Fenomeni nuovi e inaspettati, che nascono dal basso e lasciano un po’ tutti a bocca aperta. Sorprendono te che li osservi, meravigliano il sistema in cui si verificano e di cui vanno a far parte, stupiscono il processo stesso nel quale si incarnano. Ecco l’emergenza. Ecco i fenomeni emergenti che talvolta possono rivoluzionare il sistema nel quale si sono innestati, scoperchiando teorie consolidate, rivoluzionando abitudini e prassi, cambiando paradigmi, generando prima fiumi e poi mari di nuovi perché e di nuovi affinché. Le emergenze spiazzano, sconquassano, sono generative di significati inediti, introducono linguaggi diversi rispetto a quelli che erano utilizzati per descrivere il sistema. E per questo hanno un sapore dolceamaro, un po’ come l’amore della poetessa Saffo, “dolceamara invincibile fiera”: sono temute e sono agognate perché rappresentano la vitalità della vita, la sorpresa, la meraviglia e lo stupore del nostro fugace e fragile transito terrestre.
La meraviglia dell’emergenza
La parola italiana emergenza ha due significati principali che in inglese sono rappresentati da due parole diverse. Il primo significato è quello di emergency, è la situazione imprevista, l’accidente. Fa riferimento a un momento critico, difficile, che richiede un intervento immediato. Questa emergenza è chiara quando pensiamo alle espressioni “stato di emergenza” o “gestione dell’emergenza”: la mente va allo stato di crisi.
Il secondo significato è quello di emergence, cioè l’atto dell’emergere o più esattamente ciò che emerge. In botanica, può essere una escrescenza o una protuberanza. Quando si osservano sistemi complessi, l’emergenza ha a che vedere con la novità e l’inatteso, è impossibile da prevedere, può generarsi dall’interazione delle componenti del sistema complesso sottostante. Un esempio? L’ingorgo in autostrada: è un fenomeno emergente dovuto alle interazioni tra gli automobilisti. Lo si può prevedere? No. Accade, bisogna farne i conti, è una nuova forma di aggregazione delle vetture nel loro percorso.
Gli esempi sono molti e alcuni davvero fascinosi e innervati della materia stessa della vita, del senso profondo del nostro essere qui. In fisica, la formazione di cristalli di neve, con la meraviglia dei complessi simmetrici e dei frattali, è un bell’esempio di emergenza: le singole molecole d’acqua non hanno la proprietà dei cristalli, non sono disposte come un cristallo di neve, ma la acquisiscono quando si aggregano in determinate condizioni ambientali, quando la temperatura si approssima allo zero.
In biologia, la vita stessa è considerata un fenomeno emergente che deriva dall’organizzazione di molecole in grado di autoreplicarsi e di interagire con l’ambiente. La vita non è una proprietà intrinseca della materia, ma una sorprendente, stupefacente conseguenza delle sue dinamiche e delle sue vitalissime aggregazioni. In psicologia, la mente è vista come un fenomeno emergente associato al cervello. La mente non è una sostanza separata dalla materia cerebrale, ma un risultato del suo funzionamento complesso. La mente non è riducibile alle singole attività neuronali, ma dipende dalle loro interazioni. Tutto si tiene, tutto interagisce, e l’emergenza ci sorprende.
Il verbo emergere significa affiorare alla superficie. Con il prefisso ex-, deriva dal latino emergĕre che vuol dire ‘venire a galla’ e che rappresenta un movimento opposto a quello del verbo mergĕre che invece voleva dire ‘andare a fondo’ e che troviamo chiaro nella parola italiana immergere. Ecco l’emergenza sbuca dal basso, rampolla, si schiude all’esistenza, zampilla nelle nostre menti e nei nostri cuori, talvolta intaccandoli un po’.
Gli affioramenti che sbocciano
Emergono, si sviluppano, affiorano. Già, le emergenze sono fiori pronti a sbocciare per regalarci colori che non avevamo conosciuto prima e che non potevamo nemmeno immaginare. Nell’affiorare riconosciamo il fiore, con i suoi profumi, con le sue fragranze, con le sue tonalità. La nonna del verbo affiorare era la parola francese affleurer, derivata dal modo di dire à la fleur de, cioè ‘a fior di’. Da quel fiore gli affioramenti, che emergono nelle organizzazioni e anche nei singoli esseri umani, quando meno se lo aspettano ma quando sono predisposti ad abbracciare l’inaudito.
Gli imprevisti che spiazzano
L’emergenza porta con sé una buona carica di spiazzamento, di senso nuovo o rinnovato, di stupore perché l’aggregazione di più elementi acquisisce un valore diverso e maggiore rispetto alla somma delle singole parti. La complessità vince su tutto e spazza via le più granitiche certezze: non è possibile prevedere il tornado generato dal battito d’ali della farfalla. Nella parola imprevisto si racchiude tutta l’essenza dell’emergenza. Prevedere non si può. Il prefisso negativo in- nega questa possibilità. E nel pre-vedere scorgiamo l’idea del vedere prima, da più lontano, nel tempo e nello spazio. Non si può. Ma quel vedere offre un’altra prospettiva, più profonda. La vista diventa veicolo di conoscenza. Ho visto e quindi so. Non ho visto e quindi non so. Quando l’emergenza è costituita di imprevisti, è anche innervata di mancate conoscenze, di vuoti di sapere, di voragini che si squadernano alla debole vista degli esseri umani.