La Puglia è stata, storicamente, terra di emigrazione, e purtroppo lo è ancora, anche se il fenomeno sembra regredire, seppur lentamente. Ogni persona che lascia la terra natia porta via con sé tutta una gamma di ricordi, anche e soprattutto sensoriali, che in qualche modo mantengono vivo il legame con casa.
La memoria umana è un meccanismo portentoso, nella quale ci portiamo dietro tutte le esperienze di una vita, pronte ad essere ripescate dai cassetti in cui sono chiuse, per essere rivissute. Così, riguardando una vecchia foto tornano in mente tanti ricordi legati a un preciso momento. All’interno di questo meccanismo, giocano un ruolo subdolo le memorie gustative, ma soprattutto le memorie olfattive. Una volta che un profumo piacevole viene archiviato in quei cassetti, non ci abbandonerà più, identificando per sempre la sensazione piacevole e le memorie olfattive possono assalirci senza preavviso, magari semplicemente camminando per strada. E allora l’espatriato cercherà in tutti i modi di ricreare gusti e sensazioni che lo riportino indietro nel tempo e nello spazio.
Una mia cugina, una volta diventata bolognese, ha trovato valido supporto nel genitore, che con mirabile costanza, le garantiva un ininterrotto flusso di cibo dalla Puglia. Ogni due o tre mesi, caricava la macchina di ogni ben di Dio: vino autoprodotto (del quale andava fiero), olio “buono”, le verdure del momento, le fave, le frise, le cozze. Si sottoponeva al lungo viaggio Brindisi-Bologna solo per assicurarsi che alla figlia non mancasse mai una bella dose di sapore pugliese.
Per me è stato più difficile. Da quando ho lasciato Brindisi, anche se non sono certo finito troppo lontano, rimanendo comunque in Puglia, ho patito per anni la dolorosa assenza di una specialità tutta salentina, dalla quale confesso di essere assolutamente dipendente: il rustico salentino. Si tratta, caso davvero unico nella regione, di un piatto che non ha derivazione dalle tradizioni contadine, dato che gli ingredienti principali, la pasta sfoglia e la besciamella, non si conciliano con la classica immagine della massaia contadina che usa ingredienti semplici, magari del proprio orto.
Al contrario delle altre bandiere culinarie pugliesi, diffuse in tutto il territorio, il rustico ha una ben precisa delimitazione territoriale: si può trovare nel Salento (dove la presenza è capillare, praticamente in ogni bar), al massimo fino alla zona di Fasano (dove la presenza si dirada). Poi niente. Sparisce. Come se ci fosse una barriera invisibile, che non possa essere superata. Un cattivo sortilegio.
Allora capita di trovare alternative, sicuramente buone, ma inaccettabili per un purista. Rustico con cane macinata. Rustico con spinaci. Non scherziamo! Il Vero rustico è formato da due dischi di pasta sfoglia, con al centro un ripieno di besciamella, pomodoro e mozzarella, con appena un po’ di pepe. Cotto al forno e tenuto in espositore caldo fino al consumo. Ha la forma di un vero e proprio disco, con il ripieno che dà vita ad un cupolino. Solo così ha il suo gusto unico, irrepetibile, perché anche la forma ha importanza nel formare il sapore di questo autentico regalo dell’ingegno umano.
Un regalo di gusto che impersona alla perfezione l’Hakuna Matata salentino, traducibile dialettalmente in “chianu chianu e peffavore” e “nu te nde curare”, non dare peso ai problemi che si presentano, ai condizionamenti che vorrebbero importi, ma guarda e passa: tu, solo, con in mano quel disco bollente, per un tempo indefinito, non hai bisogno di niente e di nessuno e nulla potrà mai turbare il tuo stato di soddisfazione.
In realtà, i problemi ci sono perché, anche se sembrava avere un calore accettabile, dopo il primo morso ti rendi conto che è troppo caldo, ma ormai non ti puoi più fermare. Si è impossessato di te. È troppo buono e accetti di bruciarti lingua e tutto il resto pur di andare avanti. Così diventa una guerra di logoramento. Non esiste dare al mondo il piacere della tua resa, aspettando per farlo raffreddare, anche perché, da freddo, il gusto cambierebbe, e non poco.
Una volta capito che il problema sta al centro, in quella gibbosità carica di gusto, provi ad accerchiarla, con piccoli morsi tutto intorno, ma non è una strada praticabile, anche in virtù della forma perfettamente circolare. Alla fine, torni ad addentare il centro, con il suo magma pronto ad esondare senza freni, per ripagarti con il suo sapore unico. E quando finisci, il tuo primo pensiero è rientrare e prenderne un altro e poi un altro, per appagare il desiderio che ormai si impadronito di te e ti intrappola.
A questo punto bisogna stare attenti. Io stesso, qualche volta, ho ceduto e ne ho preso un altro, forse una volta sono arrivato a tre, poi basta. Perché, per quanto sia buono, bisogna averne rispetto, visto che si tratta di un alimento che non è propriamente leggero per l’apparato gastrointestinale. Potrebbe tranquillamente sostituire un pasto. Una volta mio nipote americano tornò a casa tutto contento, annunciando fiero di averne mangiati otto. È stato male per due giorni. Ha imparato la lezione. Quando ritorna dagli USA ne mangia uno al giorno, per tutta la permanenza. Non riesce proprio a farne a meno. È un carattere di famiglia.
Anche io, ogni volta che ritorno nella natia Brindisi, per prima cosa, mi concedo un rustico, appena sceso dal treno, nel primo bar. Quando, finalmente, ne sento il sapore, il mio animo si predispone ad affrontare positivamente tutti gli impegni che mi attendono e divento come i monaci tibetani intenti nelle loro meditazioni: niente mi può scalfire. Anch’io, nei giorni successivi di permanenza, farò il pieno, sempre senza esagerare.
Non ricordo esattamente quando ho cominciato a mangiarlo, ma sicuramente devo ringraziare mio padre, anche lui appassionato di questa unica alternativa pugliese alla colazione dolce, tutta cornetto e pasticciotto. Da quella prima volta è stata una continua ricerca del rustico migliore, fra Brindisi e Lecce. Ricerca che è arrivata a stabilire dei punti fermi. A Lecce il riferimento è lo storico Alvino, meta di giovanili migrazioni fra amici nei giorni in cui si saltava la scuola. A Brindisi l’epicentro del gusto è il Manhattan, seguito dall’American Bar. E, al bisogno, un po' dovunque, visto che sono pochissimi i bar che non offrono il rustico.
Purtroppo, ho pagato lo scotto del fatto che il rustico non si trovi nel barese, anche se, grazie alle mie capacità culinarie, non mi sono mai arreso all’idea di rinunciare a tutto quel gusto ed ho cominciato a farlo in proprio. Ho elaborato una ricetta con gli stessi ingredienti pasta sfoglia, mozzarella, pomodoro e besciamella, ma lo faccio tipo pizza ripiena, non in dischi. È un piatto che riscuote sempre un gran successo, qualcuno dice che è addirittura più buono dell’originale. Solo io non sono soddisfatto. Buono è buono, ma il sapore non è quello.
Mi è mancato per anni. Poi, all’improvviso a Bari ha aperto Martinucci, rinomata pasticceria salentina e lì ho trovato, quasi in lacrime dalla commozione, l’agognato rustico. Con commozione ancora maggiore, ho saputo che aprirà, a breve, anche a Milano, dove mi trovo spesso. La forzata astinenza è finalmente finita!