L’I Ching, conosciuto anche come il Libro dei Mutamenti, è un testo che emerge dall’antichità mitica della Cina pre imperiale e racchiude in sé una millenaria saggezza, confluita nel tempo sia nel confucianesimo sia nel taoismo. Consta di 64 segni composti da sei linee ciascuno; a loro volta le linee possono essere intere o spezzate e rappresenterebbero un antico sistema di carattere oracolare per esprimere il sì e il no. Tra un segno e un altro c’è sempre una differenza a dimostrazione che qualche cosa è mutato, una sola linea o tutte e sei: ecco perché ognuno dei 64 esagrammi è unico ma in un certo senso derivato da un altro che gli è affine attraverso un percorso che lo ha portato a cambiare.
L’idea del fluire incessabile delle cose fa venire in mente a noi occidentali il panta rei attribuito a Eraclito ma la cosa stupefacente è che, in un’epoca contemporanea al filosofo presocratico ma dall’altra parte del mondo, Confucio scriveva queste parole nei suoi Dialoghi (Lun Yü, IX, 16): “Tutto fluisce e scorre come questo fiume, senza sosta”. È evidente l’idea archetipica di fondo: il moto, generatore di energia, essendo l’elemento che sta alla base di tutte le azioni umane è diventato il nucleo primigenio dell’I Ching.
Jung, nel suo noto commento all’edizione inglese del libro, insiste sul concetto di casualità e non di causalità insita nell’interpretazione della realtà nell’antica visione cinese; questo significa che, utilizzando l’I Ching come metodo divinatorio, l’esagramma uscente in un dato momento ‘è’ quel momento in modo sincronico. Mi piace pensare che in ambito musicale l’ascolto di un suono o di un accordo proceda nello stesso modo: la medesima nota, anche ripetuta mille volte, va da sé che non sarà mai più quella della prima volta, cambiando necessariamente le condizioni del suo ascolto; come un esagramma estratto all’infinito non avrà mai la stessa interpretazione in quanto condizionato dal suo essere nel tempo e nello spazio.
Piergiorgio Odifreddi puntualizza ne Il matematico impenitente che solo dall’undicesimo secolo gli esagrammi furono giustapposti in maniera numerica così come vengono presentati nelle moderne edizioni: nelle epoche precedenti non c’era un ordine di classificazione univoco. Probabilmente fu proprio questo ordine che conquistò la mente matematica del filosofo tedesco Gottfried Wilhelm von Leibniz quando venne a conoscenza dell’I Ching da scambi epistolari con gesuiti di stanza in Cina, e lo indusse a vedere nelle linee intere e in quelle spezzate la base di quella che sarà la numerazione binaria.
Date queste necessarie premesse ed essendo evidente ormai quanto il testo abbia influenzato le arti figurative, la psicanalisi, la religione e la matematica, non poteva mancare anche una relazione con la musica. John Cage nel 1951, applicando il principio dell’alea al suo metodo compositivo, scrisse Music of Changes per pianoforte, opera generata in modo completo dalla consultazione dell’I Ching: questo implica che le note, la loro durata, il tempo, la velocità e la dinamica nascono dalla casualità di un momento.
La cosa, non del tutto originale, è affascinante e divertente allo stesso tempo ma ciò che dell’operazione ritengo degno di interesse è solo l’idea di riuscire a ‘far suonare’ il libro, anche se il modo trovato da Cage – per altro perfettamente in linea con i dettami dell’I Ching – genera un risultato molto distante dal mio concetto di composizione (e di ascolto). Il suo fu solo un meccanismo di estrazione a sorte come possono essercene molti altri: pensavo fosse necessario invece tentare di rendere unici gli esagrammi così che ciascuno avesse la propria caratteristica e portasse con sé una sua specifica vibrazione. Così nacque la prima bozza per quello che sarebbe divenuto il sestetto d’archi. Si osservino il primo e il secondo esagramma e li si pensi come la sovrapposizione di sei note: nel primo caso tutte e sei stanno ferme per l’intera durata della battuta; nel secondo stanno ferme per un valore inferiore alla metà della battuta e poi, dopo un silenzio, ripetono la stessa cosa ma con note diverse. Si applichi ora lo stesso procedimento a tutti gli altri 62 segni rimanenti.
I sei suoni non sono stati scelti a caso ma corrispondono ai primi tre armonici sovrapposti (suono fondamentale, suono a distanza di ottava e suono a distanza di quinta) sia per il trigramma inferiore sia per quello superiore. È la combinazione più pura e geometricamente perfetta che si possa immaginare: non ci sono tensioni né ambiguità modali e la scelta degli archi per l’esecuzione mi è parsa come una obbligata conseguenza logica perché la corda, sia essa pizzicata, strofinata o percossa, è ciò che più si avvicina all’idea di vibrazione e quindi di moto. Anche senza conoscere la musica si può intuire il semplice meccanismo di generazione degli esagrammi/accordi guardando questa immagine:
Il principio compositivo che regola i 15 minuti di musica del sestetto è naturalmente quello del mutamento ma senza ricorrere né a melodia né a variazioni: ogni esagramma è stato trasformato in un granitico blocco di sei suoni sempre diversi nella loro stratificazione ma che cambiano a seconda del rapporto con l’esagramma da cui sono generati.
La partitura completa di I Ching è disponibile sul sito della Ucla Music Library (University of California) ed è scaricabile gratuitamente qui.