Per capire il presente qualche volta ci si deve rivolgere al sogno, all’inconscio od a un’alterità radicale che ci guardi dall’esterno. Se poi questa entità è uno ""zingaro" dagli improbabili occhi azzurri, allora il capovolgimento del reale diventa completo. E’ questa l’idea che sta alla base dell’ultima fatica letteraria di Vittorio Giacobini, giornalista, voce di Radio 3 e scrittore apprezzato. Con L’orizzonte degli eventi, edito da Mondadori Giacopini mette a segno un’altro successo letterario. Lo abbiamo incontrato in una pausa del suo tour di presentazione del romanzo sulla cui copertina troneggia uno dei suoi inconfondibili disegni.

Vittorio Giacopini come nasce L’orizzonte degli eventi, da quale urgenza?

L’idea è nata da una riflessione sul tema della pandemia, il blocco della nostra vita durato qualche anno. Ho cercato di capire cosa stesse accadendo nella nostra storia , ci siamo trovati spiazzati e paralizzati, ho pensato che forse serviva la forma letteraria del romanzo per guardarci da fuori e allora mi è venuta in mente la cosa più banale del mondo: mettere in scena un dialogo onirico tra un io, che esprime una soggettività media e normale, e qualcosa che potesse criticarci dall’esterno, qualcuno che non ci guardasse dall’alto. Allora mi è venuta in mente una figura più radicalmente diversa da noi, ma allo stesso tempo vicina: lo "zingaro" dagli occhi azzurri. Una figura che vive accanto alla nostra società da mille e più anni e che al tempo stesso è lontana dalla nostra società. Ho cercato di capire la paradossalità, il grottesco di quel momento attraverso questa forma di dialogo.

Lo "zingaro" ha gli occhi azzurri perché è frutto di un esperimento terribile del dottor Mengele. Un riferimento storico preciso e probabilmente voluto?

Dato che abbiamo vissuto la pandemia come la cosa più terribile che potesse accadere, ho voluto ridimensionarne il portato. Guardando il Covid in prospettiva storica ci accorgiamo che c’è stato ben di peggio, e ben di peggio sta accadendo. Ho voluto ricordare sin dall’inizio con la figura dello "zingaro" con gli occhi azzurri che appunto lui poteva guardare i nostri guai con una certa compiacenza. E’ giusto ricordare che gli zingari sono stati sterminati nei campi di concentramento dai nazisti. Una pagina orribile è stata quella dell’ Olocausto e del porrajmos zigano. Come si può immaginare gli occhi azzurri non sono una caratteristica somatica degli zingari, il dottor Mengele tra i vari esperimenti che faceva ad Auschwitz, oltre a quelli sui gemelli, iniettava nelle cornee dei ragazzi zingari una sostanza che si chiama blu di metilene per trasformarne le iridi. Il risultato era che o morivano o diventavano ciechi.

Incarnando questo orrore e il peso della storia di persecuzioni millenarie che hanno subito gli zingari, lo "zingaro" con gli occhi azzurri poteva guardare con distacco e una certa ironia il nostro momento di scombussolamento pandemico in cui l’unica cosa che riuscivamo a dire era #andràtuttobene. E il libro scritto quattro anni dopo la pandemia è una sorta di riflessione profetica sul fatto che non è andato tutto bene. La storia si è rimessa in moto in modo arcaico con un codice bellico mentre la pandemia poteva essere anche un’occasione per rivedere questa crisi postmoderna invertendo i nostri rapporti sociali, ridando un valore alla politica che si è subito perduto. E questo è il paradosso che ha a che fare con gli occhi azzurri dello "zingaro”.

Lo "zingaro" infatti, malgrado l’esperimento di Mengele, è quasi veggente quindi vede oltre e di più. C’è un riferimento al Canale di Suez che è storia di questi giorni.

E’ vero che la storia continua a inciampare sul canale di Suez, questo accade dal 1957, però effettivamente è accaduto qualcosa durante il periodo pandemico: ci fu un altro blocco di Suez, una petroliera si incagliò creando lunghe colonne di navi merci che tornavano da sud a nord e viceversa e fu anche una specie di illuminazione perché era un momento in cui pensavamo che l’economia si fosse ormai trasferita nel digitale. Eravamo tutti in remoto mentalmente, pensavamo che la finanza fosse l’unica forma di connessione economica col mondo, poi accade un incidente del genere e di colpo ti rendi conto che esiste ancora una base materiale dell’economia e dei rapporti tra gli uomini molto pesante.

Quindi la “panscemia”, neologismo coniato dallo "zingaro", è anche una riflessione su come la società si è modificata. Gli aspetti grotteschi come la commissione Oms che indaga sul virus e i personaggi improbabili che la animano, sono il pretesto per una narrazione piuttosto oscura.

Quando la storia diventa ridicola e grottesca, lo strumento dell’ironia rappresenta il modo migliore di raccontarla partendo da un vecchio slogan una risata vi seppellirà’, per raccontare una storia cupa era necessario utilizzare un espediente retorico collegato al grottesco. Il sarcasmo come unico modo per guardare la realtà e sabotarla. Abbiamo vissuto dentro una specie di mono-ossessione, era diventato l’unico tema di discussione e il pretesto per discorsi assurdi, complottisti e paranoici. La missione della commissione dell’Organizzazione mondiale della sanità per capire l’origine del morbo l’ho costruita con criteri gender equality, facendo la parodia e la satira del politicamente corretto che è una cosa che sta uccidendo le menti degli intellettuali e non solo. Credo che si debba un po' reagire a questo clima di ossessività, no-vax, complottismi vari, dietrologie. Da quel momento siamo entrati in ossessioni belliche, è arrivata la guerra in Ucraina. Siamo entrati in una fase di stupidità diffusa e collettiva.

Lo "zingaro" compare in un meccanismo onirico per farci capire chi sogna e cosa si sogna, in effetti i social media sono una sorta di sonno collettivo.

Proprio così. Lo "zingaro" sta in una forma di virtualità molto più radicale che è quella dell’inconscio, del sogno e del rapporto ambiguo e poroso che c’è tra il sonno e la veglia. I surrealisti dicevano che la realtà del giorno e l’irrealtà della notte dovevano essere sommate per comprendere la realtà.

Lo "zingaro" si situa proprio in questa irrealtà in cui si avvertono i rumori dei social media. Lui ci sguazza e assume forme diverse, abbandona depliant improbabili, sgualciti e sporchi, si diverte a disorientarci. E questo è sicuramente il suo ruolo e la sua voce fuori dal coro. Chi è lo "zingaro", in realtà? Forse l’alter ego dell’autore stesso?

Lo "zingaro" è diversamente diverso, è uno dei miei personaggi preferiti perché autogenerantesi e poi nella realtà non l’ho mai sognato. Noi gente acculturata e informata abbiamo un’ attenzione per il diverso che sa di degnazione, è quello che va compatito, aiutato, integrato. Invece questo "zingaro" dagli occhi azzurri è radicalmente diverso, per lui il tempo è irrilevante: che la storia sia iniziata mille anni fa o dieci giorni fa non cambia. E’ capace di mischiare le storie dei suoi avi col presente in maniera assolutamente casuale, anche se ha un’idea precisa.

E’ un dialogo affabulatorio, incessante che accompagna chi legge in una sorta di vortice ipnotico.

Per parlare di certe cose forse si deve guardare a una lingua barocca, non seicentesca, ma un linguaggio che ha al suo interno un vortice picaresco, bisognava trovare una lingua che traducesse questo affastellarsi di fatti, musica del tempo attorno a noi.

E’ quasi teatrale?

Mi rendo conto che c'è un impianto teatrale. Potrebbe essere un prossimo capitolo. Sono sempre più affascinato dal teatro, sto pensando di scrivere un libro su una compagna teatrale che mette in scena la vita di Trotzky.

E allora leggiamo il libro di Vittorio Giacopini aspettando la trasposizione teatrale de L’orizzonte degli eventi.