Comunicare bene è difficile. Lo è senz’altro se vogliamo esprimere con chiarezza il nostro pensiero in piena libertà e verità, ma anche nel profondo rispetto dell’interlocutore, della sua sensibilità, della sua libertà, della sua dignità e magari del suo differente se non opposto punto di vista. E questo – sia ben inteso – non tanto nelle grandi occasioni, ma nei rapporti interpersonali quotidiani e nel concreto svolgersi della vita di relazione (familiare, sociale o professionale). Il segreto di una buona comunicazione dovrebbe basarsi su alcuni principi di base. Prima di tutto, occorre mettere in conto anche la sana possibilità, talvolta, di saper tacere: questo permette - in determinate situazioni d disagio, di difficoltà o di lontananza spirituale – di rispettare profondamente la personalità dell’altro interlocutore (e così dei suoi tempi di maturazione e comprensione), ed anche, forse, di mettere meglio a fuoco le nostre idee, prima di farle uscire dalla nostra bocca.
Chiari alcuni avvertimenti biblici. “Il paziente val più di un eroe, chi domina sé stesso val più di chi conquista una città” (Prov. 16,32); “Vi è chi parla senza riflettere: trafigge come una spada; ma la lingua dei saggi risana” (Prov. 12,18); “Nel molto parlare non manca la colpa, chi frena le labbra è prudente” (Prov. 10,19). Secondo, esser disposti a dire cose scomode davanti alla persona interessata e mai alle sue spalle: in quanto “sparlare” degli altri alimenta cattivi sentimenti nei nostri diversi interlocutori e non giova (anzi danneggia) le persone destinatarie delle nostre critiche.
Saggiamente il Manzoni osservava che “bisogna parlare degli assenti con quella delicata attenzione che l’amor proprio ci fa parlare dei presenti”. Infatti, la cosa più facile – ma anche la più inutile e dannosa – è parlare sempre con adulazione ai presenti, e criticare aspramente gli assenti. Ovviamente, bisogna anche tener presente che affermare “cose scomode” non vuol dire offendere e criticare ad ogni costo (sempre e comunque), ma vuol dire prendersi la responsabilità di comunicare la verità necessaria affinché l’altro possa meglio riflettere sulle proprie posizioni. Anche qui è noto il seguente avvertimento biblico: “Perché osservi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio?... Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello” (Matteo 7,3.5). Ed ecco il terzo principio da meditare. La comunicazione non è mai passiva, e non è mai una questione di sole parole o messaggi inviati. Gli altri non sono dei contenitori, dei passivi destinatari delle nostre parole, ma dei soggetti liberi e autonomi con cui rapportarsi con grande attenzione.
Infatti, la comunicazione efficace è quella che riesce a costruire e a salvaguardare un rapporto vero tra le persone, tendenzialmente completo o almeno consapevole della ricchezza insondabile degli altri, e così della sacralità della loro coscienza (creata libera da Dio e da lui, nello stesso tempo, custodita). Del resto, il Vangelo di Cristo “onora come sacra la dignità della coscienza e la sua libera decisione, non si stanca di ammonire e raddoppiare tutti i talenti umani a servizio di Dio e a bene degli uomini, tutti quanti, infine, raccomandando alla carità di tutti” (“Gaudium et spes”, n. 41, b).
Così velocemente proposti alcuni spunti di riflessione, vorrei richiamare l’attenzione su quello che il Papa afferma su un particolare aspetto della comunicazione. Ecco le sue parole. “Il dono dello Spirito Santo: la franchezza, il coraggio, la parresìa è un dono, una grazia che dà lo Spirito Santo il giorno di Pentecoste. Proprio dopo aver ricevuto lo Spirito Santo sono andati a predicare: un po’ coraggiosi, una cosa nuova per loro. Questa è coerenza, il segnale del cristiano, del vero cristiano: è coraggioso, dice tutta la verità perché è coerente… Che il Signore ci aiuti sempre a essere così: coraggiosi. Questo non vuol dire imprudenti: no, no. Coraggiosi. Il coraggio cristiano sempre è prudente, ma è coraggio” (Omelia del Santo Padre Francesco del 18 aprile 2020). Dunque, non la viltà di dire sottovoce o di nascondere la verità, o di parlare alle spalle, ma sempre il coraggio di comunicare, di dire le cose con delicatezza ma anche con forza e coraggio, evitando l’ipocrisia, la doppiezza e la falsità. Sempre.