La nostalgia è l’impossibilità di un istante. La nostalgia è il superamento del presente, quando questa si arreca con una certa arroganza il potere dinamico di forzare il passato, di sfidarlo, agendo retroattivamente per protestare contro l’irreversibile. La vita non acquista contenuto se non nella violazione del tempo: vivere nell’attesa, in ciò che non è ancora (o addirittura in ciò che non sarà mai più), significa accettare lo squilibrio stimolante presupposto dall’avvenire.
La nostalgia è l’ossessione dell’altrove. Questa idea - questa della nostalgia - dev’essere nata in un attimo di distensione, un attimo in cui un languore non ben definito si è insinuato nelle geometrie temporali, nel silenzio dei riflessi. Si arriva, così, a gioire nell’inesprimibile, a trascorrere delle ore nel margine del comprensibile, a crogiolarsi nella periferia del sublime. Per desiderare qualcosa lontana dall’adesso, qualcosa di fondamentalmente altro, bisogna essere disinvestiti dello spazio e del tempo, ma soprattutto è necessario ridursi a una scarsissima affinità con il luogo e con il momento dati.
C’è un posto in cui è possibile tenere insieme il desiderio di allontanarsi dall’adesso e la percezione del legame con la radice di quell’adesso, di quel luogo, di quel momento; da un lato la mia volontà di rimanere immerso in questa comunione del cuore e del suolo, e dall’altro quella di assorbire continuamente lo spazio in un desiderio inappagato.
E poiché lo spazio non ha limite alcuno, con esso aumenta la propensione ai miei vagabondaggi; da qui il gusto eccitante, la passione per i viaggi immateriali, il piacere di questo paesaggio in quanto tale, la mancanza di forma interiore, la profondità tortuosa, seducente e ripugnante allo stesso tempo. Non c’è soluzione alla tensione della complessità: radicato e sradicato allo stesso tempo, non trovo il compromesso tra il focolare e la lontananza.
Conosco un posto tra il cielo e la terra dove nulla accade e tutto succede, un posto dove la follia risiede nella tenerezza, un posto nel quale vanno a coagularsi utopie capricciose e sogni che strisciano. Il mio spirito rimane inerme in questo assalto, e la mia anima assapora gli accenni di ogni proiettile e le allusioni di ogni granata. Accetto questa avventura in piena coscienza, senza perdere la mia lucidità: voglio essere ingannato e mi bendo gli occhi, ma l’equivoco brutale della vita esige il predominio dell’impulso ad ogni istante, e non la volontà di essere giocato metafisicamente.
Quante avversioni, o nostalgie, devo accumulare per risvegliarmi solo, dannatamente superiore all’evidenza? Se dapprima la tendenza ai miei vagabondaggi nasce per evadere dalle cose, quando mi ritrovo eccessivamente oltre, continuo a perdermi nel rimpianto della mia evasione. I miei concetti si combinano come sospiri dissimulati, qualunque riflessione diventa un’interiezione, un colore lacrimoso sommerge la dignità della logica.
Così dimentico un sospiro e mi ritrovo fuori dall’immediato: una noncuranza banale mi ha allontanato da una persona, un gemito diffuso mi ha strappato a una strada dolce. Questo bilancio, questo insieme di distanze accidentali costituisce lo scarto che mi separa dal mondo, e che il mio spirito si sforza di ridurre - e ricondurre - alle mie umane proporzioni. Questa nostalgia mi impedisce di rimanere nell’esistenza del momento, insistendo sulle conseguenze storiche di alcune approssimazioni interiori, obbligandomi a camminare nell’indistinto, a perdere le mie basi, a vivere allo scoperto nel tempo.
Sembra che la nostalgia - strappato al suolo, esiliato nella durata, reciso dalle mie radici immediate, tutto questo equivale alla speranza di una reintegrazione nelle fonti originarie, anteriori alla separazione e alla lacerazione - mi corroda dell’idea di una qualche lontananza da un luogo ideale che io possa identificare come casa, un luogo in cui gravitano tutti i momenti, le persone, le cose, che non sono nel mio adesso, un luogo fuori dalle dimensioni luminose della noia e dalle postulazioni contradditorie dell’infinito; la sua corrosione assume la forma del ritorno verso casa, un luogo finito, immediato, un richiamo terrestre e materno.
E come lo spirito, in questa aspirazione nostalgica, il cuore non desidera altro che qualcosa di palpabile, una sorta di calore astratto, eterogeneo al tempo e affine a un presentimento celeste. Tutto ciò che non accetta qualunque esistenza confina con la teologia, e così la nostalgia non è altro che una teologia sentimentale in cui l’assolutezza viene costruita dagli elementi del desiderio e l’indeterminatezza viene elaborata da un languore non ben definito.