Nato a Biella nel 1879, da una famiglia di imprenditori orafi che ne forgia l’insuperabile fiuto per gli affari, Riccardo Gualino è ottavo di dieci figli (unico incline alla letteratura). L’eloquenza sciolta e l’innegabile fascino lasciano, immediatamente, presupporre una carriera diversa e lontana dall’azienda che impiega già i fratelli e che conta oltre 200 dipendenti. Per questo motivo, decide di proseguire i propri studi all’Università di Giurisprudenza di Genova, seguendo – altresì – la fabbrica edile del cognato: “Bagnara Legnami”, occupandosi della commercializzazione del materiale in arrivo dall’America.
Divenuto, in tempi record, agente di commercio di punta della compagnia, inizia un’inarrestabile ascesa, fatta di innumerevoli viaggi e contatti (soprattutto presso Ansaldo e Piaggio) che gli garantisce ingenti guadagni e gli consente di finanziare la sua prima impresa personale, acquistando un terreno boschivo in Corsica per la commercializzazione del legname. Tuttavia, l’operazione si rivela troppo azzardate per le sue, ancora acerbe, competenze.
I rapporti con Bagnara, inoltre, sono destinati a chiudersi bruscamente nel 1901 (è bene sottolineare che il formidabile Gualino è – in quel momento - poco più che ventenne), poiché il cognato lo accusa di avergli sottratto clientela. Nonostante questo, il giovane imprenditore non demorde ed i primi anni del Novecento lo vedono trasferirsi a Casale Monferrato, mossa che si rivela cruciale poiché lo vede di stanza dal cugino Tancredi Gurgo Salice, attivo nel campo delle calci, con il quale inizia un sodalizio non solo commerciale ma che gli consente di approfondire la conoscenza della di lui figlia: Cesarina (Casale Monferrato, 1890 – Roma, 1992), destinata a diventare sua moglie nel 1907.
Cesarina Gurgo Salice (Casale Monferrato, 1890 – Roma, 1992) non sarà mai “principessa consorte”, ma avrà un ruolo attivo e decisivo all’interno del rapporto simbiotico instaurato con Gualino per tutta la durata della loro vita a due, soprattutto dal punto di vista artistico e mondano. Vera e propria socialite ante litteram merita un capitolo a sé, a partire dai versi che Gualino (più che discreto narratore e poeta) le dedica:
È gentile, flessuosa figurina
e ha la grazia di giglio sullo stelo:
annunzia il seno, lievemente anelo,
il chiuso della veste. La mattina
effonde azzurro: più del glauco in cielo
brilla il fuoco de li occhi e la corvina
chioma lampeggia e ride la piccina
bocca dischiusa al par d'un asfodelo.
Vergini pure, che sognò l'aurora
di Tiziano, Lionardo e Perugino
scendeste dunque da le tele stinte
per donare la grazia che innamora
a questo viso pallido, divino
ne la dolcezza onde siete pinte?
Danzatrice e pittrice, grazie alle ampie competenze artistiche, intuisce immediatamente il fil rouge che la lega a Riccardo. A seguito di un’approfondita formazione umanistica, dopo le nozze, si stabilisce a Cereseto Monferrato (Alessandria) in un castello appena restaurato, dove prende vita una collezione d’arte fra le più ricche e ricercate del mondo. La passione di Cesarina per le arti – durante i primi anni di matrimonio - di fatto, pone le basi della futura Collezione Gualino (oggi ai Musei Reali di Torino, di cui tratteremo in seguito).
Definita da Felice Casorati, che la ritrae nel 1922: “musa e mecenate della diffusione del balletto moderno in Italia”, l’anno successivo è a Parigi e frequenta la Scuola di Danza Ronsay insieme ad Isadora Duncan. Entusiasta dell’esperienza, lo stesso anno, apre – con la collaborazione di Gualino – un piccolo teatro privato in via Galliari, 28 a Torino. Cesarina si occupa di messa in scena, costumi ed allestimenti, mentre le decorazioni vengono eseguite da Casorati, artefice – altresì – degli sfavillanti programmi che accompagnano gli spettacoli, veri e propri capolavori a sé stanti.
Forti del successo ottenuto, i coniugi si lanciano – grazie ai consigli dell’amico e storico dell’arte Lionello Venturi – nella fondazione dell’ambizioso Teatro di Torino, sorto sulle fondamenta dell’ex “Teatro Scriba” ed attivo fino al 1930; confermando il loro gusto di assoluta avanguardia.
Una prospettiva fuori dal comune che consente una breve deviazione per sottolineare uno dei tasselli cardine nella storia dei Gualino e del loro teatro, rappresentato dal sostegno dato ai “Sei di Torino”, fra i quali si annovera Jessie Boswell, amica e dama di compagnia di Cesarina, sin dal 1908. I Sei (la Boswell, Gigi Chessa, Nicola Galante, Carlo Levi, Francesco Menzio ed Enrico Paulucci) provengono dalla scuola di pittura di Casorati e sono incoraggiati da Lionello Venturi, il quale auspica un graduale ritorno ad un Impressionismo strutturato. Fondamentale la loro presenza presso il Teatro di Torino, soprattutto grazie a Gigi Chessa che riesce ad ospitarvi autori del calibro di Stravinskij e Djagilev con i suoi Balletti Russi di cui Cesarina sarà, anche, appassionata interprete.
Il Teatro di Torino è da considerarsi esperienza unica ed irripetibile, ancora oggi vista come un esempio di virtuoso eclettismo il quale, con i suoi 1400 posti, sfidava l’importanza dei vicini Teatro Regio e Carignano. Come già accennato, il restauro completo si deve a Gualino, Venturi e Chessa, i quali lo inaugurano il 26 novembre 1925 con la rappresentazione de L’Italiana di Algeri di Rossini, seguita da numerose prime nazionali di opere di Brecht e Pirandello, fra i tanti. A proposito di grandi nomi, secondo il carteggio d’Annunzio – Gualino curato dal critico Giovanni Tesio ed edito da Aragno Editore nel 2016, anche il Vate avrebbe dovuto portare una sua opera in scena ma ciò non avvenne mai, poiché il poeta era già chiuso all’interno del “libro di pietre vive” del Vittoriale, dove trascorse gli ultimi anni di vita.
I fasti della ribalta torinese sono destinati a sbriciolarsi in soli cinque anni (seppur trionfali e spesso accompagnati dalle recensioni dell’amico di famiglia Piero Gobetti) con il confino di Gualino a Lipari. Inviso al fascismo viene confinato sull’Isola per un anno, dove si dedica all’attività di scrittore. Una carriera di tutto rispetto (ammirata da Benedetto Croce per le spiccate capacità analitiche nel descrivere i fatti della propria vita) e, solo recentemente, riportata nella giusta luce. Forse, offuscata dalla fama di collezionista ed imprenditore.
Arrestato il 19 gennaio 1931, Gualino trascorre una settimana in carcere prima di essere trasportato al confino. Mesi che gli consento di portare a compimento i Frammenti: pagine dense dell’urgenza di raccontare un’esistenza, fino a quel momento, straordinaria ed improvvisamente recisa. Una volta liberato, continua a sentire la necessità di “buttare nero su bianco” gli affetti, le vicende ed i piccoli eventi quotidiani che lo riguardano, pubblicandoli nell’altrettanto gradevole: Solitudine. Un canzoniere in prosa, nel quale si destreggia con abilità. É del 1933, invece, il romanzo Uragani, la storia di Samuel Rosen, imprenditore ebreo a New York, posto sul lastrico dal crollo delle Borse. Il volume, anche secondo il già citato Tesio (grande esperto della bio-bibliografia di Gualino) manca di approfondimento psicologico; al contrario del successivo e più riuscito racconto d’avventura: Pionieri d’Africa (1938).
Dopo la liberazione, Gualino non si dedica esclusivamente alla scrittura e trascorre qualche tempo a Parigi, lanciandosi nell’impresa senza precedenti della LUX Film, intuendo l’enorme potenziale della nascente industria cinematografica.
Fondata nel 1935, viene presto trasferita nella più idonea Roma. Nella capitale, acquisisce un ruolo di primissimo piano e Gualino partecipa attivamente alle scelte finanziarie ed artistiche, collaborando con giovani dal futuro promettente quali: Federico Fellini, Carlo Ponti e Dino De Laurentis. Le pellicole prodotte non hanno bisogno di presentazioni: Senso, Europa 51, Le miserie del signor Travet e molti altri stratosferici successi di botteghino.
Nel frattempo riprendere le redini del collezionismo d’arte. In questo senso, definire la vastità della Collezione Gualino è, oggettivamente, impossibile (ad oggi, non esiste una stima esaustiva dei tesori dai quali era composta, poiché dispersi su vari poli). Recentemente, tuttavia, il cuore della collezione è stato riallestito all’interno della Galleria Sabauda (museo d’elezione sin dagli anni Cinquanta), presso i Musei Reali di Torino, testimone del ruolo identitario e viscerale che l’arte ebbe nelle vite dei Gualino, portandoli a creare una delle raccolte più importanti del Secolo breve con sculture antiche e moderne, dipinti, oreficeria e mobili, bronzi e avori inizialmente scelti come complementi d’arredo per la loro prima dimora per poi assumere un più ampio respiro, grazie ai consigli dello storico dell’arte Venturi, con il quale iniziano a collaborare nel 1918.
Il nuovo percorso torinese, che fa seguito ad una comprensiva catalogazione ed alla mostra pilota allestita alle Sale Chiablese nel 2019, è suddiviso in sette stanze perfettamente integrate all’interno della collezione permanente. La visita inizia con un video prodotto dalla Banca d’Italia (la quale ospita parte dei cimeli) per poi dar spazio a 120 opere di varia natura: orientale, rinascimentale, primitivista, con un occhio di riguardo per la ritrattistica.
Spostandoci da Torino e tornando alla natia città di Biella, muovendo i nostri passi alla ricerca delle tracce lasciate dall’illustre famiglia, il nostro percorso può iniziare dalla targa recentemente apposta sulla casa natale di Riccardo Gualino in via Italia 70, nel rione Riva. L’itinerario parte da questo edificio, parzialmente demolito nel 1939 per far spazio alla più ampia via Dante, per proseguire verso via Gramsci dove alcuni fratelli Gualino, con l’aiuto di Riccardo, costruiscono un edificio di tre piani, a seguito dell’abbattimento della casa paterna.
Altri due luoghi meritano – altresì – menzione, poiché collegati alla “Fabbrica dell’Oro”, come veniva definita dai biellesi l’azienda storica dei Gualino, orafi dal 1873. Negozio e laboratorio si trovavano – infatti - in via Umberto I, 82. Dopo l’ampliamento e l’impiego di oltre 250 dipendenti, si decide per il trasferimento in Salita di Riva e, successivamente, in via Serralunga dove chiude i battenti nel 1842.
La successiva “fermata di scoperta” è rappresentata dalla Biblioteca di Biella, la quale ha recentemente acquisito un patrimonio di lettere a testimonianza delle molteplici attività cui si dedicavano i Gualino, benché la coppia non abbia mai fatto ritorno in città ed i legami con il biellese siano da ricercare esclusivamente fra vie e realtà archivistiche come quella appena citata.
Per chi volesse approfondire, inoltre, diversi i volumi di riferimento pubblicati in anni recenti, a partire dalla monografia edita da Allemandi nel 2019: I Mondi di Riccardo Gualino, passando per due libri editi da Marini Editore, l’uno una raccolta di pensieri dell’imprenditore (Confessioni di un Sognatore), l’altro una sentita silloge di ricordi raccolti dall’omonimo nipote ed intitolata: Mio Nonno Riccardo.
Senza dimenticare Il Grande Gualino ad opera di Giorgio Caponneti (UTET, 2018), studioso da sempre attento alle vicissitudini delle più eminenti figure piemontesi. Il suo lavoro è una biografia romanzata ma attenta, la quale pone l’attenzione sui rapporti umani del mecenate e dona al lettore un avvincente resoconto di quello che fu il sodalizio più significativo della sua esistenza, quello con la moglie Cesarina. In un’intervista concessami anni fa, l’autore ammise – infatti – di aver scelto deliberatamente questo punto di vista narrativo:
Ho cercato di dipingere questi personaggi nella loro vita coniugale, non soltanto parlando del Gualino affarista e finanziere. Ho voluto dare una visione diversa rispetto ai libri già esistenti su di lui, che mi parevano a compartimenti stagni: il Gualino finanziere, il Gualino mecenate, il Gualino appassionato di musica ecc.; mentre io ho cercato di incastrare ogni evento anche tenendo conto della psicologia dei personaggi, creando un ritratto atto ad inglobare tutte queste componenti.
Accompagnati dalle parole di Caponetti, non resta che concludere il nostro excursus al Cimitero d’Oropa (Biella), giustamente definito come “la piccola Staglieno”, dove troviamo la circolare edicola di famiglia, ad opera dello scultore Pietro Canonica (1869, Moncalieri – 1959, Roma), opera d’arte suprema ad onorare un’esistenza infinitamente varia ed entusiasmante.