“La finalità cui deve tendere ogni sistema è evidente: la piena realizzazione della persona umana. Idee, finalità e obiettivi che troneggiano nell’opera del maestro Isgrò. In tutto ciò, Emilio Isgrò è giurista”. È quanto afferma Luigi Balestra, Professore ordinario di Diritto civile nel Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Bologna, nonché Vice Presidente del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti. Ed è proprio nel luogo deputato del sapere, il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Bologna, che si svela l’impronta concettuale di un grande artista: Emilio Isgrò.
Proprio nel prestigioso Palazzo Malvezzi, sede del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Ateneo bolognese, si è svolta l’originalissima mostra “La Cancellazione dei Codici. Civile e penale” di Emilio Isgrò, a cura di R. Cristina Mazzantini (Direttrice Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea di Roma), Lorenzo Balbi (Direttore MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna) e Marco Bazzini (Responsabile scientifico Archivio Emilio Isgrò).
Così il famoso artista siciliano (Barcellona Pozzo di Gotto, 1937), che vive e lavora a Milano, è andato in scena a Bologna con un’opera davvero originale: un’opera che ha saputo andare ben oltre i codici linguistici e visivi per affrontare le storie della quotidianità e in questo caso della giustizia. Una sorta di performance visiva, ma anche testuale e verbale, tesa a “trattare” e argomentare del “silenzio della Legge” come ha ampiamente dimostrato in quest’ultima sua performance visiva/verbale, ma anche quale artista scrupoloso e attento indagatore dell’evoluzione della società e del suo tempo.
Emilio Isgrò, infatti, con le sue cancellature (La Costituzione cancellata, Mappamondo, Divina Commedia) ci fa riflettere su atti, codici, leggi, civili e penali, secondo gli stilemi che da sempre lo contraddistinguono: le cancellazioni. Ed è lo stesso Isgrò ad affermare “Ho cancellato il Codice civile e il Codice penale perché senza parola non c’è diritto – spiega Isgrò – e senza diritto non c’è democrazia. Il primo impegno dell’arte è quello di discutere in un mondo che urla”.
Il progetto espositivo, promosso dall’Archivio Emilio Isgrò in collaborazione con MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna e Giuffrè Francis Lefebvre, con il patrocinio del Dipartimento di Scienze Giuridiche, Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, e con il sostegno della Galleria Gaburro di Verona e Milano, segna un passo in avanti nell’indagine e nella ricerca della verità, di storie e di stilemi, di pratiche e codici che necessitano attente ed esperte interpretazioni: “letture” e analisi profonde che si spingono ben oltre forme e procedure, manuali, codici e codificate strutture.
Tra gli innovatori del linguaggio artistico del secondo dopoguerra, Emilio Isgrò è il padre indiscusso della cancellatura, un atto che cominciò a sperimentare nei primi anni Sessanta e di cui ancora oggi mantiene la stessa vivacità e audacia creativa. È proprio questa originale ricerca sul linguaggio anche in occasione della mostra bolognese a renderlo una figura pressoché unica nel panorama dell’arte contemporanea internazionale, facendone uno dei suoi indiscussi protagonisti.
L’artista inizia nel 1964 a realizzare le prime opere intervenendo su testi, in particolare le pagine dei libri, coprendone manualmente una grande parte sotto rigorose griglie pittoriche. Le parole e le immagini sono cancellate singolarmente con un segno denso e del testo scritto che restano leggibili soltanto per piccoli frammenti di frasi o per un solo vocabolo.
Frammenti, identità, storie, identità proprie come in Civile e penale, Penale e civile, Codice dei delitti, Codice del contrasto, Codice del testamento, Codice dell’adottato, Codice dell’ergastolo e della multa, Codice dell’ignoranza incancellabile, Codice della conseguenza, Codice della proprietà, Codice delle osservanze, Codice del godimento, Codice del lavoro, Codice dell’ergastolo provvisorio, Codice dell’ignoranza, o il Codice dell’incolumità, tutte opere del 2022 eseguite attraverso una tecnica mista su tela, stampata su libro e legno, di grande impatto visivo e concettuale, o di una testimonianza reale.
E nel tempo questo gesto della cancellazione ha assunto così una diretta espressione, o la concretezza di una diretta comunicazione. Il cancellare, del resto, non è tanto un gesto contraddittorio tra distruzione e ricostruzione, quanto un’affermazione, dove parole e immagini non sono oltraggiate dalla cancellatura ma attraverso questa restituiscono nuova linfa a un significante portatore di più significati: l’essenza primaria di ogni opera d’arte. E la cancellatura è la lingua inconfondibile della ricerca artistica di Emilio Isgrò che anche in questa occasione appare come una filosofia alternativa alla visione del mondo contemporaneo: spiega più cose di quanto non dica.
Nell’esposizione di Palazzo Malvezzi, ben 29 sono i testi giuridici, in particolare il Codice civile e il Codice penale, sui quali Isgrò è intervenuto con la sua cifra espressiva, ovvero cancellando parti del testo, col fine di proporre una diversa riflessione sul significato di convivenza comune. Superando con l’atto della cancellatura le caratteristiche della lingua asciutta e fortemente antipoetica propria delle raccolte di norme giuridiche con cui l’artista siciliano ha dato origine a lavori dal forte impatto formale, che richiamano attenzionalità e riflessione proprio per la loro incontestabile verità. Così su un testo cancellato in nero e bianco, attraversato anche da qualche formica, le parole superstiti danno voce a nuove interpretazioni del testo come, per limitarsi ad alcuni esempi: “I condomini sono l’autorità giudiziaria” o “La falsa dichiarazione sulla propria identità, dichiara o attesta altre qualità”.
I codici sui quali Isgrò è intervenuto appartengono alla serie di volumi realizzata appositamente da Giuffrè Francis Lefebvre, i cui redattori, esperti di Diritto, hanno collaborato con l’artista prima del suo intervento. Ma ad arricchire questo percorso espositivo lungo il quale si snoda l’opera di Isgrò è anche la cancellatura de Il discorso di Pericle agli ateniesi riportato nel libro II dell’opera di Tucidide La Guerra del Peloponneso. Tre sono i volumi in cui l’artista è intervenuto sul discorso del politico, oratore e militare greco che guidò Atene in uno dei suoi periodi di massimo splendore e ancora esercita il proprio fascino sulla cultura umanistica occidentale. Ciò che Pericle scrive sul senso della democrazia, sui valori umani e sul rispetto delle leggi, ha fatto di Atene un mito che mantiene le sue radici nella società di oggi.
“Ho cancellato il Codice civile e il Codice penale perché senza parola non c’è diritto – spiega Emilio Isgrò – e senza diritto non c’è democrazia. Il primo impegno dell’arte è quello di discutere in un mondo che urla”. E a far da contrappunto alle affermazioni e alle opere di Isgrò è Cristina Mazzantini che fa presente come “La cancellazione dei codici conferma l’intensa relazione tra la ricerca artistica di Isgrò e la sua militanza sociale. Avvertendo una crisi planetaria, Isgrò usa l’arte, responsabile nei confronti della storia, per difendere la democrazia. A partire dalle origini ateniesi, cancella la letteratura giuridica più attuale, mettendo in luce quelle parole che meglio garantiscono la libertà e l’emancipazione”.
La cancellatura come atto costruttivo in quanto generatore di dibattito e di significato. Proprio come dichiara lo stesso Emilio Isgrò: «Si cancella per svelare, non per distruggere»”. E si potrebbe aggiungere che cancellare può avere anche una funzione catartica, liberatoria, o di una possibile rinascita.
Così, “Tra i diversi fili rossi che attraversano l’intero corpus cancellatorio di Isgrò – come ricorda Marco Bazzini – è possibile recuperarne uno che ha guardato con particolare attenzione alla letteratura giuridica. Non a caso le prime cancellature su questo argomento, sono datate alla fine degli anni Sessanta e nel tempo, a scansione temporale irregolare, si ripropongono fino ad arrivare a questi ultimi Codici che ne rappresentano, restando in tema, l’ultimo grado di giudizio”.
Anche così “la più antica Facoltà giuridica del mondo incontra Emilio Isgrò, pittore, poeta, giornalista, scrittore, regista e... giurista”. Questo è il possibile titolo per un evento straordinario come questo – afferma ancora il professor Luigi Balestra, Professore ordinario di Diritto civile dell’Università di Bologna – che celebra un incontro tra i luoghi in cui ha iniziato a germogliare il diritto in epoca moderna e un artista, fattosi giurista attraverso la consapevolezza, derivante dallo studio colto e raffinato dei testi giuridici, di una precipua esigenza: cogliere la vera essenza dei testi, espungendone tutti quei contenuti inidonei ad esprimerla. Ovvero dissentendo dai medesimi ogniqualvolta essi si pongano in conflitto con i valori fondamentali su cui si fonda la pacifica convivenza civile e le libertà democratiche”.
Anche Daria de Pretis e Francesco Viganò, giuristi e giudici della Corte costituzionale, hanno interpretato i Codici di Isgrò in due lunghi, approfonditi e originali saggi pubblicati sul catalogo edito da Allemandi che accompagna l’esposizione bolognese che, giova ricordarlo, nacque a Castel Capuano, sede della Scuola Superiore della Magistratura. Per una storia di “cancellazioni”, annotazioni e riflessioni, quale necessità di un’empatia, verso una sensibilizzazione che stia dalla parte degli “ultimi”, per difenderli e per “aver cura” della verità o, per l’appunto, per “la piena realizzazione della persona umana”.