La magia affascina le genti di tutte le epoche e le statistiche odierne parlano molto chiaro: ogni giorno secondo il Codacons (dati del 2019) circa 30.000 persone ricorrono a maghi o astrologi i quali, oggi come mille anni fa, ricorrono a formule magiche per validare la loro opera.
Se si tralasciano la magia orientale e le tradizioni molto distanti dalla cultura europea, si hanno attestazioni del termine greco mágos fin dall’epoca classica. Solo il mago conosce le segrete energie che vibrano invisibili nel mondo naturale e che grazie alle medicine (phármaka) e agli incantesimi (epoidaí) interagiscono su ciò che lo circonda, siano esse cose, animali o persone. Diventare mago non è cosa da tutti ma è necessaria una iniziazione: non è di per sé una professione ma, se si è maghi, è perché ci si è elevati maggiormente verso il divino rispetto all’uomo comune e questo comporterà non solo un maggior dominio su di sé, ma anche sulla natura circostante che si piegherà al suo volere quasi riconoscendone il mandato.
Stando a quanto affermano la maggior parte dei testi magici antichi, ogni essere animato o inanimato di questo mondo possiede un diretto corrispondente nella sfera celeste: entrando in contatto con quest’ultimo, lo si può costringere all’obbedienza e sfruttare per avere in cambio effetti concreti nell’ambito del vissuto quotidiano. L’interazione fra micro e macrocosmo è possibile in virtù di certe simpatie che permettono una relazione fra le due sfere; il mago è dunque colui che conosce i giusti canali per attuare questa relazione e, soprattutto, il corretto linguaggio da utilizzare per farsi comprendere dalle entità superne. Questo perché la magia, da sempre, parla la lingua degli dei o degli spiriti, lingua arcaica e quasi sempre incomprensibile; comunque mai attuale.
L’invocazione latina, greca o ebraica è già di per sé sinonimo di maggior efficacia poiché in essa si cela un coefficiente arcano che, come fece già osservare Malinowski, si piega all’interpretazione nel momento in cui un incantesimo viene collocato nel suo contesto. Tutta l’efficacia della magia dipende da una giusta comunicazione: l’invocazione e il comando devono essere effettuati con una pronuncia delle sequenze magiche e con una intonazione delle parole ben precisa che solo un lungo tirocinio può trasmettere all’apprendista.
Proprio da questo fatto nasce la riverenza quasi maniacale nei confronti della parola: ogni fonema racchiude in sé una potenza che può essere aumentata se combinata correttamente con altri fonemi. Ecco dunque che il suono e le sequenze di suoni giocano un ruolo di grande importanza: in quest’ottica trovano una loro spiegazione termini come epoidé (incantesimo attraverso il canto), carmen (e il suo inverso malum carmen) cantio, incantamentum o incantatio.
Sfruttando tutte queste considerazioni è facilmente notabile come un medesimo sostrato musicale sia da rintracciare nei termini ‘incanto’ e ‘incantesimo’. Si pensi alla modalità d’azione della formula magica: la scansione cantilenante e la pronuncia intonata delle sequenze hanno senz’altro agito sulla coniazione dei termini suddetti. Come si può notare il passo che lega le sequenze magiche a vere e proprie melodie musicali è dunque molto breve e l’operatore magico diviene così anche musico.
Ora è importante non confondere quelle che in latino erano conosciute come formulae o signaturae (formule melodiche brevi di norma associate a una sequenza alfabetica priva di senso apparente) e che facevano parte degli apēchémata della musica bizantina (avevano una funzione precisa legata alla memorizzazione dei toni dell’októēchos bizantino) con le sequenze sonore vocaliche o consonantiche presenti in molti papiri magici dei primi secoli dopo Cristo, probabili in-cantesimi dei quali non è ancora del tutto chiara né la pronuncia cadenzata né la funzione specifica. Ecco un esempio tradotto in latino dal Leemans:
Quoniam assumsi potentiam
Abraami, Isaaci et Jacobi, et magni
nominis daemonis , iaó, ablanathanalba , si-
ABRATHILAÓ, LAMPS, TÉR, IÉI, ÓÓ,
THEE. Fac domine, pertaóméch,
CHACH, MÉCH, IAÓ, OUÉE, IAÓ, OUÉE,
IEOU, AÉÓ, EÉOU, IAÓ.
L’ipotesi più valida, trattandosi di testi in cui si invocano divinità, è che si tratti di parole di potenza; nulla vieterebbe di pensare alle formule come sequenze cifrate che nascondono la vera pronuncia del nome di un dio o di creature pneumatiche.
La ricerca di un senso nelle sequenze è un’operazione che abbraccia gli studi più disparati ma che tenta comunque, come è proprio della semiologia, di rimandare a un qualche cos’altro di simile che possa renderne comprensibili gli intenti. In uno scritto di Nicomaco di Gerasa (I sec.) è riportato questo schema di associazioni:
A Luna re
E Venere do
Ē Mercurio si bemolle
I Sole la
O Marte sol
U Giove fa
Omega Saturno mi
Sfruttando queste corrispondenze sembrerebbe più comprensibile interpretare le sequenze (perlomeno quelle vocaliche) come melodie vere e proprie e dare così maggior significato alla parola “incanto”.
La necessità di una trasposizione scritturale di suoni o parole magiche (il nostro sistema di scrittura su pentagramma comincerà a svilupparsi più di mille anni dopo) nacque senz’altro per ovviare ai problemi mnemonici all’interno dei gruppi sacerdotali; la riverenza nei confronti della parola (spesso cifrata ma carica di significato e di potenza in presenza di una chiave di lettura) sarà una costante mantenuta nei secoli quasi fino ad oggi, anche quando di quella parola non si ha più capacità interpretativa.
Il mio esperimento di conversione sonora di una formula vocalica è dunque mediato da tutto questo e propone la sonorizzazione sfruttando la tabella di corrispondenze di Nicomaco. Ho così trasformato in melodie (una maschile ed una femminile) due formule tra le moltissime presenti nel Papiro W (Excerpta ex libris apocryphis Moïsis) di Leida sulla scia del lavoro che Carsten Høeg prima (La théorie del la musique byzantine) e Egon Wellesz poi (A History of Byzantine Music and Hymnography) fecero per tentare di rintracciare eventuali archetipi sonori di alcune melodie bizantine. Questi i passi del papiro tradotti in latino che ho utilizzato:
Incantesimo vocalico maschile
Invoco te, veluti a nominibus masculis vocaris:
IEÓ, OUE, ÓÉI, UE, AÓ, EIÓU, AOÉ, OUÉ,
EÓA, UÉI, ÓEA, OÉÓ, IEOUAÓ.
Incantesimo vocalico femminile
Invoco te, veluti a nominibus foemininis vocaris:
IAÉ, EÓO, IOU, EÉI, ÓA, EÉ, IÉ, AIUO
ÉIAU, EÓO, OUÉE, IAÓ, ÓAI, EOUÉ, UÓÉI,
EÓA. Invoco te, veluti venti praenuntiant.