Corre il 1948 nel borgo di St Helens, nel Merseyside, nord-ovest dell’Inghilterra. La guerra è terminata da tre anni ed i ricordi più terribili rappresentano cicatrici indelebili, alcune visibili sui corpi, altre insite nelle stanze più buie di milioni menti che non riusciranno mai a dimenticare. Tuttavia, le ferite sono accompagnate da un travolgente desiderio di rinascita e di spensieratezza.
La gente intende svagarsi in qualunque maniera possibile: luoghi come il cinema ed il teatro sono ripopolati, prima abbandonati per anni da uomini costretti al fronte e da instancabili donne che hanno riempito le corsie dei letti ospedalieri.
Il ripopolamento non trascura nemmeno gli stadi, dove sono ricominciati i campionati di calcio. La passione attraversa sia gli impianti sportivi più prestigiosi che persino gli ambienti più complicati, come le carceri: ed è qui, in un penitenziario del Lancashire, che l’ex soldato tedesco Bernhard Carl "Bert" Trautmann, gioca a calcio con gli altri prigionieri di guerra degli Alleati. Bert si offre abbastanza casualmente di giocare in porta, per poi decidere di non lasciarla più. Ciò che lascia nel 1948 è invece la prigione, ma non l’Inghilterra: anziché tornare tra le ceneri di una patria la cui capitale è divisa in due da un muro, Bernhard Trautmann si fa apprezzare come uomo e come portiere a St Helens, diventando per i locali semplicemente ed affettuosamente “Bert”. La squadra amatoriale della città rappresenta il suo primo palcoscenico e grazie alle sue prestazioni sportive raccoglie l’interesse di uno scout di una nota squadra professionistica, il Manchester City.
La parabola ascendente del portiere tedesco incontra però lo sfavore della stampa e il malumore della città: Bert non è semplicemente un tedesco, e quindi già di per sè un ex nemico, bensì un ex paracadutista della Luftwaffe. Servizio militare che lo aveva condotto a ricevere la Croce di Ferro, medaglia al valore propria della Germania nazista. Il giorno della sua presentazione alla squadra, ben 20.000 persone riempiono la piazza di Manchester protestando contro l’ingaggio di quello che consideravano un ex nazista omicida.
La situazione di Trautmann è motivo di divisione tra i cittadini inglesi: da una parte, il risentimento dei più adulti e della comunità ebraica di Manchester, la cui ferita lasciata dagli orrori nazisti è ancora troppo fresca. Dall’altra, il desiderio di allontanare il ricordo della guerra e di ricominciare proprio da un’inaspettata amicizia contro il vecchio nemico. La vicenda si conclude con la dirigenza del Manchester City che ultima il trasferimento con il supporto del rabbino locale; quest’ultimo lo disegna alla stampa come una persona per bene e priva di ogni inclinazione antisemita.
Nonostante il benestare del rabbino, un enorme quantità di fischi ricopre le prime partite di Bert. Tuttavia, le sue parate e il suo spirito di sacrificio per la squadra trasformano la spinosa querelle in applausi ed apprezzamenti da parte della tifoseria Citizen. Bert riceve continue offerte da club tedeschi, ma persiste nel rifiutarle indistintamente, rinunciando consapevolmente ad essere convocato in Nazionale, dove allora si consideravano solo giocatori che militavano in patria.
L’amore e la riconoscenza di Bert verso il popolo inglese è tale da farlo giocare con ben cinque vertebre del collo dislocate in occasione dalla finale di FA Cup del 1956 contro il Birmingham City, poi vinta da Trautmann e compagni. Nello stesso anno, Bert riceve il premio come Giocatore dell’Anno: è il primo straniero ad ottenerlo.
Le sue gesta sportive sono notevoli, ma ciò che rimane negli anni successivi è la sua figura da collante tra due popoli un tempo sanguinosi nemici, così come il suo esempio di riuscita integrazione nonostante odio e diffidenza abbiano inizialmente accompagnato il suo arrivo a Manchester. In tal senso, nel 2004 viene nominato ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico in virtù del suo impegno e della sua dedizione nelle relazioni tra il popolo tedesco e quello inglese. La sua storia ci insegna anche una grande lezione nei rapporti: non è importante ciò che una persona è stata o ciò che pensiamo sia stata, ma ciò che è e che intende fare della propria vita con pieno libero arbitrio.