Nel nostro mondo si sente spesso parlare della differenza fra forma e sostanza, rappresentate come implicitamente negativa (la forma) e positiva (la sostanza).
Facendo ricerca per un argomento di tutt’altra natura, sono incappato per caso nella teoria aristotelica dell’ilomorfismo, e ne sono rimasto affascinato. L’ho trovata ancora più raffinata e interessante della teoria delle Idee platoniche, il che non dovrebbe stupire sapendo che Aristotele era stato allievo di Platone.
Secondo Platone, ciò che esiste in questo mondo rispecchia temporaneamente ciò che esiste eternamente in forma di Idea. Le idee, secondo Platone, sono sia eterne che condivise da tutti, e illustra questo punto facendo il seguente esempio: se chiediamo a qualcuno di disegnare un albero, chiunque ne è capace, ma nessuno disegnerà lo stesso albero. Quindi, deve esistere un modello, un esempio, un’idea di Albero, con determinate caratteristiche, tali per cui non solo chiunque può disegnare un albero, ma chiunque veda un albero disegnato è immediatamente in grado di riconoscerlo come albero.
Un altro esempio è l’idea di “numero” in matematica. Il Due, come quantità, esiste ma non è visibile. Per poter essere visibile, deve manifestarsi in un “qualcosa”, o meglio nella forma di qualcosa: due persone, due alberi, due macchine. Senza la forma di un oggetto, l’Idea di Due può essere concepita, ma non rappresentata.
La trovo, di per sé, una intuizione straordinaria, perché va proprio alla radice del rapporto tra esistenza e realtà. Il presupposto della teoria delle Idee platoniche è che deve esistere un’idea per tutto ciò che esiste, di conseguenza il numero delle Idee è potenzialmente infinito. Platone colloca il Mondo delle Idee nell’ Iperuranio, cioè al di là della volta celeste, al di fuori della realtà materiale in un “luogo” completamente metafisico. Secondo Aristotele, invece, le Idee risiedono direttamente nel mondo della realtà, e sono inseparabili da essa. È per questo che nel famoso quando di Raffaello “la scuola di Atene”, conservato nei Musei Vaticani, Platone è rappresentato con l’indice puntato verso l’alto, e Aristotele con la mano che orizzontale rispetto al terreno.
Aristotele aggiunge una difficoltà in più: oltre a spiegare la natura della realtà fisica in rapporto a quella metafisica, vuole anche spiegare materialmente come si realizza il passaggio da Idea a oggetto concreto. La teoria di Aristotele, chiamata ilemorfismo, consiste di quattro elementi:
- Idea (eidos, είδος )
- materia (hyle, ὕλη)
- forma fisica (morphé, μορφή)
- sostanza o essenza (ousia οὐσία)
Semplificando, la relazione fra di essi è questa: l’Idea fa da modello per un oggetto. L’oggetto è il risultato della combinazione della materia e della forma che questa assume in accordo con le “istruzioni” dell’idea. L’insieme delle caratteristiche della materia organizzata in forma secondo le istruzioni dell’Idea è ciò che costituisce la “sostanza”, o l’essenza, di quell’oggetto.
Prendendo ad esempio un tavolo, occorre per prima cosa l’Idea di tavolo, che ha una serie di caratteristiche comuni (come avere un piano orizzontale, almeno tre gambe, solitamente quattro, essere alto abbastanza da potercisi sedere sotto, etc.). Quindi, l’Idea causa l’hyle, la materia prima della struttura della realtà, di assumere la forma e le caratteristiche di un tavolo. Questo magari è di metallo, rotondo e con un design nordico, oppure di legno, rettangolare, ammaccato e segnato. Sono entrambi tavoli, entrambi formati da hyle, ma hanno una forma diversa. Tramite la forma diversa, e altri dettagli come il materiale, il colore etc. ciascuno di essi possiede una propria “sostanza”.
La realtà diventa quindi questione del rapporto tra il potenziale (dynamisé, *δύναμις) della materia l’azione (enérgeia, ἐνέργεια) che la organizza in una forma e con caratteristiche particolari. Esiste una discussione molto acuta sulla natura della realtà anche nella tradizione filosofica cinese. La formulazione più completa, anche se non è la prima in ordine cronologico, viene da Zhūxī (1130 – 1200), il filosofo più importante del Neoconfucianesimo, la cui influenza sulla cultura laica dell’Asia è seconda solo a quella di Confucio stesso.
Zhūxī afferma che realtà è costituita da due aspetti: uno immutabile, eterno, al di sopra della realtà stessa, chiamato Lǐ 理, e uno materiale, concreto, chiamato qì 気(in giapponese, ki). Il Lǐ è la Regola, in un certo senso l’insieme di istruzioni, per il manifestarsi di qualsiasi fenomeno della realtà, compresi i pensieri e le emozioni. Il qì è ciò di cui sono composti tutti i fenomeni della realtà, compresi i pensieri e le emozioni. Mentre il Lǐ è fisso, immobile ed immutabile, il qì è dinamico e continuamente mutevole. Il mutamento del qì si concretizza nell’alternarsi delle sue manifestazioni, yīn陰 e yáng陽.
Zhūxī e tutti i filosofi Neoconfuciani insistono sul fatto che yīn e yáng non sono due diversi tipi di qì, ma due manifestazioni dello stesso qì con caratteristiche diverse: lo yīn ad esempio è caratterizzato come umido, freddo, femminile etc., mentre lo yáng è caratterizzato come secco, caldo, maschile, etc. Contrariamente a come spesso li si rappresenta, yīn e yáng non sono opposti, sono polarità che si trasformano continuamente l’una nell’altra. Diversamente, il noto simbolo che li rappresenta sarebbe un cerchio diviso esattamente in due, e non un cerchio con due parti in procinto di trasformarsi l’una nell’altra. Certamente non sono una rappresentazione del bene e del male, che è di per sé una lettura completamente sbagliata, e neppure la rappresentazione dell’idea che “dentro ogni bene c’è un po’ di male e viceversa”, che è una sciocchezza senza senso.
Come mai Aristotele e Zhūxī, rispettivamente i pesi massimi della filosofia greca e del Neoconfucianesimo, si sono occupati degli stessi problemi arrivando a conclusioni alquanto simili? Non c’è motivo di ritenere, e non vi sono prove archeologiche per speculare, che cinesi e greci si siano mai incontrati, né che abbiano scambiato idee. È più probabile che, visto che i problemi degli esseri umani sono gli stessi, pensatori di calibro simile siano giunti naturalmente a individuare soluzioni dalle caratteristiche simili.
La prospettiva aristotelica e quella di Zhūxī sono quindi tentativi di descrivere la struttura della realtà, la trama che rende possibile la manifestazione di tutti i suoi fenomeni. Nel caso di Zhūxī, molto meno noto di Confucio, di cui si considerava allievo, la cosa particolarmente interessante è la sua articolata difesa dell’idea che tutto quello che esiste all’esterno e, crucialmente, all’interno dell’essere umano, è costituito dalla medesima materia, e che questa materia si organizza in modo funzionale secondo l’ordine impartito dal Principio del Lǐ. Quella di Zhūxī si caratterizza quindi come una vera “Teoria del Tutto” in cui la totalità dell’esperienza, dai fenomeni naturali alle questioni etiche, sono costituiti della medesima materia e riconducibili allo stesso Principio.