Nell’ambito del Progetto Accoglienza per i bambini di 3 anni che si affacciano alla Scuola dell’Infanzia statale, nella mia esperienza d’insegnante decennale, ho sempre trovato maggiore corrispondenza e affinità nell’educazione alle emozioni, che svolgono un ruolo primario nella pedagogia, specialmente, dei bambini più piccoli, perché è dalla base, che bisogna cominciare a “fare bene scuola”.

Nella tradizione culturale e filosofica occidentale, le emozioni sono state spesso considerate come un ostacolo al pensiero razionale, di conseguenza, il compito fondamentale per la persona razionale doveva essere quello di controllare e, spesso, reprimere gli stati emozionali.

Fortunatamente, recenti studi di neuropsicologia riconoscono alle emozioni un ruolo centrale in tutti i processi cognitivi, comportamentali e di apprendimento. In particolare, le ricerche e gli studi del dott. John Gottman, professore di psicologia all’Università di Washington, hanno dato vita, alla fine degli anni ’90, al suo libro Intelligenza emotiva per un figlio, “quale strumento eminentemente pratico, ma scientificamente fondato, per i genitori che vogliono offrire ai figli il bagaglio essenziale per affrontare la vita”, come affermato nella prefazione dal dott. Daniel Goleman, già autore di Intelligenza emotiva.

In generale, l’intelligenza che comunemente si prende in considerazione è quella misurabile attraverso il Q.I. ma, come ormai si sa, esistono vari tipi di intelligenze, riscontrabili e formabili in evoluzione infantile, almeno cinque tipi o addirittura otto tipi di abilità intellettive, note anche come intelligenze multiple, come afferma il neuropsicologo statunitense Howard Gardner nel suo libro “Frames of mind”, ma qui si vuole approfondire l’approccio teorico/pratico all’intelligenza emotiva, pur riconoscendo l’importanza delle altre.

Ciò che spesso risulta mancante nelle spiegazioni teoriche è proprio la.. pratica! Ovvero, quelle piccole frasi o comportamenti basici che, se detti o fatti al momento opportuno, possono fare la differenza in tutti i rapporti, specie in quelli d’interazione con gruppi di bambini, anche provenienti da culture diverse tra loro, in rapporto alla crescita, allo sviluppo e, in una sola parola, all’educazione.

Riporto, pertanto, qui il percorso di alfabetizzazione emozionale, che prevede il raggiungimento di quattro obiettivi:

  • la consapevolezza delle proprie emozioni;
  • il riconoscimento delle emozioni altrui;
  • la comprensione delle proprie emozioni;
  • la gestione delle proprie emozioni;

Basandosi sulle cinque fasi dell’Allenamento emotivo, che permette, a genitori e insegnanti, rispettivamente, di allevare figli e di formare alunni emotivamente intelligenti. L’Allenamento emotivo, di cui parla Gottman, ci fornisce uno schema basato sulla comunicazione emozionale.

Quando i genitori offrono empatia ai loro figli e, parallelamente, quando gli insegnanti offrono empatia ai loro alunni, li stanno aiutando a saper affrontare sentimenti negativi come la collera, la tristezza e la paura, gettando tra sé e loro un ponte di lealtà e attaccamento, che resterà saldo anche in futuro. Il segreto sta tutto nel modo in cui genitori e insegnanti interagiscono coi bambini, quando le emozioni diventano intense. La chiave non si trova in teorie complesse, in regole elaborate o in contorte formule comportamentali, bensì nei sentimenti profondi di amore e di affetto, che si dimostrano semplicemente, attraverso l’empatia e la comprensione. Una buona prassi educativa, infatti, comincia dal cuore dei genitori e poi continua, momento per momento, nello stare vicini ai figli, quando la tensione emotiva cresce, quando essi sono tristi, arrabbiati o spaventati. L’essenza dell’essere genitori sta nell’esserci, quando esserci conta davvero.

John Gottmann

“La vita famigliare è la prima scuola nella quale apprendiamo insegnamenti riguardanti la vita emotiva” scrive Daniel Goleman, considerando i genitori come appartenenti a due categorie: quelli che rappresentano per i figli una guida nel mondo delle emozioni e quelli che, invece, non svolgono questo ruolo.

Egli chiama “allenatori emotivi” i genitori che si sono fatti coinvolgere nei sentimenti dei figli, definendoli “genitori-allenatori”, fornendo un esempio pratico di comunicazione emozionale, che riporto di seguito, perché fortemente chiarificatrice: Diane: Mettiti la giacca, Joshua. È ora di andare all’asilo.
Joshua: No! Non voglio andare all’asilo.
Diane: Non ci vuoi andare? Perché?
Joshua: Perché voglio stare a casa con te.
Diane: Davvero?
Joshua: Sì, voglio stare a casa.
Diane: Caspita! Penso di capire come ti senti. Ci sono certe mattine che anch’io vorrei rimanere con te, accoccolati in poltrona a guardare libri insieme, invece di uscire di casa, ma, sai una cosa? Ho dato la parola a quelli del mio ufficio che sarei stata lì alle nove e non posso mancare alla parola data.
Joshua: (mettendosi a piangere) Ma perché no? Non è giusto, io non ci voglio andare.

Diane: Vieni qui, Josh (lo prende in braccio). Mi dispiace, amore, ma non possiamo rimanere a casa. Scommetto che è questo che ti fa arrabbiare, vero?
Joshua: (annuendo) Sì.
Diane: E sei anche un po' triste, eh?
Joshua: Sì.
Diane: Anch’io sono un po' triste (lo lascia piangere un po', continuando a tenerlo stretto e lasciando che sfoghi le lacrime), ma senti che cosa facciamo. Pensiamo a domani, quando non dovremo andare né al lavoro né all’asilo. Domani potremo trascorrere tutta la giornata insieme. Perché non pensi a qualcosa di speciale che ti piacerebbe fare domani?
Joshua: Possiamo mangiare le frittelle e guardare i cartoni?
Diane: Certo! Sarebbe una grande idea. Nient’altro?
Joshua: Posso portare anche il carrettino al parco?
Diane: Perché no?
Joshua: E può venire anche Kyle?
Diane: Forse, però dobbiamo chiederlo alla sua mamma. Ma adesso è ora di andare, d’accordo?
Joshua: Vabbè.

Il processo comunicativo si svolge in cinque fasi e il genitore-allenatore:

  1. Diventa consapevole dell’emozione del bambino.
  2. Riconosce in quell’emozione un’opportunità d’intimità e insegnamento.
  3. Ascolta con empatia e convalida i sentimenti del bambino.
  4. Aiuta il bambino a trovare le parole per definire le emozioni che sta provando.
  5. Pone dei limiti, mentre esplora le strategie per risolvere il problema in questione.

Quest’ultima fase, in particolar modo, chiarifica il concetto di azione genitoriale efficace in ambito del totale sviluppo evolutivo, in quanto determina il recinto di azione del bambino, senza costrizioni da parte del genitore, bensì sviluppando quella guida fondamentale che rende la crescita costellata di sicurezza proveniente dalla figura genitoriale stessa, punto di riferimento per tutta la vita, anche adulta. Per maggior chiarezza, il genitore che chiede al bambino cosa vuole fare, per esempio, se andare al ristorante oppure in gelateria, abdica completamente il proprio ruolo, scambiandolo mentre crea, al contempo, instabilità emotiva.

In ambito scolastico, ugualmente, i bambini vengono ascoltati e accompagnati dalle insegnanti ad usare il linguaggio del cuore, come durante un momento di gioco libero, in cui una bambina si avvicina alla maestra, come nell’esempio pratico che segue: Sophia: (con gli occhi bassi) Lei mi ha fatto male!
Insegnante: Cosa è successo?
Sophia: Alexia mi ha fatto così (si batte una mano sul braccio).
Insegnante: Sei triste, perché non ti ha rispettata?
Sophia: Sì, ho bisogno di rispetto.
Insegnante: Dillo ad Alexia il tuo bisogno, che è molto prezioso.
Sophia: Va bene (torna a giocare).

Condividere coi genitori la capacità di ascolto empatico, per far riconoscere ai bambini e far loro descrivere le emozioni con chiarezza, permettendogli di” buttare fuori” i sentimenti di angoscia, disperazione, confusione senza reprimere la rabbia, come “sentimento cattivo”, usandola, invece, come campanello di allarme di un bisogno non soddisfatto, crea l’armonia d’intervento che risolve, specialmente i conflitti, perché la rabbia non ascoltata prosciugherebbe l’energia, dirigendola verso azioni punitive.

Invece, aiutando i piccoli a comprendere che i conflitti si possono trasformare in dialoghi pacifici, dove ognuno può esprimere senza paura cosa abbia fatto scaturire eventuali gesti o parole maldestri, si creano le basi per la comprensione del mondo.

Proprio questo linguaggio condiviso offrirà ai bambini strumenti concreti per maturare la propria identità personale, poiché fragilità evolutive, nel periodo dal 3 ai 6 anni, quali la difficoltà di attaccamento genitore-bambino, carenti repertori di abilità sociali o ridotte capacità di auto-regolazione emozionale possono favorire comportamenti aggressivi e la possibilità di trasformarsi anche in condotte devianti, quali il bullismo, negli anni successivi.

Prendendoli per mano, giorno dopo giorno, i bambini imparano a percepire sentimenti e bisogni che vivono dentro di sé e il rispetto di quelli degli altri, facendoli entrare così più facilmente in contatto con i pari, mentre diventano emotivamente più intelligenti.