Ne sentivo parlare tempo fa ad un qualche telegiornale nazionale, non ricordo esattamente il nome dell’intervistata ma ne ricordo la terribile storia fatta anche di denuncia e rivalsa. Come lei quella di tante altre giovani donne, in grave sovrappeso.
Ma il punto non è semplicemente questo, ovviamente. Il tema è quello di un’ormai orribile e prepotente società dove tutto è permesso, dove identità e libertà individuali sono sempre sottoposti al giudizio implacabile di qualcun altro, quasi sempre più forte.
È bufera. Giustamente. L’intervista televisiva parte dai risultati nefasti della sciocca, raccapricciante, insensata, terribile, devastante e crudele sfida sul social TikTok, partita la scorsa estate, chiamata “Boiler Summer Cup”: una challenge dove i ragazzi, per guadagnare più punti (più chili più punti, che si traducono poi in un ingresso o in un drink gratis), devono adescare e rimorchiare le ragazze più in sovrappeso della discoteca (o della spiaggia) e sedurle, per non usare i termini volgari impiegati per il destino da infliggere alle malcapitate. Mentre un amico filma il tutto di nascosto, da postare rigorosamente in rete, ovviamente senza consenso alcuno. L’aver ballato con uno scaldabagno (il boiler, appunto), miseramente conquistato, dopo fasulle carezze e baci, fa sentire questi giovani virgulti fieri e virili. Machismo puro e di quelli molto molto vergognosi.
Sono basita e letteralmente disgustata al solo pensiero, ho il mal di stomaco, mi sale il sangue al cervello: come si può davvero anche solo immaginare un misto simile di bullismo, misoginia e ‘bodyshaming’? Non una semplice idea goliardica né una di quelle sfide mortali di qualche anno fa, ma è un gioco (se tale si può definire) altrettanto idiota.
Quello che è certo è che questo fenomeno rappresenta un nuovo ed ennesimo episodio di quella sovraesposizione del corpo che caratterizza la nostra epoca, fatta di pubblicità patinate e scintillanti che inneggiano all’eccessiva cura e di canoni di bellezza imposti, dove dominano corpi eternamente belli, perfetti e giovani. Oltre che eterei.
Ma se in adolescenza il corpo è al centro delle trasformazioni ed è strettamente integrato con la crescita della mente, proprio per tale motivo a questi giovani probabilmente disorientati e confusi e che reagiscono in questi modi grossolani e camerateschi va fatto capire che ognuno è diverso, che la fisicità con le sue risonanze emotive appartengono a ciascuno. Senza diritto di critica e nella libertà di vedersi e accettarsi come si voglia.
Occorre ritrovare l’unità inscindibile del corpo e della mente, riportare l’attenzione sul rispetto verso i sentimenti dell’altro e la sua individualità. Ciascuno si piaccia com’è.
Noi adulti abbiamo un ruolo importante. Noi e il cinema, come spesso accade.
Ecco allora un bellissimo cortometraggio animato (di soli nove minuti): Roberto, della regista spagnola Carmen Córdoba. Un film contro il ‘bodyshaming’.
Sapete, ormai, quanto teniamo a presentare corti che parlano sociale.
Un filo per stendere il bucato unisce le finestre del piccolo Roberto, curioso bambino con le ciglia folte con il dono del disegno e della sua vicina. Quel filo unisce le due camerette, unico canale di comunicazione fra le due giovani e tenere anime.
Il bambino ne è innamorato e cerca di impressionarla con un disegno ma, vedendosi ritratta, lei soffre avvertendo l'incolmabile divario con l'immagine che ha di sé. Timida e insicura, molto sovrappeso, la bambina si sente a disagio con il proprio corpo. Roberto non vede nulla di strano in lei, nulla davvero. Disegni e cuori continuano a passare sul filo.
15 anni dopo, Roberto è diventato un pittore ed è ancora innamorato di lei, che ancora si nasconde, vergognandosi del suo corpo. Il suo senso di vergogna è reso ancora più forte dal fatto che Roberto dipinge corpi di donne magrissime, quasi ne fosse morbosamente ossessionato. La donna sa di non poter competere con la perfezione di quelle immagini e questo la getta nello sconforto più totale. Si vede sempre brutta e paffutella. Ma lui no.
Il vecchio ma tenace filo da bucato è l'unico modo per comunicare e il giovane usa la sua arte per convincere l'amata ad affrontare i propri mostri una volta per tutte...
E il finale a sorpresa dimostra quanto la percezione che abbiamo del nostro corpo, in cui troviamo sempre innumerevoli difetti, non corrisponde mai alla realtà.
Già premiato in numerosi festival internazionali e gratuitamente fruibile online (potete trovarlo nel catalogo di RaiPlay), il film Roberto accende i riflettori sul disagio e malessere di coloro che non si sentono accettati dal mondo a causa di modelli estetici che esaltano la perfezione e la magrezza e che possono ferire come scimitarre affilate.
Una tenera, commovente ed emozionante piccola storia d’amore che fa uscire dalla gabbia delle insicurezze e fa un passo in più verso i grandi cambiamenti, sempre lenti e difficili. Perché insegna ad affrontare con coraggio e tenacia i propri fantasmi, ma, soprattutto, ad amare e ad amarsi. Nessuno ricorda più Martin Luther King e la sua frase potente "La mia libertà finisce dove comincia la vostra", concetto, peraltro, già presente nelle teorie kantiane. È ora di ricordarsene.
Corto caldamente consigliato, a tutti.
Carmen Córdoba González
Coniugando un profilo artistico con la sua carriera professionale di ingegnere informatico, nel 2012 decide di dedicarsi esclusivamente all’animazione e allo storytelling. Roberto è il suo primo cortometraggio e il motivo di questo cambiamento di vita. Attualmente insegna animazione 3D online e presso l’Università di Murcia.
Roberto ha vinto più di 160 premi e ha ottenuto più di 350 selezioni in festival nazionali e internazionali; è stato candidato per il miglior cortometraggio d’animazione ai Goya Awards 2021 e uno dei 3 finalisti per il miglior cortometraggio ai Quirino Awards 2021 per l’animazione iberoamericana.