La basilica di Santa Maria in Aracoeli fu edificata sull'Arx, una delle due alture del colle Capitolino, più precisamente sui resti del tempio di Giunone Moneta e dell'antichissimo Auguraculum, luogo dal quale gli Auguri, osservando il volo degli uccelli, traevano gli auspici.

La prima edificazione della grande chiesa capitolina risale al VI secolo; inizialmente era curata dai monaci greci che vi svolgevano funzioni religiose secondo il loro rito.

Al tempo di Gregorio III (731-741), è citata per la prima volta come Santa Madre di Dio, ma nel X secolo, divenendo abbazia benedettina, fu chiamata Santa Maria in Capitolio. L'abate benedettino, nel XII secolo, acquisì la proprietà dell'intero montem Capitolii. In un documento coevo, vengono descritti tre accessi al colle, che dobbiamo presumere consistenti in modesti e scoscesi viottoli. Il primo era la via che portava alla chiesa di San Teodoro al Palatino, ancora esistente; il secondo era la strada corrispondente all'incirca all'attuale Cordonata, la via pubblica che arriva sotto al Campidoglio; l'ultimo, orientato verso la Suburra, doveva coincidere con l'attuale scalinata che sale dal carcere Mamertino e conduceva al Clivo degli Argentari.

Con il nome di Santa Maria in Capitolio, dunque, la chiesa costituiva il fulcro di un vasto complesso di costruzioni afferenti al monastero che si era installato sul colle mentre tutt'intorno andavano in disfacimento gli edifici romani; con tale nome verrà indicata fino al 1250 quando passerà ai frati Minori, che inizieranno la sua ricostruzione e che tuttora la custodiscono, officiando le cerimonie religiose. Infatti, Innocenzo IV (1243-1254), con la bolla del 1249, divenuta efficace l'anno successivo concesse ai frati Minori (Ordo Franciscanus) il possesso della vetusta basilica di Santa Maria in Capitolio in sostituzione della chiesa di San Francesco in Trastevere.

Nei lunghi anni di contesa tra Guelfi e Ghibellini, quindi, la piazza del Campidoglio, al tempo scoscesa e solo approssimativamente delineata, e la prospiciente chiesa capitolina assunsero una doppia valenza: da un lato luogo simbolo per la fede cristiana, dall'altro centro dell'esperienza comunale dell'Urbe. Infatti, nel secolo precedente, il colle Capitolino era stato restituito alla vita pubblica quando, nel 1143, ribellatosi al papa romano Innocenzo II (1130-1143), il popolo aveva designato come proprio capo Giorgio dei Pierleoni, nominandolo Patricius e scegliendo il Campidoglio come sede per le assemblee.

È attestata, infatti, al 1195 circa l'edificazione del primo Palazzo Senatorio. I Francescani ricostruirono la chiesa, conferendole l'aspetto romanico-gotico ancora visibile, ed essa divenne immediatamente un attivo luogo cultuale e centro della vita politica di Roma, tanto che vi si svolsero assemblee popolari del libero comune.

Durante il Rinascimento, la chiesa subì notevoli cambiamenti: nel 1467-1472, il cardinale Oliviero Carafa (1430-1511) condusse alcuni lavori al tempio, lasciando il suo stemma nelle volte delle navate laterali; nel 1564, Pio IV (1559-1565) abolì la schola cantorum e demolì l'abside con un prezioso affresco di Pietro Cavallini per ampliare il coro, spostando l'ingresso laterale; nel 1571, il Popolo Romano fece innalzare il soffitto ligneo quale ex voto alla Vergine per la vittoria di Lepanto; nel 1689, venne effettuato un significativo restauro con la ridecorazione della navata centrale e la chiusura di alcune finestre. Nello stesso periodo, nella chiesa dell'Aracoeli si svolsero anche rilevanti avvenimenti storici: nel 1341, Francesco Petrarca fu laureato poeta; nel 1571, si celebrò il trionfo del romano Marcantonio Colonna, comandante della Lega Cattolica contro i Turchi, per festeggiare la vittoria nella battaglia di Lepanto; ogni anno, veniva celebrato il Te Deum di ringraziamento del popolo romano al quale, dal XIV secolo al XIX secolo, vi prese parte lo stesso Pontefice.

Certamente gli anni più bui del complesso dell'Aracoeli si registrarono durante l'occupazione di Roma da parte dei Francesi, quando nel 1797 si impossessarono dell'intero colle capitolino: i frati francescani furono messi in fuga, la chiesa venne sconsacrata e adibita a stalla, le tombe dei martiri e delle maggiori famiglie romane furono violate. In quest'occasione, molte delle decorazioni cosmatesche che arricchivano la chiesa furono distrutte. La situazione non migliorò nel 1798 con l'insediamento al Campidoglio della breve Repubblica Romana, in quanto fortemente anticlericale.

Dopo il 1870 la zona fu stravolta dalla costruzione del monumento a Vittorio Emanuele II, motivo per il quale venne demolita la sacrestia e gran parte dell'antico annesso convento, oltre a tutti gli edifici che si trovavano tra il versante sud del Campidoglio e l'inizio di via del Corso, tra cui anche manufatti romani e medioevali, snaturando irrimediabilmente un luogo di inestimabile valore storico e archeo-logico. Con l'Unità d'Italia, la proprietà del convento passò allo Stato e vi fu insediata la caserma e il comando dei Vigili Urbani.

Le trasformazioni operate dai francescani

L'originaria chiesa non aveva transetto e i colonnati terminavano contro il muro di fondo dove oggi si attesta l'ampio transetto rettangolare e dove un tempo si apriva l'abside semicircolare e le due absidi minori, pure semicircolari.

Negli anni 1285-1287, con l'insediamento dei Francescani, furono intrapresi molti lavori di modifica e consolidamento, forse su progetto di Arnolfo di Cambio. Il programma delle innovazioni consistette sostanzialmente nella volontà di realizzare un vasto transetto, secondo la consuetudine che già si andava affermando nelle chiese dell'Ordine francescano e che rispondeva ad esigenze di spazio e visibilità, rendendo le chiese funzionalmente più adatte alle necessità essenziali della predicazione e della liturgia.

Esterno

La facciata in cotto, dei primi anni del Trecento, a coronamento orizzontale con due spioventi ai lati, accoglie tre portali del XIV secolo, rimaneggiati nei secoli XV e XVI. Quello centrale è sormontato da uno pseudo-protiro con arco a tutto sesto, quelli laterali da archi a sesto acuto e, più in alto, da lunette rotonde traforate; sopra l'apertura centrale vi sono i resti di un affresco quattrocentesco restaurato nel 1989, mentre su quelle laterali sono presenti altorilievi raffiguranti San Matteo (a destra) e San Giovanni (a sinistra), di anonimo del XVI secolo. Nel pavimento del sagrato, vi sono diverse lastre tombali fra cui quella dell'umanista Flavio Biondo (1392-1463), nato a Forlì nel 1433, che fu chiamato da papa Eugenio IV per ricoprire la carica di notaio della Camera apostolica per poi divenire (1434) segretario apostolico, carica che ricopri fino alla morte.

Interno

L'interno si sviluppa in tre navate divise da ventidue colonne diverse fra loro - di granito bianco e rosso, cipollino, pavonazzetto, marmo bianco - con basi e capitelli provenienti da antichi edifici. Sulla sommità delle colonne si impostano archi a tutto sesto che sostengono il ricco soffitto ligneo a cassettoni fatto eseguire dal Senato romano a celebrazione e in ringraziamento della grande vittoria cristiana nel 1571 a Lepanto contro i Turchi. Iniziato sotto il pontificato di Pio V Ghislieri (1566-72), venne terminato sotto quello del bolognese Gregorio XIII Boncompagni (1572-75) e fu realizzato da Girolamo Siciolante da Sermoneta (1521-1580 circa) e Cesare Trapassi tra il 1572 e il 1575. Tra i riquadri compaiono al centro la Vergine col Bambino, mentre ai lati sono inseriti gli stemmi di Pio V, Gregorio XIII e del Senato romano, nonché simboli navali e continui riferimenti ai trofei di guerra, allusivi alla vittoria di Lepanto. Va ricordato che il corteo trionfale del vittorioso Marcantonio Colonna terminò proprio con l'entrata in questa chiesa.

Il pavimento cosmatesco (secoli XIII-XIV), conservato in gran parte, è caratterizzato dalla presenza di numerose lastre tombali.

Navata centrale

In controfacciata, sopra il portale principale, è collocata l'iscrizione celebrativa del Senato romano per Urbano VIII, in marmo e stucco, realizzata su disegno di Gian Lorenzo Bernini (1636); a destra del portale, vi è il Monumento funerario del cardinale Ludovico d'Albret (morto nel 1465) di Andrea Bregno e, posta verticalmente sul muro, la pietra tombale di Giovanni Crivelli (morto nel 1432), opera firmata di Donatello. Si tratta della lastra funebre dell'arcidiacono di Aquileia Giovanni Crivelli ed è l'unica opera firmata dal grande artista toscano durante la sua presenza a Roma (1431-33).

Il colonnato presenta alcune peculiarità. La terza colonna a sinistra, partendo dall'ingresso, è attraversata da un foro obliquo che probabilmente serviva originariamente per misurazioni astronomiche o come orologio solare; essa porta incisa sull'imoscapo l'iscrizione a cubiculo Augustorum, cioè "dalla stanza degli imperatori": proviene quindi dal palazzo imperiale sul Palatino.

In prossimità della 4ª colonna destra, è collocato l'altare di San Giacomo della Marca, con un dipinto raffigurante San Giacomo in adorazione del calice e del Crocifisso (1687 circa). Di fronte, vicino alla 4 colonna sinistra, è posto l'altare della Madonna del Rifugio di scuola viterbese del XV secolo; sulla 5ª colonna sinistra, vi è l'affresco del XIV secolo raffigurante San Luca, e, nel pavimento sottostante, la lastra tombale di Aldus magister et murator molto consumata; infine, in corrispondenza della 7ª colonna sinistra, è inserito un pulpito ligneo con stemma della famiglia Barberini di eco berniniana.

Presbiterio

Sui pilastri terminali della navata mediana, sono presenti due pergami, rimaneggiati e ricomposti, di Lorenzo di Cosma e del figlio Jacopo, firmati e databili al 1200 circa. Sull'altare maggiore, vi è l'icona bizantina con l'immagine venerata della Madonna (X-XI secolo) per la quale, come ringraziamento per la fine della peste, nel 1348 venne edificata la monumentale scalinata di accesso alla chiesa; la tavola è stata restaurata nel 2014.

Transetto destro

Cappella Savelli o di San Francesco. La cappella è di origine duecentesca, ma venne rinnovata nel 1727. Sull'altare, progettato da Filippo Raguzzini, si trova Estasi di San Francesco di Francesco Trevisani; ai lati, entro cornici, il Perdono e le Stimmate di San Francesco di Assisi sono tele di Mariano Rossi realizzate nel 1774; i pannelli in stucco, pure settecenteschi, raffigurano quattro Virtù. Alla parete sinistra, vi è il sepolcro di Luca Savelli (1287 circa) attribuito ad Arnolfo di Cambio, che ha realizzato la statuina della Madonna e del Bambino; sotto la cassa funeraria, è posto il sarcofago romano con figure di coniugi e festoni di fiori. Alla parete destra, vi è il sepolcro di Onorio IV e della madre Vanna Aldobrandeschi, con la statua giacente del pontefice proveniente dall'antica San Pietro.

Cappella di Santa Rosa da Viterbo. La cappella, pertinente alla parte più antica della chiesa, conserva il pregevole mosaico Vergine in trono fra santi e donatore (fine XIII secolo) attribuito a Pietro Cavallini o a Jacopo Torriti; i dipinti delle pareti e della volta sono di Pasqualino de Rossi (XVII secolo) e raffigurano le Storie di Santa Rosa.

Transetto sinistro

Cappella di Sant'Elena. Nota anche come Cappella Santa, è dedicata ad Elena, madre dell'imperatore Costantino. Nei pressi del pulpito di sinistra, si trova il tempietto di Sant'Elena a pianta ottagonale con colonne fatto erigere nel 1605 da mons. Girolamo Centelles e ricostruito nel 1833 da Pietro Holl. L'altare è un'urna in porfido del XII secolo con i resti di Sant'Elena. Sotto l'urna, più in basso rispetto all'attuale pavimento e visibile attraverso un cristallo, si trova un altare precosmatesco del XII secolo con, in alto, Augusto che si inginocchia all'apparizione della Madonna. L'elegante tempietto sorge infatti sul luogo dove era localizzato il leggendario altare fatto costruire dall'imperatore Augusto dopo aver avuto la visione di una donna col bambino in braccio, seduta su un altare. In un saggio di scavo eseguito nel 1963 sotto la cappella, sono stati rinvenuti i resti di questo antico altare, nella stessa occasione, fu aperto anche il sarcofago porfiterico con all'interno un cofanetto ligneo intagliato, dorato e policromato, contenente le reliquie di Sant'Elena.

Cappella del Bambino. Allestita nel XIX secolo, conserva la statua del Santo Bambino, copia moderna di quella del XV secolo trafugata il 1 febbraio del 1994 e mai più ritrovata. La statua originaria, alta 60 cm circa, fu scolpita nel legno d'olivo del Giardino del Getsemani da un frate francescano che viveva in Gerusalemme e veniva continuamente arricchita di preziosi ornamenti e ricoperta di ex voto. Al posto dell’originaria ora è presente la copia, alla quale non mancano ex voto e lettere inviate da bambini di tutto il mondo che in genere contengono richieste di grazie e doni, in cambio di promesse di preghiere, bontà e ubbidienza.

Navata destra, Cappelle, selezione

Cappella di San Bernardino. Denominata anche Cappella Bufalini, dal nome del committente Niccolò di Manno Bufalini - avvocato concistoriale di Città di Castello - che così volle celebrare la pace tra la sua famiglia e quella Baglioni di Perugia, fu restaurata 1981. Lo stemma del committente è rappresentato da un toro con un fiore, più volte ripetuto nella decorazione della cappella. Il pavimento è cosmatesco. Fu affrescata, per conto dello stesso Bufalini, da Bernardino di Betto Betti, più noto come Pinturicchio (1454-1513), tra il 1484 e il 1486. Gli affreschi sulle pareti illustrano la vita di Bernardino da Siena, santo francescano, mentre sulla volta sono raffigurati i quattro Evangelisti.

Il ciclo delle Storie di San Bernardino è composto da: sulla parete di fondo, San Bernardino tra i Santi Ludovico di Tolosa e Antonio da Padova e, in alto, Redentore tra angeli; sulla parete destra, Vestizione di San Bernardino e San Francesco riceve le stimmate; sulla parete sinistra, San Bernardino fa penitenza e Morte del santo. Per Pinturicchio si trattò del suo primo importante incarico e nell'ottenerlo fu favorito sia dal fatto che, in quel periodo, a Roma veniva incentivata l'ascesa di nuovi talenti poiché scarseggiavano grandi maestri, sia perché umbro come il committente.

Cappella di San Pasquale Baylon. In questa cappella è stato recentemente scoperto un affresco della fine del XIII secolo di Pietro Cavallini, raffigurante la Vergine col Bambino tra i SS. Giovanni Battista e Giovanni Evangelista. In Santa Maria in Aracoeli, Cavallini affrescò, nel 1298 circa, anche la calotta absidale con Apparizione della Sibilla all'imperatore Ottaviano Augusto - opera andata persa nella seconda metà del XVI secolo e, sempre in affresco, la Madonna col Bambino e i Santi Matteo e Francesco nella Tomba Acquasparta (post 1302). Nella cappella si trova inoltre l'opera San Pasquale Baylon adora il calice di Vicente Vittoria e, ai lati, i Miracoli di San Pasquale, tele di Daniele Seyter (XVII secolo).

Navata sinistra, Cappelle, selezione

Cappella della Madonna di Loreto. Alle pareti laterali e sulla cupoletta, si trovano gli affreschi con Storie della vita della Vergine di Marzio Ganassini (1613). I pilastri decorati a grottesche vedono la partecipazione anche del padre dell'artista romano, noto con il nome di Cola Antonio. Nei dipinti, il pittore realizzò composizioni in cui compaiono luoghi riconoscibili del paesaggio romano, come l'arco di Settimio Severo e la Cordonata del Campidoglio.

Cappella di Santa Margherita da Cortona. Il dipinto sull'altare, l'Estasi di Santa Margherita, è un'opera ottocentesca di Giuseppe Sales; le due tele laterali Morte di Santa Margherita da Cortona e Santa Margherita ritrova il corpo dell'amato, capolavori di Marco Benefial, furono eseguite nel 1729 e poste sulle pareti laterali della cappella l'11 febbraio 1732.