Non si saprebbe se partire dagli specchi
per definire i segni o partire dai segni
per definire gli specchi
(Umberto Eco, Sugli specchi)
Sappi che il mondo intero è uno specchio
e in ogni atomo si trovano cento soli fiammeggianti
(Mahmud Shabestari, Ghulsan-i Raz)
Coscienza cioè consapevolezza. Di cosa? Si può avere coscienza del tutto o del nulla? No. La coscienza implica un qualcosa o un qualcuno, un limite, un corpo quale suo “oggetto”. Ma la coscienza non è una semplice proiezione del soggetto. Se io schiaccio l’oggetto della mia coscienza allora non ne sono cosciente ma lo uso o consumo solamente. Perché ci sia coscienza quindi occorre che il soggetto non annulli l’oggetto ma lo accolga, lo rispetti, anzi: si immerga in esso come chi nuota si immerge nel mare.
Chi nuota pretende di dominare il mare mentre nuota? Sarebbe ridicolo. Nuota perché il mare gli permette di nuotare. La coscienza è quindi misura? Sì e no. Certo si arresta di fronte all’immenso delle stelle ma nel contemplarle ne ha coscienza. È quindi un camminare sulla soglia, sul limite, sul crinale, sullo spartiacque della montagna. Un camminare che è chiamato a farsi rispettoso, delicato, consapevole appunto. La certezza piena annulla la coscienza. La vera coscienza è: “scienza di co”, per sua natura incompiuta, incompleta, necessitante ricerca. C’è coscienza senza identità? Sì e no.
L’identità si rivela spesso un mito e un falso mito. Parliamo oggi spesso di “identità” ma la confondiamo altrettante volte con qualcosa che è una merce da vendere, una posizione di rendita da tutelare, un rapporto di forza da imporre. Identità all’origine indica invece una capacità di visione. Id indica nella radice sanscrita e poi greca il vedere e un vedere che è conoscere. Com-prendere in latino indica un abbraccio: un toccare tutt’attorno, come se si cercasse di capire muovendosi al buio.
E il buio ce lo portiamo dentro. Che sia un buio sereno, non chiuso alle luci e all’incontro. Siamo in proporzione alla nostra capacità di visione, di vedere anche nel buio, di vedere anche il buio. Se non abbracci quindi non vivi la tua coscienza e se non vuoi vedere, se non vuoi partecipare allora sei cieco, non sei, non sai di esistere, non sai chi sei. Chi sono? La coscienza non me lo dice ma mi mette in cammino per cercarlo. Ma per cercare ho bisogno degli altri.
Non mi basta me stesso e anche la solitudine mi insegna quanti siamo nel silenzio. Moltissimi. Il silenzio e la solitudine nella ricerca mi regalano il valore dell’altro e della relazione. A cosa posso assimilare la coscienza? Ha bandiere o simboli? Forse l’acqua? Forse solo uno, che è un oggetto ma un oggetto paradossale: lo specchio. Umberto Eco si era a lungo interrogato sullo specchio quale segno e quale strana cosa. Lo specchio è uno dei pochissimi oggetti preziosi ma autonomi dalla semplice funzione di uso e di utilità.
Possiamo farne anche a meno eppure è una magia che non smette mai di sorprenderci da migliaia di anni, da quando l’uomo ha iniziato ad interrogarsi. La coscienza appare quando mi interrogo, quando non sono soddisfatto, quando voglio viaggiare senza muovermi. Lo specchio inverte le posizioni ma ci restituisce nell’istante l’immediatezza dell’immagine. La coscienza è un’immagine riflessa o autoriflessa? Lo specchio ci riporta all’oggi, all’ora all’adesso, alla nudità e unità e unicità del nostro esserci. Il giudizio più severo è sempre il nostro, se non ci inganniamo, se non fuggiamo. Di fronte allo specchio il tempo evapora e lo spazio perde illusorietà. Torniamo bambini.
Ma c’è bambino e bambino. C’è l’infanzia quale stupore e quale sapienza e l’infanzia quale debolezza, stupidità e inconsapevolezza. La coscienza è uno specchio interno, dove siamo soli? Liberi ma soli in mezzo ad un deserto, o ad un giardino. Gli specchi sono crudi, senza mediazioni, quindi anche spietati. Ma infrangerli è un qualcosa che turba. E la più piccola sporcizia ci infastidisce se diminuisce la loro capacità di riflettere. Il pensiero nasce con la stessa azione di uno specchio: riflettere. Non posso riflettere il nulla o il vuoto. E se metto uno specchio davanti ad un altro specchio chi arriva dopo saprebbe capire quale sia il “primo specchio”?
Nella Storia Infinita di Michael Ende il Nulla avanza nullificando e ingrigendo tutto e chi lo guarda non vede niente se non la propria incapacità di vedere. Si “vede” una propria indotta cecità. Se non vedo non ho coscienza. E se non ho coscienza perdo pezzi di me stesso che vengono assorbiti da una voragine, da un orrore, da un grigiore piatto e livellante. Il romanziere ci dice che non c’è orrore tanto grande da non abituarsi ad esso se lo vediamo ripetuto più volte. L’effetto del “nulla” sulla coscienza è l’induzione dell’indifferenza, dell’atrofia interiore, della rigidità e freddezza spirituale, morale, umana.
La coscienza quindi al contrario vive di scelte, di variazioni, di sfumature, di cromìe, di reattività. Come un corpo anche se è un corpo particolare: spesso si nasconde, gioca a nascondino, sembra invisibile ma è invece vicinissima, più intima a noi del nostro nome. È più facile dire cosa non sia che cosa sia. È la scienza di co…abbisogna di un completamento, di una congiunzione, di una relazione per farsi, per viversi appieno. Con-scire = sapere non da soli ma insieme a… E per “sapere insieme” occorre conversazione e non monologo, esperienza insieme. Non è un conoscere per accumulazione o uniformazione ma conoscere per condivisione, approfondimento, focalizzazione cioè accendere insieme un fuoco.
Ho coscienza di un bosco se cammino in mezzo ad un bosco. Non può supplire il racconto di un altro: devo andarci io dentro il bosco. La coscienza non si può delegare né sostituire. Sebbene sia fragile ed elastica, sensibile e delicata appare pure persistente, tenace, unica, amabile rompipalle. Grazie a quel “co” non si fai mai ideologia. L’ideologia è la contraffazione della coscienza, la sua agonia. Non ogni consapevolezza corrisponde ad una coscienza. Se lancio missili o scancio bombe tecnicamente so benissimo quello che sto facendo, ne ho consapevolezza ma non ne ho coscienza altrimenti non lo farei. Non vivo la mia coscienza in quanto la mia consapevolezza è solo una consapevolezza formale, unilaterale, artificiale, rigida, astratta, devitalizzata.
Non penso alle conseguenze e obbedisco perché sono vuoto, già morto. Che la coscienza sia quello che dice Umberto Eco sugli specchi: dei fenomeni-soglia iper-sensibili che registrano tutto, non deformano in quanto operano come canali trasparenti e simmetrici che restano nel reale senza giocare con il simbolico. Lo specchio è come appare e opera sempre nel qui e nell’ora, cioè nell’attimo presente riportandoci alla prima relazione che ci dona il senso dell’essere e dell’esserci: quella con noi stessi, con il nostro corpo, con la nostra immagine. Ma lo specchio ha anche un’altra virtù: ci mostra noi stessi fuori da noi stessi. Una grande lezione etica perché la co-scienza sorge così: quando ci vediamo vivere, quando sappiamo uscire dalla recita sociale, dal ruolo della finzione. E allora il nostro giudizio ci torna indietro, senza sconti. Coltiviamo insieme questa “scienza-sentire insieme”, coccoliamola, moltiplichiamola, anche confondiamola ma mai asserviamola, mai mercanteggiamola.
Se la coscienza è una soglia allora non possiamo distruggere alcunchè altrimenti la soglia frana, vacilla, viene meno e con essa il nostro esserci perché ogni soglia presuppone un’alterità, un “fuori” indipendente da noi stessi. E proprio il connotato degli specchi quali realtà “che non producono segni” a renderceli così eticamente importanti: non segnificano cioè non riducono il reale a mero segno; quindi: non possiamo svilire il reale se non lo capiamo, se apparentemente non ha significato, in quanto non sappiamo renderlo segno. Il reale ha valore anche se non è riducibile a segno di nessun altro reale.
Lo specchio come la coscienza è un corpo autentico, sincero, trasparente. Una riflessione sufi persiana sulla coscienza del saggio la paragona appunto ad una parte lucida che rispecchia la parete che ha di fronte. A chi è in ricerca (cioè continua a chiedersi: Chi?) spetta il compito umile e nobile di lucidare la propria parete sempre di più. Cosa c’è di più fragile della coscienza? E cosa di più prezioso?