Il tortellino a Bologna è un'istituzione. È una cosa serie su cui non scherzare. Un giorno, dopo averne mangiati ben due piatti seduta ad un tavolino di un'osteria del centro città, ho detto “voglio imparare a farli!”.

Detto fatto, ho digitato su google “imparare a fare i tortellini a Bologna” e mi sono apparsi un bel po' di annunci da parte di sfogline e scuole più strutturate. Ne ho scelto uno e mi sono iscritta. Così eccomi suonare alla porte della scuola gestita da Alessandra e Stefania Spisni in un freddo e piovoso pomeriggio, entusiasta di passare le successive tre ore e mezza fra i fornelli.

Appena entrata, giusto il tempo di mettersi il grembiule da cucina e la bandana in testa, e posso subito raggiungere la postazione assegnata: sul tavolo sono già pronti gli ingredienti per la pasta. Condivido l'esperienza con otto compagni di viaggio che durante la cucinata avrò modo di conoscere, vengono da tutta Italia e due dagli Stai Uniti e dal Giappone. Abbiamo la fortuna di avere quattro maestri sfoglini certificati a seguirci. Ci dividono in due gruppi: quattro di noi faranno prima la sfoglia e poi il ripieno, gli altri quattro viceversa, l'importante è che tutti facciano tutte le proprie preparazioni seguiti passo passo.

Io inizio mettendo le mani in pasta. L'obiettivo è realizzare un bel panetto, partendo da farina, uova, acqua e sale. Fortunatamente, il mio primo impasto viene giudicato usabile. Sospiro di sollievo. Se non viene al primo colpo, però, non c'è da disperarsi: dopo la prima mezz'ora, infatti, con più o meno aiuto, io e i miei tre compagni siamo pronti per la fase due: il ripieno.

Cambiamo postazione e ci mettiamo ai fornelli. Ora capisco da dove proveniva quel buon profumino di carne rosolata: è il lombo che sfrigola con il burro, il brodo e il vino frizzantino! Una volta cotto, maciniamo il lombo con la mortadella e con il prosciutto crudo, aggiungiamo un uovo, una grattata di noce moscata, sale e parmigiano e il gioco è fatto. Sembra facile ma per questa ricetta (e sulla sua paternità) modenesi e bolognesi si guardano in cagnesco fin dal 1300.

E non si può certo mettere ciò che si vuole: il 7 dicembre 1974 la Dotta confraternita del tortellino e l'Accademia Italiana della cucina hanno depositato la ricetta del ripieno del tortellino bolognese presso la camera di commercio di Bologna. Al di là di faide e dictat il consiglio, o meglio il mantra che continua a ripete la maestra sfoglina da quando stiamo macinando mi sembra il migliore: un ottimo ripieno è lo specchio di un'accurata scelta di ingradienti. Ergo, se la mortadella non è la vera mortadella bolognese, il prosciutto crudo non è stagionato 24 mesi e il parmigiano è un surrogato, il tortellino farà schifo, semplice e lineare.

Finito di amalgamare il ripieno, prima che lo finiamo tutto a forza di assaggi (è troppo buono!), torniamo al tavolo dove ci aspetta il panetto, bello riposato e pronto per essere steso, anzi sfogliato. Ad uno ad uno ci viene consegnato il mattarello, “il” e non “un” badate bene, perchè ogni attrezzo ha un nome proprio. Bene, io e Antonella saremo un gran team, sfogliere meglio di tutti gli altri. Nel bel mezzo di questa scenetta esilarante, in cui a turno tutti ci siamo sentiti Harry Potter nel negozio di bacchette Olivander, ecco che Megan, una ragazza texana, chiede: “ma non si potrebbe tirare la sfoglia con la macchinetta?”. Sacrilegio! Il silenzio cala nella stanza e posso udire il cuore di tutte le sfogline frantumarsi in mille pezzi.

Superato l'incidente diplomatico Italia-USA iniziamo finalmente a sfogliare. Operazione per nulla facile, ma con i giusti consigli non impossibile, e i risultati dopo un po' si vedono! Un breve controllo in controluce per verificare lo spessore ed ecco pronti otto bei lenzuoli di pasta che a breve saranno tortellini.

Con l'aiuto di un piccolo rullo si ricavano dei quadratini di pasta. Bisognerebbe cercare di andare il più dritti possibili, ma fra il dire e il fare, ci sono una decina di tortellini sacrificati. Si prende, poi, un quadratino, si mette al centro una pallina di ripieno e si richiude, schiacciando bene i bordi e cercando di ottenere un tortellino piccolo e proporzionato. Per capire bene le dimensioni, calcolate che dovrebbero starcene sette in un cucchiaio da minestra. La chiusura del tortellino è un'arte, una maestria frutto di tanta esperienza. Mentre ero intenta nel lavoro, mi si affianca la signora Spisni, per anni eletta miglior sfoglina d'Italia. Per ogni tortellino chiuso da me, lei ne aveva fatti una decina perfetti, il tutto mentre scherzava e parlava amabilmente. Ecco, questa atmosfera è un qualcosa che mi è molto piaciuta: parlare, ridere e scherzare, conoscersi mentre si impasta e si assaggia è forse l'ingrediente segreto per la riuscita della ricetta.

Alla fine della lezione, dopo un piccolo aperitivo e le foto di rito con maestri e compagni, ognuno prende il frutto del proprio lavoro: un vassoio con i gioiellini che è riuscito a confezionare da gustare la sera, a casa, rigorosamente in brodo di carne! Su questo non si scherza, crema di parmigiano, burro o panna neanche a nominarli ai puristi del tortellino, roba da turisti, da chef gourmet che non sanno più che diavoleria inventarsi o da ignari bambini.

Un mio amico bolognese dice che a Bologna si diventa adulti il giorno in cui tua nonna ti piazza davanti il piatto di tortellini in brodo senza averti chiesto prima: “come li vuoi?”. Ci rimani male, invidi il tuo cuginetto con i tortellini alla panna ma devi accettarlo: da ora sei un uomo, devi fare appello al tuo orgoglio personale e mangiare, non puoi inimicarti la famiglia. Non è una tortura, è un rito di passaggio.

La sera mentre gusto il mio piatto di tortellini in brodo mi sento orgogliosa, guardo quei pezzetti di pasta ripieni e penso che per essere la prima volta non sono per niente male. Il giorno dopo apro la mail, ci avevano promesso di inviarci la ricetta. Ma sorpresa, in allegato trovo anche il mio diploma da “Apprendista Sfoglina”. Di strada per diventare sfoglina ce n’è ancora molta ma il primo passo è fatto. É stato un pomeriggio davvero divertente e ho anche imparato a fare i tortellini, sembra quasi impossibile. Mentre stampo l'attestato per appenderlo penso “chiassà se a Megan, nonostante la sua idea di non tirare la pasta con il mattarello, l'hanno mandato?”. Non ho mai avuto il coraggio di chiederglielo.