Avveniva di loro due
come del caprifoglio
che si avvinghia al nocciolo

(Maria di Francia, Lais del Caprifoglio)

Un racconto medioevale che tradisce reminiscenze più antiche e che vela carismi e sfumature che vanno al di là di una semplice vicenda di amore cortese anche se la storia della sua ricezione narrativa e culturale lo ha ridotto ad una semplice icona sentimentale dell’amore impossibile. Se analizziamo invece freddamente alcuni dettagli della vicenda ci accorgiamo facilmente di come vi siano rilevanti incongruenze e anomalie rispetto ai canoni standard di un racconto cortese-tragico con le solite antinomìe fra ruoli sociali confliggenti con i moti dell’animo dei singoli personaggi (in questo già pre-romantico proprio in quanto grecamente tragico).

In primo luogo contempliamo questo nome che personalmente mi ha sempre affascinato e intrigato: Isotta! Chi può non amare questo nome? Ispira subito simpatia e serenità. Come vorrei avere una figlia o una gatta per chiamarla: Isottaaa, Isottaaa! Forme curve e rigore verticale emanano dal nome e dalla sua grafìa. Un daimon solare e felice dorme in questo nome che appare un nome direi "animato", vivo, palpitante. Che aura possiede? A cosa rinvia restando se stesso? Il nome appare spesso epifania di un’anima, di un'essenza reale e profonda ma pure sfuggente, imprevedibile.

Isotta "la Bionda" figlia del Re d'Irlanda, Regina di Cornovaglia e Musa dominatrice di Tristano, cioè del pitico "Drostan" l'impetuoso, cavaliere della Tavola Rotonda il cui segno è l'arpa come la coppa è il segno di questa ideale Dama. Isotta quindi rivela tratti iperborei e ancestrali e appare colei che regna sugli spiriti guerrieri più tenaci come appunto il nostro errante Tristano il quale lontano da lei langue e si lascia morire. La morte di Tristano e Isotta ci ricorda quella di Romeo e Giulietta quanto quella di Paride soccorso in ritardo dall’amata Ninfa dell’Ida Enone. Morti che sembrano immagini archetipali, sciamaniche. Ci fu persino una troviera donna medioevale in Francia che si chiamava come lei: Iseut de Capio.

Donne forti, indipendenti, astute ma pure epifanicamente irradianti luce, poesia, creatività. Non a caso in Italia questo strano e raro nome celtico-germanico che rinvia al ghiaccio o al ferro nonostante la sua dolcezza fonica nella lingua italica, è molto diffuso soprattutto in Emilia; terra di donne forti come "La Leonessa di Forlì", l’impetuosa Caterina Sforza. Una storia quella di Isotta di probabile origine normanna che reca il segno vitale della bardica "follia nordica" e che attraversa tutta quella "terra del Graal" che è il cuore dell'Europa e che allora chiamavano Lotaringia: dalle Fiandre alla Toscana passando per Alsazia, Lorena, Palatinato, Borgogna e Svevia. Isotta: un nome che non ha corrispondenti fra i santi cristiani, altra stranezza e anomalìa oltre il suo naturale congiungere un senso di dolcezza armonica con quella di una forza inesorabile.

Tristano invece parte male a livello di ricezione culturale della storia proprio perché la latinizzazione del suo nome britannico induce purtroppo un senso di “tristezza” che non centra nulla con la vicenda. Tristano è orfano ed è figlio di Biancofiore, nome parlante che ricorda l’amata di Perceval nell’opera di Chretien de Troyes oltre a corrispondere ad una segnaletica araldica merovingia-normanna che rinvia all’epos del Graal e alla nobiltà del nucleo originario della Francia. Tristano come Marco è un re-cavaliere che appartiene alla cerchia eletta della Tavola Rotonda di Artù. Secondo il poema inglese Ser Tristem Biancofiore invece è una regina gallese molestata da un gigante e salvata proprio da Tristano.

L’incertezza sulle origini del nostro eroe appare una conferma della nobiltà e sacralità della sua stirpe graalica, avvolta da un alone di mistero. La successione zio-nipote poi appare decisiva sia per le stirpi merovinge che nei romanzi del Graal. Non è un caso che re Marco, suo zio, sia considerato discendente di “Costantino di Cornovaglia” e per altre fonti figlio di “Costantino di Britannia”, ultimo re della Dumnonia, cioè si tratta degli re-capi romano-britannici prima del predominio sassone, ritenuti a loro volta antenati di Uther Pendragon padre di Artù. Goffredo di Monmouth considerava antenato di Artù Flavio Claudio Costantino, detto Costantino III, generale romano autoproclamatosi Imperatore contro Onorio ritenuto usurpatore del titolo.

Tristano quindi si rivela parente addirittura di re Artù e discendente del sangue imperiale romano mostrando come l’epos arturiano si intrecciava profondamente con l’epos britannico avverso all’invasore barbarico sassone e il tutto riceve un’ulteriore aura mitizzante dal tema di Costantino il Grande presente in Britannia presso il padre Costanzo Cloro, Cesare e poi Augusto d’Occidente e con la leggenda di Costantino stesso nato a York mentre oggi si ritiene nato a Naisso/Nis in Illiria (oggi Serbia). Il fatto che Tristano abbia come suo segno-talismano l’arpa lo conferma anche quale cavaliere-poeta-bardo errante, come tutti le figure vicine all’epos del Graal.

Vediamo in sintesi il suo articolarsi per sottolinearne i tratti interni che contrastano con i canoni cortesi-romantici. La Cornovaglia è vessata da un gigante-mostro chiamato Morholt (Moroldo) che è anche il fratello del re d’Irlanda e quindi lo zio di Isotta la cui madre reca il suo medesimo nome.

Già questi due particolari insieme al fatto che è Isotta che avvelena la spada di Morholt per renderlo ancora più efficace in battaglia e quindi sarà lei a dover guarire Tristano quando vincerà il gigante ma ne rimarrà ferito ci indicano come Isotta la Bionda non sia la debole vittima di una vicenda sfortunata ma una donna totemico-sacrale simile alle altre donne di cui parla la studiosa Antonella Sciancalepore nel suo saggio: La Dea dei cavalieri. Isotta come Ginevra, Morgana, Viviana, Penelope, Elena, Medea e Circe: una donna-maga dai tratti artemidei-afroditici che sa ammaliare perdutamente gli eroi ed esprime una sapienza antica anche sciamanico-guaritrice mescolata con un indubbio fascino erotico.

È Tristano che dipende da Isotta e deve vincere un drago in Irlanda per potersi a lei di nuovo avvicinare. Il tema essenziale della vicenda è quindi più politico-iniziatico che amoroso-sentimentale. Isotta da potenza nemica diventa la promessa sposa di re Marco (Mark = cavallo, in bretone) e quindi esprime ancora una volta il suo carisma regale-ancestrale di mediazione fra due regni sacri. Tristano è quindi il cavaliere-eroe “campione” sia di Marco che di Isotta, come sarà Lancillotto per Ginevra-Artù.

Il fatto che nel viaggio di ritorno verso la Cornovaglia sia presente sulla nave una coppa che reca una pozione incantatoria che dona una sorta di follia amorosa conferma ulteriormente la superiorità spirituale di Isotta sui cavalieri e sui re e ricorda archetipalmente lo stesso sacro Graal quale tesoro che può guarire quanto dare la follia a chi non è degno di avvicinarsi o custodirlo. A cosa serviva tale coppa incantatoria se il tema è quello di un’alleanza politico-militare fra regno d’Irlanda e regno di Cornovaglia? Quando mai nell’antichità i sentimenti individuali e personali avrebbero preso un ruolo narrativo centrale? Mancano ancora sette secoli all’emergere del romanticismo borghese!

La coppa di Isotta rivela il suo carisma regale-iniziatico che deve garantire l’autonomia del Regno d’Irlanda e la sua superiorità iperborea sia verso re Marco che verso il suo successore: il prossimo re Tristano. Non centra nulla alcun discorso di tradimenti borghesi da commediola moderna. Se Isotta la Bionda era così affascinante e bella non sarebbe servita alcuna coppa e alcuna magica pozione! Seconda anomalìa: Re Marco non consuma il suo matrimonio con Isotta. Altro dettaglio che rivela che il fatto che non siamo in presenza di una normale storiella di amore cortese che eccede nella lussuria come poi sarà ridotta la vicenda di Lancillotto.

Tristano non è un cavaliere fallito come Lancillotto ma un eroe-bardo errante che deve garantire l’alleanza fra gli Iperborei d’Irlanda e i Britanni e la conseguente perpetuazione della sovranità mistico-erotica incorporata in Isotta. Per queste regine sacrali è normale e giusto avere più amanti devoti e serventi, più cavalieri che a loro si consacrano, sia per un discorso di misticismo cavalleresco (che poi darà vita al Dolce Stil Novo e ai Fedeli d’Amore) che per un discorso pratico di garanzia di più possibilità di perpetuazione di una stirpe aristocratica considerata eletta.

La non consumazione di tale matrimonio indica l’autonomia e la libertà di Isotta la cui sola presenza rafforza il regno di Marco a lei interessato non tanto come donna e non carnalmente ma quale Regina sacra di sapienza e iniziazione. Terza “anomalìa”, rispetto ad un normale racconto cortese-romantico, lo sposalizio di Tristano con un doppione di Isotta che reca il suo stesso nome: Isotta dalle bianche mani, bretone, figlia di re ma pur dalle origini misteriosamente poco raccontate, come in parte sono quelle di Tristano stesso. Questo tema ricorda il simile racconto delle “due Ginevre”, una vera e una falsa che connota alcune versioni delle storie arturiane (Lancelot en prose) come pure ricorda il tema delle copie delle più preziose reliquie cristiane quale tradizione di difesa delle reliquie vere.

Il colore bianco dopotutto sembra implicito nella radice del nome “Ginevra” e la moltiplicazione di Isotta dimostra l’efficacia e la necessità del suo ruolo mitizzante di iniziatrice-formatrice di eroi e di regni. Tristano non consuma con Isotta la bretone quanto Marco non consuma con Isotta l’irlandese. Evidentemente è la stessa figura totemico-sciamanica che domina l’area britannico-protogaelica e che conferisce la sovranità possedendo la mente dei propri adepti come le antiche Muse, Ninfe, sacerdotesse iniziatiche.

Il tema infine delle vele bianche o nere quale annunciatrici di un evento decisivo e l’errore-fraintendimento-inganno nella loro segnalazione dimostra la chiara influenza del Mito greco su questi racconti in quanto deriva direttamente dall’epos di Teseo di ritorno da Creta. Gli stessi ostaggi umani richiesti da cattivo eroe-gigante Morholt ricordano i sacrifici umani quelli imposti ad Atene dal Re di Creta Minosse per il suo Minotauro.

La “morte per crepacuore” di Tristano mostra il suo fallimento come cavaliere-eroe che deve sostenere il peso del fascino della sua Dama-Signora in attesa di divenire degno di succedere al Regno di Cornovaglia o di fondarne uno nuovo. In questo la crisi di Tristano è simile al fallimento graalico e cortese di Lancillotto dove l’amore di sapienza e ideale mistico-erotico decade nella normale e volgare ossessione carnale deviando dai canali rituali-iniziatici previsti e tradizionali. Ecco perché Tristano appare anche quale folle, quale “uomo selvatico” o bagatto o jolly.

A questo punto non serve più neppure Isotta come regina se il suo adepto si perde…L’epos degli ultimi cavalieri erranti è sempre un epos tragico della crisi della cavalleria errante britannico-germanica come sarà quello graalico dove la maggioranza dei cavalieri vaganti fallirà, si perderà, impazzirà.