Io ne ho viste di cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione... e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire.
(Blade Runner)
Quali sono i confini dell’umano? La science fiction è il genere narrativo che si pone come obiettivo quello di testare il confine della nostra concezione di uomo e spingerci oltre le nostre possibilità, mettendoci tuttavia inevitabilmente a confronto con i nostri limiti. Ingrediente fondamentale di tale operazione è la tecnologia, dominatrice del futuro immaginato dagli autori sul calco delle innovazioni e delle problematiche contemporanee, a metà tra monito e speculazione.
Sin dagli albori del cinema l’interesse per questo genere è stato molto elevato, infatti Metropolis, uno dei più discussi e affascinanti capolavori della storia cinematografica, vi appartiene. Diretta da Fritz Lang e uscita nel 1927 dopo lunghe peripezie, la pellicola tematizza la lotta sociale in un contesto futuristico che dialoga apertamente con la Germania degli anni ‘20. Il film presenta alcune tematiche e personaggi chiave del genere.
Sicuramente, Rotwang l’inventore, è un personaggio paradigmatico della science fiction, poiché incarna l’ideale della creazione ex novo grazie alla tecnologia e del conseguente superamento dei limiti umani. Nel suo caso, desiderava far resuscitare la propria amata, ricreandola in un corpo sintetico, ma le mancava l’anima per poter completare l’opera. Come spesso accade al tipo “inventore pazzo” nei film di fantascienza, lo scienziato perde il controllo della propria invenzione, che lo porta al delirio e alla perdita di ogni bussola morale, perciò egli diventa incline a prestare le proprie invenzioni per scopi distruttivi o immorali.
A tal proposito, occorre citare un altro personaggio paradigmatico presente in Metropolis, il signore della città Johann Fredersen. Colui che sfrutta l’androide progettato da Rotwang per controllare la massa dei lavoratori, in modo da controllarli a suo piacimento evitando il rischio di ribellione. Fredersen incarna alla perfezione il ruolo del villain dei film fantascientifici, colui che vede il lato oscuro dell’evoluzione tecnologica e lo sfrutta per aumentare il proprio profitto invece di generare benefici per l’intera società.
2001 odissea nello spazio, oltre ad essere una delle vette più alte toccate dalla settima arte, presenta un’altra figura chiave del genere. Il capolavoro di Kubrick verrà per sempre ricordato, oltre che per la psichedelica ed enigmatica sequenza finale e l’estetica e la regia che hanno plasmato l’immaginario visivo della fantascienza ambientata nello spazio, per il suo indimenticabile villain HAL 9000. L’intelligenza artificiale progettata per assistere gli astronauti nella complessa missione su Giove perde il controllo della situazione e finisce per mettere a rischio la sopravvivenza stessa degli astronauti.
Il pericolo e l’impotenza dell’uomo di fronte alla tecnologia sono tematiche intrinseche alla science fiction, ma la grandezza del film sta nell’equilibrio tra la freddezza impersonale della macchina e la spietatezza maligna dell’antagonista, che nel supercomputer HAL 9000 sono incarnati alla perfezione. Con questo personaggio il film chiude la sua riflessione sulla tecnologia che parte dalla sequenza su “l’alba dell’uomo”, mostrando come sin dall’utilizzo dei primi utensili essa è stata strumento di dominio per l’uomo, che poi finisce per essere dominato dallo strumento stesso.
La ribellione della tecnologia è una delle tematiche centrali del cult di Ridley Scott Blade Runner. Il film del 1982 presenta un protagonista e un antagonista tanto classici del genere quanto innovativi. L’ex detective Rick Deckard viene richiamato dalla polizia per portare a termine la missione di eliminazione dei replicanti fuggiti. Deckard rappresenta l’eroe che è parte di un rigido sistema e deve riportare sotto controllo gli elementi di disordine che minacciano lo status quo, interrogandosi però, man mano che prosegue la missione, se stia davvero compiendo le azioni giuste. L’iconica arena setting della Los Angeles distopica, piovosa e sovraffollata, e la solitudine e ambiguità morale del protagonista devono molto all’influenza del genere noir sul film e rendono ancora più intricata la sfumatura tra bene e male e la difficoltà dei personaggi di muoversi nella direzione corretta. L’amore per Rachael, una replicante ignara delle sue origini, e le domande sulla sua stessa identità portano Deckard in una spirale di dubbio che porta ad un finale aperto che ha fatto innamorare migliaia di fan.
Parallelo a Deckard vi è la parabola di Roy Batty, leader dei replicanti, una specie di androidi più evoluti rispetto agli esseri umani, ma con una bassa aspettativa di vita. Apparentemente Batty incarna il personaggio tipo del genere: “la macchina ribelle”, che non si ferma davanti a nulla pur di raggiungere il suo obiettivo. Tuttavia nel corso della narrazione la distanza tra pubblico e antagonista si riduce sempre di più fino a rendere impossibile la non immedesimazione nell’arco drammatico di Roy che vuole incontrare a tutti i costi il suo creatore, per aumentare la durata della sua esistenza.
Il film di maggior successo, in termini di incassi, di science fiction è Avatar di James Cameron, che ha saputo ritagliarsi spazio nella storia del cinema sfruttando i due punti di forza del genere la spettacolarità visiva e il discorso sulla tecnologia e la sua relazione con l’umano. Girato con tecnologie d’avanguardia, principalmente nel settore degli effetti visivi, il film ha saputo attrarre una notevole quantità di pubblico semplicemente per la spettacolarità che la pellicola prometteva, infatti la capacità di creare mondi immaginifici ammalianti è una prerogativa tanto essenziale nella fantascienza quanto nel fantasy. La qualità del film non è soltanto tecnica, ma anche narrativa, poiché capace di mischiare e interpretare elementi di altri generi, quali il western nel conflitto tra uomini e abitanti di Pandora come reinterpretazione della conquista del west, il melodramma nella storia d’amore apparentemente impossibile tra Jake e Neytiri un umano e una nativa di Pandora nel mezzo di una guerra tra le due popolazioni.
Inoltre, il film tratta in modo molto rilevante il tema cardine tecnologia-uomo, instaurando un discorso sulla realtà virtuale, essendo l’intero processo di avvicinamento di Jake alla popolazione Na’Vi una metafora dell’onnipresenza della realtà virtuale nell’attualità ed esplorando il desiderio di vivere interamente in essa e quindi il passaggio da virtuale a reale.
Un altro personaggio chiave del genere è il mediatore, che sarebbe il mentore, colui che svolge la funzione di far avvicinare il protagonista alla nuova tecnologia o alla specie aliena con cui l’umanità deve fare i conti. In Avatar tale funzione è svolta dalla dr.ssa Grace Augustine, ma è in film come Arrival di Denis Villeneuve che tale archetipo di personaggio assume una centralità inaspettata. Infatti, nella pellicola del 2016, la filologa Louise Banks svolge la funzione di mediatrice tra l’ignota specie aliena e gli umani ed è il personaggio protagonista. Il film progredisce ad un ritmo atipico per il genere, solitamente più vicino a quello del cinema d’azione e avventura, adeguandosi ai tempi del thriller, infatti la narrazione è costruita sulla suspense. L’anticipazione del conflitto è ciò che tiene incollato lo spettatore allo schermo, intento a scoprire se ci sarà una risoluzione dell’enigma intorno all’arrivo dei “visitatori” o se il tutto si concluderà in una terza guerra mondiale.
Interessante a tal proposito è anche la riflessione del film sul tempo, tema centrale del genere fantascientifico. Generalmente il topos dei viaggi temporali è la via maestra per affrontare il tema nella science fiction, ma il film di Villeneuve sceglie una strada più filosofica e onirica per affrontare la questione, approfondendo la tematica della circolarità temporale. Attraverso l’impiego di flashback che diventano flashforward si cerca di creare nello spettatore una sensazione alternativa alla canonica linearità della narrazione, dove inizio e fine si confondono.