Una dittatura che rimette al centro l’amore per la cultura, per l’arte e per la poesia. Accade in Italia nel 2030. Artefice di questa rivoluzione è un quadrunvirato del quale fa parte anche Athos Rossini che, alla veneranda età di 103 anni, ripercorre le tappe di un cambio di paradigma durato lo spazio di un decennio. Si, perché ci si può ribellare anche al benessere, a lavorare meno e al conquistare finalmente una qualità della vita degna di ogni essere umano.
È questo il romanzo distopico e appassionante Confessioni di un misantropo (edizioni Nave di Teseo), firmato da Claudio Pozzani, fondatore e direttore artistico del Festival Internazionale di Genova che compie trent’anni, nonché poeta tradotto in dieci lingue e musicista. Pozzani mette in pagina quello che rappresenta il desiderio nascosto di ogni intellettuale, di qualsiasi anima che soffra la disattenzione verso la cultura e l’approfondimento. In un mondo di tuttologi a buon mercato, Athos Rossini realizza quello che, nel segreto, vorremmo fare tutti.
Ecco che, leggendo il romanzo di Pozzani ci sentiamo un po’ tutti parte di quel quadrunvirato rivoluzionario, ne comprendiamo le urgenze anche estreme e rimaniamo perplessi nel constatare che quell’età dell’oro possa essere durata così poco.
“Quella di Rossini e dei suoi compagni - racconta Claudio Pozzani - è una dittatura che impone la fantasia al potere; la libertà di condividere il sapere anche utilizzando la tecnologia a favore del popolo, lasciando che i lavori usuranti vengano eseguiti dalle macchine o dai robot, e finalmente le persone possano stare nelle loro case a coltivare lo spirito e le proprie passioni. La riflessione che mi ha portato a scrivere questo libro - chiarisce lo scrittore- è che la maggior parte delle persone oggi non ama il lavoro che fa, vorrebbe fare altro. Molti fanno gli impiegati ma in realtà sono degli artisti; lo vedo costantemente occupandomi dell’organizzazione di eventi culturali. Allora mi sono domandato ma perché la gente si costringe in ambiti che non rappresentano la loro vera vocazione trascorrendo un’intera esistenza a fare ciò che non vogliono, sperando un giorno di fare ciò che davvero amano? Queste e molte altre riflessioni hanno alimentato questo mio lavoro”.
Nel talk show in cui Rossini ripercorre le tappe della sua incredibile esperienza, si declinano i temi cari a Pozzani, argomenti che attraversano come una folgore il male della nostra società annegata nei social, nei like e nella foga di esserci ad ogni costo.
“Coloro che si ribellano alla dittatura culturale di Rossini sono persone che vogliono tornare al lavoro perché, di fatto, hanno paura del tempo libero. Temono l’otium, quello che per i latini era il momento migliore per pensare ed elaborare nuove linee di pensiero, nuovi progetti, nuove possibilità. Questo popolo che si ribella a Rossini, senza lavoro si sente perso; perché la vulgata afferma che senza lavoro non c’è dignità. Credo, invece, che la dignità la si debba avere a prescindere dal lavoro che si compie. La dignità del lavoro oggi la si misura in base allo stipendio, quello è il parametro principale, poi c’è il ruolo e, infine, la competenza. Possiamo tranquillamente affermare che l’80% degli italiani considerino il lavoro vero, quello per cui hanno un’autentica vocazione, l’hobby proprio perché svolgono un lavoro che non è il loro”.
Claudio Pozzani ha attinto dall’osservazione della realtà l’idea per il suo romanzo distopico, “solo l’arte, la cultura, la lettura possono elevare la mente umana da un’etica materialistica, che persegue solo il concetto del proprio orticello, a una visione più ampia che offra una progettualità di cui abbiamo un assoluto bisogno”, osserva ancora.
La poesia di cui Pozzani si occupa grazie a suo Festival Internazionale di Poesia “Parole spalancate” a Genova, è una chiave fondamentale per comprende a che punto l’evoluzione di una società si trovi. “E’ un paese in cui non si è più disponibili all’ ascolto, diventa dunque molto difficile leggere la poesia che necessita di silenzio e ascolto vero per essere interiorizzata e compresa”. E’ la lentezza la parola chiave per entrare nel mondo di un poeta, invece le distrazioni social perturbano uno spazio che dovrebbe essere intimo e riflessivo. Ecco il significato di un romanzo come “Confessioni di un misantropo”.
“E’ un romanzo per metà pessimistico e al contempo ottimistico. La tesi che sottende è quella di svegliarsi e cercare di mettere al centro la nostra dimensione umana attraverso quello che la cultura può offrire dal punto di vista della sensibilità, delle emozioni, prendendo le distanze dagli stereotipi omologati, dai social imperversanti. Torniamo a prendere in mano un libro, troviamo l’anelito per scuoterci di dosso questa narrazione superficiale e recuperiamo la nostra voglia di conoscere”.
Claudio Pozzani, poeta lui stesso, ha avuto il coraggio e l’incoscienza, forse, di fondare trent’anni fa un festival di poesia a Genova. Un evento che ha varcato i confini nazionali e ogni anno raduna le menti poetiche più fulgide e originali del panorama mondiale.
“Non è facile occuparsi di poesia, le risorse sono sempre troppo esigue e dobbiamo sempre fare di necessità virtù, ma questa edizione vogliamo celebrarla come si deve perché rappresenta un grande traguardo. Pensare che la prima edizione si chiamava Genovantacinque, appunto perché nata nel 1995, per poi diventare Parole Spalancate. Abbiamo avuto l’onore di avere sul nostro palco personaggi del calibro di Lou Reed, Fabrizio De André, Capossela, Amos Gitai e tanti altri”.
In fondo, leggendo il romanzo di Pozzani si capisce che Athos Rossini è una sorta di suo alter ego, un avatar che consente all’autore di mettere in luce le tante storture che attraversano il nostro tempo virtuale.
“Athos è un idealista innamorato della bellezza, misantropo perché odia le persone in cui ravvisa la mediocrità, ha il desiderio utopistico di far star bene le persone, di migliorarne la qualità della vita, e nel suo idealismo diventa anche nichilista”.
Leggere Confessioni di un misantropo è un viaggio nel desiderio che ognuno di noi vorrebbe vedere realizzato, peccato si tratti di un romanzo e non di un manifesto politico.