La disciplina, secondo il vocabolario Treccani è, in breve, un complesso di norme e la sua osservazione ma anche materia di insegnamento, come ad esempio una disciplina sportiva. Nel caso specifico che voglio invece trattare qui, intendo quell’abilità che sviluppiamo nel fare le cose anche quando ci manca la voglia, anche nei momenti più difficili, quando vorremmo mollare o il nostro cervello trova qualsiasi scusa per sfuggirne.
La disciplina è uno dei pilastri che reggono il percorso di crescita personale, uno dei miei paradigmi che ritengo fondamentali affinché si possa davvero cambiare, o raggiungere un obiettivo ed è uno dei termini che più uso fino a farmi odiare dai miei figli.
Chiunque svolga un’attività sportiva (e non solo) sa cosa intendo: svegliarsi tutte le mattine, col freddo o col bel tempo, col buio o con la luce, in ogni situazione, indossando le scarpette e andando a correre, nonostante non ne abbiamo alcuna voglia. Alzarsi tutti i giorni per andare a scuola o a lavoro anche quando le giornate sono grigie e vorremmo rimanere sotto le coperte, è disciplina.
Nella mia gioventù, quando ero atleta agonista, ricordo le mattine che, prima di andare a scuola, il mio papà mi svegliava alle 5.15 del mattino perché mi accompagnava ad allenarmi (anche lui aveva una grande disciplina). Alle 6.15 ero già in acqua, a soli 15 anni, mi allenavo fino alle 8 per poi andare a scuola alle 8.45. Alle 14 ero di nuovo in acqua fino alle 16 per poi andare in palestra alle 17. In una settimana nuotavo otto volte, andavo in palestra tre volte e spesso nei week end si gareggiava.
Non era divertente, anzi, ricordo che mi costava tanto, ma lo facevo senza che nessuno mi obbligasse a farlo, io sapevo che andava fatto, sapevo che, se avessi voluto raggiungere quell’obiettivo, dovevo sopportare anche questi carichi di lavoro e sentivo di star facendo la cosa giusta, anche se dovevo rinunciare alle uscite con gli amici o a qualche gita scolastica.
A dirla tutta quel tipo di vita mi faceva sentire diverso, migliore, ammirevole… Gli amici mi consideravano quasi un supereroe e a scuola venivo considerato una specie di marziano. Ma a me importava relativamente, sì ovviamente sentivo orgoglio e sapere di suscitare ammirazione e questo mi faceva stare bene, mi dava più spinta, ma il motivo principale era il volere raggiungere un obiettivo. Superavo i momenti più duri perché sapevo anche che, se non l’avessi fatto, avrei dato un vantaggio ai miei avversari, sapevo che, se non avessi mollato nei momenti più difficili avrei potuto fare la differenza e questo contava davvero per me.
Oggi, nonostante io non sia riuscito a raggiungere il mio sogno dell’Olimpiade, non cambierei nulla di ciò che ho fatto perché, come ho più volte specificato in altri articoli e come spesso uso dire nei miei incontri di coaching, non è importante solo cosa otteniamo ma soprattutto chi diventiamo nel percorso che facciamo verso l’obiettivo. Il risultato finale, il raggiungimento dell’obiettivo, è qualcosa che può arrivare ma anche no, i motivi possono essere molteplici e a volte non dipendono da noi.
Ci può essere sfortuna, ci può essere che gli altri siano più bravi di noi, ma ciò che importa è la persona che man mano diventiamo per raggiungere l’obiettivo. La disciplina, in questo, è un elemento troppo importante che contribuisce in maniera essenziale alla trasformazione, indipendentemente dal risultato finale. Se oggi sono quello che sono, lo devo a quello che ho fatto e a chi sono diventato.
Se vuoi raggiungere un obiettivo, che sia esso sportivo agonistico o amatoriale, che sia un esame universitario, un diploma, un master o una laurea, non puoi prescindere dalla disciplina, non puoi dimenticare che per diventare un campione devi comportarti da campione, se vuoi diventare un imprenditore affermato devi comportarti da imprenditore affermato.
Quando non hai voglia e nonostante tutto, indossi le scarpette, o ti metti in auto, o in catena di montaggio, o indossi la divisa o la cravatta e svolgi il tuo lavoro, è perché sai che è l’unico modo per ottenere il risultato cui ambisci.
Soltanto così, tassello dopo tassello, mattone dopo mattone, chilometro dopo chilometro, riuscirai a tirare su la tua struttura. I giorni no in cui hai lavorato lo stesso, sono quei mattoni che alla fine non vedi ma che senza i quali il palazzo non reggerebbe. Sono i giorni da “mediano” che Ligabue canta, quando parla di lavoro sporco. Sono quei giorni che non riesci a far brillare quella luce importante per illuminare ma che, nonostante tutto, riesci a completare. Sono i giorni duri quelli che ti fanno crescere perché, quando il mare è calmo sappiamo navigare tutti, ma è con la tempesta che si vede il vero marinaio.
Una delle figure che meglio rappresenta la disciplina e che spesso viene utilizzata in meme motivazionali è l’iceberg: noi vediamo solo la cima, vediamo solo cosa esce dall’acqua ma sottovalutiamo l’importanza di tutto quello che c’è sotto. La disciplina è la radice dell’albero che cresce di nascosto sotto il terreno e che consente alla pianta di resistere nei momenti in cui l’acqua scarseggia o quando il tempo spazza le foglie, perché è la base solida che le consente di mantenersi salda in ogni momento, sia che ci sia bel tempo che una tempesta.
Spesso mi è capitato di leggere storie meravigliose di persone che sono riuscite a far avverare i loro sogni grazie ad una disciplina ed una fede incrollabile. Ho letto storie incredibili di atleti che hanno saputo crescere e migliorarsi nonostante le avversità. La storia delle sorelle Williams (meravigliosamente raccontata nel film con Will Smith) in cui due ragazzine americane non certo benestanti ma con un padre testardo, arrivate ai vertici del mondo nel tennis femminile, oppure quella di Diana Nyad che all’età di 64 anni ha nuotato da Cuba alla Florida per 177 chilometri senza mai fermarsi, nemmeno la notte, senza ausili e senza gabbia di protezione contro gli squali, quella di Alex Zanardi o di Bebe Vio, sono solo alcuni esempi di una forza e di una disciplina incredibili.
La disciplina quindi, va allenata, come un muscolo, come va allenata la felicità, come la capacità di sopportare, di reagire, come la forza di volontà, tutto necessita della nostra determinazione, per far sì che diventi un’abitudine e come tale, automatica e tatuata nel nostro DNA.