagabondaggio a Roma, come nel resto d’Italia e d’Europa, costituiva un fenomeno la cui vastità e imponenza non poteva sfuggire alla Chiesa, per questo per cercare di tamponare il fenomeno, Innocenzo XI decise nel 1693 di riorganizzare l’assistenza pubblica nell’Urbe, cominciando con il raccogliere in un’unica istituzione e in un unico luogo l’infanzia abbandonata, e progettando di concentravi anche altre categorie di poveri assistiti che erano all’epoca collocati a Ponte Sisto e al Palazzo Laterano.

I primi ad essere ospitati furono i ragazzi che il nobile canonico Tommaso Odescalchi (nipote di papa Innocenzo XI), mosso a compassione di tanti fanciulli abbandonati e vagabondi che ogni notte cercavano ricovero, raccoglieva in un edificio di sua proprietà a piazza Margana in Campitelli.

I ragazzi vennero trasferiti nella nuova struttura denominata Ospizio Apostolico di San Michele nel 1686, prima significativa e concreta iniziativa volta a risolvere la piaga sociale del pauperismo nella città dei papi. Il nucleo originario della fabbrica fu stabilito a Trastevere nella proprietà Odescalchi immediatamente alle spalle del porto fluviale di Ripa Grande, affinché il nuovo palazzo accogliesse gli orfani assistiti dall’opera pia di famiglia, e li indirizzasse ad apprendere un mestiere. A questo scopo il progetto comprendeva un lanificio e botteghe artigiane. Tra ripensamenti progettuali, ampliamenti e lunghi periodi di interruzione dei lavori, l’ambizioso progetto fu portato a termine soltanto dopo 150 anni, soprattutto attraverso i pontificati di Innocenzo XI (Benedetto Odescalchi, 1676-1689), Innocenzo XII (Antonio Pignatelli, 1691-1700), Clemente XI (Gian Francesco Albani, 1700-1721) e Clemente XII (Lorenzo Corsini, 1730-1740).

Il Conservatorio dei Ragazzi

Destinato all’accoglienza dei giovani orfani, fu edificato tra il 1686 e il 1689 e si compone di un corpo di fabbrica a quattro piani affacciato da un lato sul porto fluviale di Ripa Grande, e dall’altro su un cortile a pianta quadrata fiancheggiato da due ali basse che racchiudono al centro una fontana in travertino, adornata dei simboli araldici Pignatelli.

La facciata interna si apre sul cortile con una loggia porticata che nella seconda metà dell’Ottocento, assieme ad altri sei sale attigue, fu decorata ad affresco e a tempera, spesso con motivi “a grottesca”, dagli stessi giovani ospiti del Conservatorio e dai loro insegnanti. Si tratta del settore di rappresentanza del primo piano, costituito da una serie di ambienti aventi caratteristiche di un certo decoro architettonico e spaziale. La galleria termina con una cappella oggi detta di San Michele, che fu realizzata dallo scultore Luigi Amici (1817-1897), ex alunno dell’Ospizio e Accademico di San Luca il quale, ritiratosi da anziano a vivere al San Michele, donò per riconoscenza all’istituzione la cappella.

Il Carcere dei Ragazzi

Anche con l'intento di sottrarre i giovani condannati alla diseducativa promiscuità delle carceri per adulti, e con il coraggioso proposito di recuperarli moralmente avviandoli al lavoro, nel settembre del 1701 papa Clemente XI incaricò Carlo Fontana di progettare una Casa di Correzione per giovani traviati.

L’edificio doveva risultare solido, sicuro e isolato dall’esterno, con una limpida forma geometrica, funzionale nell’articolazione dei suoi spazi interni e autosufficiente.

L'architetto ticinese ideò un edificio di grande rigore formale, considerandolo come un organismo indipendente dal resto del palazzo, progettando un impianto planimetrico di estrema funzionalità a croce, capace di un rapido controllo dei reclusi da parte dei guardiani. Lo schema distributivo annoverava un'aula rettangolare, detta Sala Clementina dal nome del pontefice, larga 42 x 15,55 metri e alta 14 metri, coperta da un soffitto a botte, lunettata e attraversata perpendicolarmente da una grande crociera. Su questo impianto distribuì su tre livelli quattro gruppi di celle. Ogni gruppo, formato da cinque celle per livello, collegate tra loro da ballatoi, era servito da una scala a chiocciola in pietra. Le anguste scale circolari risultano gli unici percorsi verticali fra i vari livelli, offrendo così la massima sicurezza al personale di sorveglianza. Ognuna delle 60 celle (una per ogni recluso) era munita di un rudimentale servizio igienico ricavato nello spessore murario.

Papa Clemente XI fece apporre all’ingresso dell’edificio la seguente epigrafe:

CLEMENS XI PONT. MAX. PERDITIS ADOLESCENTIBVS CORRIGENDIBVS INSTITVENDISQUE VT QVI INERTES OBERANT INSTRVCTI REI PVBLICAE SERVIANT AN. SAL. MDCCIV PONT. IV.

[Clemente XI, Sommo Pontefice, per correggere ed istruire i giovani traviati, affinché questi stessi che stando in ozio erano dannosi, dopo essere stati educati possano giovare alla società, anno di salvezza 1704, quarto del pontificato.]

Il Conservatorio dei Vecchi e delle Vecchie

Con la bolla Ad Exercitium Pietatis del 1693, papa Innocenzo XII ordinò l'ampliamento dell’edificio del San Michele per ospitare altre tre categorie di persone bisognose: vecchi, vecchie e zitelle.

Tra il 1708 e il 1713 Carlo Fontana realizzò il Conservatorio dei Vecchi, completato nel 1717 da Nicola Michetti che portò a termine l’ala delle donne. La costruzione, adiacente al primo nucleo del Conservatorio dei Ragazzi, si articolava attorno ad un Cortile rettangolare porticato e loggiato al piano superiore sui quattro lati, con vasti saloni a piano terra situati lungo tre dei lati del cortile, fra i quali il refettorio e l’infermeria, mentre ai piani superiori trovavano posto i dormitori, le corsie, le cucine e la spezieria. Questo settore dell’Ospizio prese subito a funzionare a pieno regime tanto che nel 1714 ospitava 171 vecchi mentre nel 1716 le vecchie erano 191.

Il Conservatorio delle Zitelle

L'architetto Nicola Michetti, che alla morte di Carlo Fontana nel 1714 ne proseguì l’opera, realizzò il prospetto seriale sul Lungotevere di Ripa Grande, conferendo all’interminabile e monotona facciata una sufficiente uniformità. Lo stesso Michetti nel 1719 iniziò la costruzione del Conservatorio delle Zitelle, che però fu completato da Nicola Forti (1714-1802) dopo che, con motu proprio del 24 febbraio 1790, Pio VI (1775-1799) ebbe risolta una controversia con le monache di Santa Cecilia. Nel 1797 le giovanette furono trasferite da San Giovanni in Laterano al San Michele e al Conservatorio furono assegnati 4.000 scudi annui.

La Chiesa Grande

La chiesa della Trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo, detta Chiesa Grande, fu ideata nel 1710 da Carlo Fontana (consacrata il 12 settembre 1715) con una pianta a croce greca che rispondeva in maniera perfetta alla rigida organizzazione interna dell'Ospizio, nel quale era escluso qualsiasi contatto tra le quattro diverse categorie di assistiti: Ragazzi, Zitelle, Vecchi e Vecchie.

Il tempio, che pur si costituiva come unico elemento di comunione, rispettava questa regola, ospitando ognuna delle quattro comunità in un settore che coincideva con uno dei quattro bracci della croce, chiuso da alte cancellate.

La chiesa tuttavia rimase incompiuta per una lunga vertenza sulla proprietà terriera con le vicine monache del monastero di Santa Cecilia: il braccio mancante, destinato alle Zitelle (che ebbero la chiesa nel loro Conservatorio), fu sostituito da un fondale neoclassico, realizzato negli anni 1831-1835 da Luigi Poletti, nel quale fu collocata una monumentale scultura in gesso raffigurante il Salvatore, eseguito e donato dal bolognese Adamo Tadolini (1788-1868), ex allievo dell’Ospizio, accademico di San Luca e allievo del Canova del quale proseguì la tradizione neoclassica.

L’interno della chiesa annovera una volta a botte lunettata, con riquadrature di stucco e teste di cherubini ai quattro angoli dei bracci.

Sugli altari del tempio si conservano alcuni dipinti realizzati dagli allievi dell’Istituto, come Il perdono di San Francesco, copia da Barocci; San Filippo Neri, copia da Maratta. Il San Michele precipita nell’abisso Lucifero, copia da Guido Reni, è stato invece eseguito nel 1818 da Francesco Giangiacomo, professore dell’istituto. Sul primo altare a sinistra trova posto la Trasfigurazione, copia da Raffaello, già in possesso dell’Istituto quando fu posta sull’altare maggiore nel 1715, poi spostata dal Poletti.

Sulla parete di controfacciata della chiesa Poletti realizzò una cantoria lignea sostenuta da sei colonne ioniche, inaugurata il 29 settembre 1831, con organo di Domenico Testa, poi modificato e ingrandito. Lo stesso architetto progettò e inaugurò il 29 settembre 1832 la nuova facciata della chiesa sul cortile dei Vecchi.

Alla Cripta sottostante la chiesa, a cui si poteva accedere anche attraverso una botola posta nel pavimento, era annesso un cimitero. La cripta presentava affreschi realizzati dagli allievi dell’Istituto, ancora conservati insieme ad un altare.

Il Carcere Femminile

Nel 1734, papa Clemente XII (1730-1740) commissionò a Ferdinando Fuga il progetto per il Carcere Femminile, inserito tra la Casa di Correzione e la Caserma dei Doganieri, di fronte alla Porta Portese. Quell’anno infatti, papa Corsini, sollecitato dalle istanze del canonico Giovan Battista de Rossi (1698-1764), il quale scrisse: “non volendo che le carcerate per delitti e mancanze segregate rimanessero nelle carceri degli uomini”, fece costruire un edificio destinato ad accogliere esclusivamente donne condannate per delitti comuni e meretrici. La struttura, fu terminata nel 1735, ma iniziò a funzionare soltanto nel 1738.

Sul prospetto prospiciente piazza di Porta Portese fu applicata l’epigrafe seguente:

CLEMENS XII COERCENDAE MVLIERVM LICENTIAE ET CRIMINIBVS VINDICANDIS ANNO MDCCXXXV

[Clemente XII per reprimere la dissolutezza delle donne e per punire i loro delitti, anno 1735.]

Con quest’ultimo intervento lo sviluppo architettonico ed il programma decorativo della fabbrica del San Michele può considerarsi concluso, l’edificio aveva assunto le sue straordinarie dimensioni definitive, trattandosi di uno dei Palazzi più vasti d’Italia: lunghezza 334 metri; larghezza 80 metri; altezza 25 metri; superficie coperta 64.400 metri quadri; volume utile 342.000 metri quadri.