Nell’immaginario collettivo il nome di Caracalla non è tanto legato all’uccisione del fratello Geta o al fallimento della spedizione contro i Parti quanto invece alle grandiose terme che fece costruire a Roma tra il 212 e il 216 d.C. Quello che vediamo oggi delle Thermae Antoninianae, questo il nome ufficiale latino delle Terme di Caracalla, rappresenta l’esempio meglio conservato di un impianto termale imperiale. All’epoca della loro costruzione, furono le terme più grandi di Roma ma vennero superate in dimensione poco meno di un secolo dopo da quelle di Diocleziano, realizzate nell’area dell’attuale piazza della Repubblica e la cui zona centrale venne trasformata nella chiesa di Santa Maria degli Angeli da Michelangelo. Non furono invece superate in fastosità degli ambienti.

Caracalla fece costruire questo enorme impianto termale per celebrare la sua ascesa al trono nel 211 in modo da attrarre quanto più possibile consenso popolare intorno alla sua figura. I lavori di edificazione delle terme furono imponenti e sconvolsero l’assetto urbano di tutta la zona nelle vicinanze dell’Aventino. Per ricavare lo spazio necessario all’immensa struttura fu sbancato un pendio collinare. Si calcola che vennero rimossi circa 500.000 metri cubi di materiale, modificando per sempre l’assetto morfologico della zona. Il risultato di questo enorme sterro fu la realizzazione di una vasta gradonata con tre diversi piani a differenti quote, con un dislivello totale di 14 metri la cui funzione era direttamente legata alle esigenze progettuali.

Il piano più alto corrispondeva al livello di calpestio attuale; quello intermedio, a 9 metri di profondità, venne concepito per la realizzazione degli ipogei; quello più basso, 14 metri sotto il livello di calpestio, venne realizzato per le fondazioni, per porre alla giusta quota il collettore fognario e per tutte le opere sotterranee connesse con l’impianto idraulico.

Si calcola che a fronte di quel mezzo milione di metri cubi di materiale asportato, siano stati rimessi in sede circa 250.000 metri cubi di altri materiali – per la metà, circa, rappresentati da pozzolana impiegata per la costruzione. Si stima che il solo trasporto di quest’ultima abbia comportato più o meno 150.000 viaggi di carri. Per trasportare i materiali da costruzione impiegati e per collegare il nuovo impianto termale all’area del Circo Massimo, venne realizzata una nuova strada (forse alberata) chiamata via Nova Antoniniana che correva parallela al tratto urbano della via Appia. All’impresa della costruzione, che terminò nel 216 (ma si ebbero interventi fino al 235), parteciparono circa 9.000 operai e alcune centinaia di artisti e ingegneri, scelti fra i migliori di tutto l’impero.

Le terme si estendevano su una superficie di circa 130.000 metri quadrati e il perimetro era costituito da un ampio muro rettangolare di 337 × 328 metri. Questa separazione si apriva su un vasto giardino interno al centro del quale c’era l’impianto termale vero e proprio. L’edificio delle terme era a due piani: nel punto più alto raggiungeva l’altezza di 37 metri e misurava 220 × 114 metri. Poteva ospitare fino a 1.600 persone e si calcola che i singoli ingressi giornalieri arrivassero a molte migliaia di individui. È molto probabile che l’ingresso fosse regolamentato in modo tale che coloro che volevano effettuare il percorso tipico delle varie sale e piscine entrassero per gruppi prestabiliti in modo da evitare affollamenti.

Il percorso canonico si snodava lungo una serie di ambienti in ognuno dei quali il tempo di permanenza doveva essere lo stesso per evitare che ci fossero sale troppo vuote o troppo piene. È stato calcolato che il numero di 1.600 persone si riferisca quindi a un solo turno di ingresso e, considerato che il tempo di permanenza medio poteva attestarsi sulle due ore e che le terme restavano aperte fra le sei e le dieci ore al giorno (sei o sette ore d’inverno e nove o dieci d’estate), il numero totale di persone che entravano giornalmente si può stimare tra le 10.000 e le 12.000.

Se consideriamo però che certamente non tutti usufruivano dei bagni e che molti amavano anche solo passeggiare nei giardini o utilizzare altri servizi, non è troppo azzardato pensare che forse le persone che giornalmente frequentavano le terme potessero arrivare anche a 15.000. Le terme aprivano intorno alle 9 del mattino e restavano aperte fino al tramonto e vi si poteva rimanere tutto il tempo che si voleva. Il momento della giornata che faceva registrare l’affollamento maggiore era intorno alle 14, quando terminava la giornata lavorativa (che per molti Romani durava sei ore circa – dall’alba fino all’ora di pranzo) e la gente si riversava nelle terme per godere di qualche ora di relax prima del tramonto. Uomini e donne dovevano recarsi alle terme in orari differenti per evitare la promiscuità: generalmente le donne andavano la mattina e gli uomini il pomeriggio. Sappiamo però dalle fonti antiche che questa norma era spesso disattesa.

Quali ambienti avremmo trovato nelle Terme di Caracalla? Appena entrati si andava nell’apodyterium, lo spogliatoio, dove si potevano trovare armadietti numerati e nicchie per riporre i propri vestiti. Gli spogliatoi erano in realtà due, adorni di tappeti, sdraio, panche in muratura e lussuosamente decorati; avevano inoltre il pavimento leggermente in pendenza per facilitare il drenaggio dell’acqua che veniva usata in abbondanza durante le pulizie. Una volta usciti dallo spogliatoio, il percorso all’interno dell’impianto termale iniziava con la palestra (erano due). Lì ci si poteva esercitare con pesi e manubri oppure fare attività sportiva come la lotta. Prima di entrare nella palestra, che a differenza di quella moderna era formata da un cortile porticato, si poteva entrare nell’elaeothaesium dove i clienti venivano cosparsi dagli unguentarii con olio e un unguento a base di cera e olio.

Chi voleva invece dedicarsi alla lotta poteva entrare in un altro ambiente chiamato conisterium, dove sopra l’unguento gli veniva applicata della sabbia (necessaria perché facilitava la presa fra i contendenti). Nella palestra i clienti potevano esercitarsi nudi o vestiti di un mantello che proteggeva dall’eventuale pioggia chi era sudato. Gli sport più diffusi erano la scherma, il pugilato, i giochi con la palla e quelli con il cerchio.

Vicino alle palestre vi era un altro ambiente, il destrictarium, dove ci si puliva il corpo tramite raschiamento (effettuato dal personale addetto). Chi voleva poi passava agli ambienti caldi delle terme. Il primo era il calidarium, un vasto ambiente circolare sormontato da un’ardita cupola di 36 metri di diametro sorretta da otto enormi pilastri (due dei quali ancora visibili). Al centro di questa sala si trovava una grande vasca per il bagno caldo e altre sei vasche si aprivano fra un pilastro e l’altro. La temperatura interna dell’ambiente si aggirava intorno ai 30-40 gradi, mentre quella dell’acqua della vasca centrale intorno ai 36 gradi. Le pareti erano alte circa 30 metri e presentavano grandi vetrate che avevano la funzione non solo di illuminare l’ambiente ma anche (essendo esposto a sud) di massimizzare l’irraggiamento solare, garantendo così il calore richiesto alla grande sala naturalmente, oltre che artificialmente.

Alcune piccole fontane di acqua fredda davano la possibilità di rinfrescarsi a chi lo desiderava. Il calidarium era poi collegato, attraverso stretti passaggi per non disperdere il calore, ai laconica, le saune, dotate di sedili in muratura disposti lungo le pareti. In questi ambienti le cui temperature erano molto alte, forse tra i 50 e i 60 gradi, ci si predisponeva per la sudatio, ovvero il bagno di sudore.

Continuando il percorso ci si sarebbe imbattuti in un ambiente sempre presente nelle terme imperiali: il tepidarium. Come dice la parola stessa, si trattava di uno spazio riscaldato solo moderatamente che serviva per far abituare lentamente il corpo al brusco cambio di temperatura fra gli ambienti caldi e quelli freddi. L’acqua del tepidarium era quindi tiepida e, poiché non vi si sostava a lungo, non era particolarmente grande. Da qui si passava al frigidarium, l’ambiente più grande di tutte le terme, dove si poteva fare il bagno freddo. Aveva la struttura di una basilica ed era coperto da tre grandi volte a crociera che poggiavano su otto pilastri che fronteggiavano altrettante colonne di granito. Una di queste rimase in situ fino al 1563, quando venne prelevata e portata a Firenze in piazza Santa Trinita dove ancora si trova.

Di questa ampia struttura, che influenzò architettonicamente le successive terme di Diocleziano e la basilica di Massenzio, possiamo trovare un’eco anche nella moderna Pennsylvania Station a New York. Negli ambienti che si aprivano ai lati del frigidarium vi erano due grandi vasche di granito che oggi si trovano in piazza Farnese a Roma. Trattandosi di un ambiente che nelle terme imperiali era destinato a smistare tante persone contemporaneamente (era infatti uno degli ambienti principali del percorso termale canonico), il frigidarium era sempre di notevoli dimensioni.

Esso era anche molto affollato quando d’inverno non si poteva usufruire della piscina della natatio, l’ultimo grande ambiente che avremmo trovato all’interno del complesso termale e forse il più spettacolare: era costituito infatti da una piscina “olimpionica” scoperta di 50 × 22 metri delimitata da muri alti 20 metri abbelliti da colonne di granito grigio in cui si aprivano nicchie con statue di divinità mitologiche del mondo marino. Le volte degli ambienti a lato della natatio erano decorate con mosaici raffiguranti pesci e animali acquatici: in questo modo i raggi del sole, riflettendosi sull’acqua della grande piscina, creavano bellissimi e spettacolari giochi di luce che davano l’impressione di trovarsi realmente in un acquario dove le creature si muovevano.

Terminato il percorso di bagni all’interno, per chi voleva questo impianto termale offriva anche altro. Usciti infatti dalle terme vere e proprie, ci si poteva dirigere verso il grande muro perimetrale che chiudeva il complesso separandolo dal resto della città e si poteva andare in una delle tante botteghe per fare acquisti, mangiare qualcosa o semplicemente passeggiare nello splendido giardino tutto intorno. Vi erano poi anche servizi aggiuntivi: luoghi per la depilazione, barbieri, sale per il gioco, sale riunioni e ovviamente anche le latrine. Non mancavano, inoltre, spazi appositamente dedicati alla cultura: due lati del muro perimetrale presentavano due grandi esedre, una per lato, dove si poteva assistere a spettacoli teatrali o alla recitazione di poesie. Poco più avanti c’erano due biblioteche, una latina e l’altra greca, com’era tradizione. Anche i clienti più esigenti in fatto di cultura potevano trovare pane per i loro denti.

Mandare avanti un impianto termale di queste dimensioni richiedeva moltissimo personale, certamente diverse centinaia di persone, se non di più, che avevano i compiti più disparati. Una parte di questo personale aveva a che fare direttamente con i clienti come, ad esempio, oltre ai già visti capsarii e unguentarii, gli exercitatores, gli istruttori che lavoravano nelle palestre, i tractatores, i massaggiatori, o gli alipilii, che si occupavano della depilazione per chi la richiedeva. A questo personale qualificato si aggiungevano tutti coloro che si occupavano delle pulizie, del lavaggio della biancheria (per il quale veniva usata la cenere prodotta dai forni di combustione della legna), del trasporto dei materiali, delle tubature e relative riparazioni, dei forni ecc.

Una buona parte di questo personale si muoveva e lavorava in condizioni molto dure al di sotto delle terme, nei corridoi appositamente realizzati sotto il livello di calpestio: un reticolo di gallerie e cunicoli che si intrecciano e si sovrappassano entro tutto il perimetro del recinto esterno.

In questo universo sotterraneo si potevano trovare corridoi e ambienti di servizio, di transito e di deposito, oltre a gallerie e cunicoli connessi con la gestione dell’impianto idraulico (distribuzione dell’acqua, smaltimento delle acque piovane e reflue, impianto di riscaldamento). Molte di queste gallerie erano particolarmente ampie dal momento che riscaldare un impianto termale gigantesco come quello di Caracalla comportava il trasporto e lo stoccaggio di enormi quantità di legna, utilizzata nei forni che producevano tutto il calore necessario. Si calcola che ci fossero almeno 49 forni diversi che bruciavano una quantità di legna stimata in 10 tonnellate al giorno.

Tutta questa legna andava ovviamente conservata in ambienti secchi e di notevoli dimensioni: nel caso delle terme di Caracalla questi spazi erano facilmente raggiungibili non solo a piedi ma anche da carri trainati da cavalli, cosa che possiamo intuire dalla presenza di piccole vasche forse utilizzate per far abbeverare gli animali.

Oltre alla legna, l’altro elemento essenziale allo spettacolare funzionamento delle terme era, ovviamente, l’acqua. Si può stimare che ne venisse utilizzata una quantità giornaliera che oscillava intorno ai 15.000 metri cubi, proveniente dall’Aqua Antoniniana, ramo fatto costruire appositamente da Caracalla che prelevava l’acqua dall’Aqua Tepula e dall’Aqua Iulia. Per molto tempo si è creduto (e ancora oggi si crede erroneamente) che l’acqua del ramo creato apposta per le terme provenisse dall’Acquedotto Marcio, ma recenti studi dell’Università La Sapienza hanno dimostrato, analizzando le incrostazioni presenti nei condotti, che l’acqua usata per le terme proveniva da un bacino vulcanico e non carbonatico (come nel caso dell’Aqua Marcia).

Poiché gli unici acquedotti che sarebbero potuti arrivare all’altezza di 39 metri (la quota dell’Acquedotto di Caracalla) sono l’Aqua Tepula e la Iulia, va da sé che furono questi gli acquedotti di provenienza dell’acqua delle terme. Questa conclusione è stata poi ulteriormente confermata da altre analisi sulle sorgenti e sulle incrostazioni trovate nelle terme stesse.

L’acqua era talmente tanta che in media (calcolando le differenze di portata stagionali) potrebbe essere usata oggigiorno per sopperire le esigenze quotidiane di una cittadina di 66.000 abitanti con una dotazione pro capite di 300 litri al giorno! I serbatoi erano diciotto e probabilmente avevano la funzione di coprire i fabbisogni di acqua nelle ore di punta, avendo una capacità di “soli” 10.000 metri cubi (o poco meno): per questa ragione venivano riempiti ogni notte.

L’acqua dei serbatoi veniva inoltre utilizzata al mattino presto per la pulizia e il riempimento delle vasche, per la pulizia delle sale, della lavanderia e per innaffiare i giardini. Queste operazioni dovevano essere effettuate prima dell’apertura al pubblico. Tutta l’acqua utilizzata quotidianamente veniva poi immessa nel sistema fognario, cosa che fa escludere una sua qualunque forma di riciclo. Essa veniva distribuita a tutto il complesso attraverso un complicato sistema di tubazioni di piombo, per una lunghezza totale di 3.500 metri e un peso di 550 tonnellate.

Se è vero che alcuni dei servizi (come quello delle pulizie) si svolgevano prima dell’apertura delle terme, molti altri, come quelli relativi alla manutenzione degli impianti idraulici, si potevano svolgere durante l’orario di apertura. Gli addetti alla manutenzione erano celati alla vista dei clienti perché operavano rimanendo all’interno delle mura. Ogni punto nodale degli impianti, sia nei sotterranei sia sopra (a volte anche ad altezze vertiginose), era concepito in modo che clienti e operai non potevano mescolarsi e intralciarsi a vicenda.

C’era da questo punto di vista un’attenzione nei riguardi dei clienti delle terme che farebbe invidia a un qualunque servizio moderno di tal genere. Inoltre, la gestione e la manutenzione dell’impianto termico, di quello idraulico e degli altri servizi avvenivano in settori distinti e separati dei sotterranei. Questo dava la possibilità al personale addetto ai servizi di idraulica di effettuare eventuali riparazioni o interventi sulle tubature senza mai sovrapporsi ai percorsi degli altri addetti.

Gli impianti idraulici, data la loro complessità e importanza per il buon funzionamento delle terme, dovevano essere gestiti solo da personale specializzato e tenuti separati per proteggere le tubature da eventuali furti o danni. Colpisce ancora una volta la razionalità di una progettazione che non lasciava niente al caso. Va da sé che l’ingresso a tutti gli ambienti di servizio e ai sotterranei fosse interdetto ai visitatori delle terme. L’unico ambiente sotterraneo accessibile ai non addetti ai lavori era il mitreo, il più grande di Roma e uno dei più grandi di tutto l’impero.

Era composto da cinque ambienti e la sua caratteristica principale era la presenza, in uno di essi, di una fossa rettangolare, messa in comunicazione con uno spazio posto fra due latrine. Da qui si giungeva a una stanza che è stata interpretata come la stalla per il toro. Questa fossa rappresenta un unicum nei mitrei finora ritrovati e corrispondeva alla fossa sanguinis dove veniva versato sugli iniziati il sangue del toro sacrificato durante la cerimonia in onore di Mitra.

Le Terme di Caracalla vennero usate per lungo tempo fino a quando, secondo l’opinione comune, i Goti di Vitige nel 537, tagliando gli acquedotti, misero fine al funzionamento dell’impianto termale. In realtà, stando a quanto ci tramanda il Liber Pontificalis, raccolta di notizie relative ai papi di epoca medievale, sembra che l’acquedotto ancora funzionasse in pieno ix secolo. A suffragare questa testimonianza è anche l’Anonimo di Einsiedeln che, descrivendo nel IX secolo anch’egli gli itinerari dei pellegrini che si recavano a Roma, raccomanda le terme di Caracalla come luogo da non perdere proprio per la presenza dell’acqua. A partiredall’XI e XII secolo si iniziò a portare via alcuni materiali: diversi capitelli vennero impiegati per la costruzione del duomo di Pisa e per la basilica di Santa Maria in Trastevere a Roma.

Nella metà del Cinquecento fu la famiglia Farnese che operò una massiccia spoliazione trovando diverse enormi sculture come il Toro Farnese e l’Ercole Farnese, insieme all’Ercole a riposo, l’Achille e il Troilo. Intanto le terme furono adibite a vigne e orti per lungo tempo, fino alla loro riscoperta archeologica a partire dall’Ottocento. Oggi le Terme di Caracalla sono ridotte a un imponente rudere che, al pari dei “colleghi” ruderi sparsi per la città, può ancora trasmettere l’idea del suo antico e impareggiabile splendore.