La scena dipinta appare ricca di protagonisti simbolicamente eloquenti: l’asino, l’enigmatica donna/statua, Filandro ferito e la stanza in cui giace, Gabrina, il combattimento sullo sfondo. La scena ariostesca domina la parte centrale e di destra del riquadro, mentre sulla sinistra sono presenti l’asino e la femminea statua quali simboli iniziali del racconto, vera duplice chiave alchemica di lettura. Il mistero è celato nel rapporto fra l’asino e la statua e fra loro e le altre immagini. L’asino fa ricordare l’uomo-cervo di Atteone la cui visione dell’Artemide nuda, a cui equivale la candida statua della Fidelitas, induce la metamorfosi. L’asino corrisponde anche alla “foresta spessa e viva” del Paradiso terrestre dantesco, cioè alla materia grezza che fa affinata fino a farla fondere con l’altro fine fattore dell’opera che và invece coagulato. In tale senso appare illuminante il rapporto asino-rosa in Apuleio. Il fatto che la statua indichi il Cielo, cioè il fuoco alchemico, con l’indice alzato, sembra corrispondere proprio all’obbiettivo di fare di “due cose una” proprio dell’Opera.
Il rapporto statua/asino è un rapporto sia oppositivo che complementare secondo le tipiche polarità del linguaggio alchemico: fissità/movimento, candore/oscurità, argento/piombo, forma/materia, ascensione e orizzontalità. La statua poi reca in mano una croce greca, segno dell’ottagono crogiuolo ermetico. La stessa Croce indica l’Aceto alchemico e la separazione perfezionativa dei quattro elementi cosmici. La “Fidelitas” ci ricorda la necessaria fedeltà dell’alchimista all’Opera e la vigilanza sul fuoco ermetico, alluso dal superiore timpano triangolare, lo zolfo ascendente e il trigono igneo, al cui centro si nota il cerchio del Mercurio sottoposto a cottura e perfezionando o del Sale fissato. La pietra verde al centro della croce/chiave, appoggiata ad una lesena della porta/finestra, ricorda il rame di Venere e lo smeraldo della celebre “Tavola” alchemica.
Il punto/globo al centro del perfetto cerchio del frontone si presta anche numerosi confronti con le “varianti sul Tema” del linguaggio ermetico: la terra fusa/mista ad acqua al centro del triangolare fuoco per l’apocalittica ecpirosi, l’occhio di Ra, l’Oro perfetto, l’Uovo alchemico che gesta nel grembo pieno dell’acqua di madre, il doppio ouroboros o caduceo esplicato, la separazione fra l’acqua e la terra secca emersa, l’acqua fiammante. Il “rotundum” ricorda l’aurea “pietra filosofale” del Rosarium philosophorum, il “globo dei sette saggi” di Basilio Valentino, e il seme del Rebis. Ma il segno ricorda anche una ruota eterna e fissa, senza mozzi.
L’immagine del cerchio puntato compare in numerose opere alchemiche: dalla “porta magica” di Roma a innumerevoli decorazioni architettoniche. Tale celebre segno va posto anche in dialettica con la pietra verde al centro della croce-chiave-crogiuolo. Il “verde” non solo rimanda all’omonima “fase” processuale della “viriditas”, ma pure manifesta molteplici aspetti del linguaggio iniziatico alchemico: dal “leone verde” che divora il sole, agente magnetico che prepara il solvente, alla Venere uranica, sorella di Saturno simbolo dell’Opera, al verde “Cloros”, indicato con il monogramma greco di Cristo, fino al “vetriolo” nel doppio senso di sostanza simbolica e di acrostico sapienziale/operativo: “V.I.T.R.I.O.L.”, a sua volta rinviante alla “pietra unta” o “olio di pietra”. Il diffusissimo emblema della serpe verde in cerchio congiunge poi pienamente l’aspetto del simbolico verde con il segno del cerchio perfetto, unità dei due componenti dell’Opera. La statua e la gemma rinviano anche alla dialettica pietra viva/pietra morta, pietra manifesta e pietra occulta, pietra di paragone e pietra grezza, chiave di volta/pietra di fondamento.
L’elevazione dell’indice e della croce/chiave verso la coincidenza di triangolo e cerchio evoca il distacco dalla materia prima dello sperma dei metalli. L’emblema della statua ricorda sia il mito di Galatea che la “statua di sale” di Lot. Nel mito la spumosa Afrodite trasformerà la statua, quale premio per la tenacia amorosa del cipriota Pigmalione, che quasi “cova” l’amata pietra, perfetta ma inanimata, nella bellissima e lattea Galatea, segno del Latte di vergine o mercurio redivivo. Nella parallela versione più celebre del mito la ninfa Galatea, segno della materia prima ermetica, appare contesa fra Aci e il risuonante Polifemo, fra terra e mare. Grazie a lei il sangue di Aci diverrà una sorgente.
La statua presenta un vestito mosso dal vento e la candela sopra Filandro appare spenta. Da qui l’incitazione della statua affinché al Vento seminatore della Tavola di smeraldo segua l’accensione del fuoco ermetico. L’acconciatura degli aurei capelli della Donna/statua rivela chiaramente, sulla fronte e verso l’alto, l’ermetico nodo di Iside. Il simbolo di Iside connette quindi l’asino alla Donna, esattamente come in Apuleio. Il vestito della Donna/statua mostra striature rosso/ocra, segno dell’argilla edenica ed ermetica, mentre lo sfondo dell’apertura è color terra. L’asino corrisponde a Filandro (l’“amico dell’uomo”) cioè al Mercurio iniziale, che deve essere “ferito”, cioè sottoposto agli acidi e ai sali, celati nella figura di Gabrina, e alla cottura la quale, tramite il lupo dell’antimonio, lo trasfigurerà nel Mercurio filosofico o Uomo nuovo.
All’inizio della scena successiva, infatti, un altro animale simbolico apre il racconto, come fa l’asino per la prima scena: il saturnino cervo. Il cervo viene dipinto alzato in piedi e suonante una cornamusa. Ebbene sia l’asino che il cervo sono segni saturnini. L’asino per i suoi aspetti connotativi, il colore, la tristezza, la lentezza, la saggezza, e il cervo lo è tradizionalmente come dimostra l’immaginario del carro di Saturno trainato dai cervi e la “ruota del cervo”. In Nazzari il misterico, biblico e vangelico asino suona un flauto vicino ad una cornucopia e circondato da un girotondo festante! La cornamusa deriva dall’unione di un flauto, strumento di Polifemo, Dioniso/Apollo ed Hermes, con un otre, immagine presente sul portale del Palazzo, a sua volta segno del vaso ermetico dove cuoce l’Uovo alchemico. Si riteneva che la cottura costante dell’Uovo generasse gradualmente sette suoni, e in tal senso il mercuriale e saturnino cervo “suona”, cioè indica che l’accensione e la cottura si è compiuta, mentre l’acida e salina Gabrina invoca il maggior fuoco successivo dato dall’intervento del luminoso e fiammante “lupo” dell’antimonio!
La parola “cornamusa” richiama poi il concetto del corno o osso o falce di luna, e il concetto della paracelsiana “materia ninfica”. L’immagine successiva, perciò, conferma il coerente e processuale senso ermetico della prima scerna. L’asino poi è l’asino sia della grotta rigenerativa del Natale e sia dell’ingresso trionfale e pasquale di Cristo, Pietra viva, in Gerusalemme: unione di Sole e luna, Cielo e terra, Sposa e sposa. Nella scena vangelica si accenna alle “pietre” che parleranno e riconosceranno il Cristo e ai bambini e ai lattanti quali voci di Dio!
L’Alchimia ha sempre ripercorso il linguaggio e l’immaginario mistico cristiano, e si poneva quale mimesi cristica nel microcosmo del creato. Le babbucce nere ai piedi del letto corrispondono ai corvi opposti e al “controllo” del travaglio della Nigredo che subisce l’innocente Filandro. La testa fasciata di Filandro richiama il caput mortuum della Nigredo e lo “sbocciare” del fiore dall’alambicco. La stanza di Filandro e Gabrina presenta un soffitto color terra ripartito in 5 file di 7 cassettoni, una finestra aperta con un vetro composto da 4 file di 6 tondi di bottiglia, due babbucce nere poste ai piedi del letto in direzioni opposte, un lume innalzato e spento sulla lettiera del letto con due oggetti non identificabili vicini, una coperta verde, e un pavimento verde con 7 file per 7 di piastrelle. Come appare evidente la numerologia dei componenti geometrici non lascia adito a dubbi sui sensi ermetici della scena.
Oltre a ciò, i colori rosso, verde e bianco dei vestiti di Gabrina e Filandro ricompongono la terna alchemica nella coniunctio androgina apprezzata nel suo senso eclissico e sacrificale. La rubea Gabrina si muove verso il bianco Filandro, mentre la verde coperta del letto funge da “medium”. Non a caso Filandro, oltre alla testa fasciata, nell’araldica corrispondente alla “testa di moro”, mostra il petto colpito e sanguinante, come per il mistico e cristico Pellicano, a sua volta rinviante alla Fenice e al Pesce aureo. Il colore grigio delle pareti mutua il colore bigio dell’asino. Il lume sulla testiera aurea del letto corrisponde perfettamente, nella sua descrizione formale, ai molti lumi che accompagnano l’immagine ermetica del Re recumbente in agonia e sudorazione, o fase del Getsemani, mentre l’enigmatico oggetto ad esso vicino sembra un bracciale/urna a raggiera per ceneri e/o incensi.
Sulla parete esterna compare poi una finestra cieca, La scena del ferimento di Filandro, lasciata “fuori” dal primo piano e invertita cronologicamente, mostra due uomini, uno con pennacchio rosso e uno con pennacchio bianco, che colpiscono il vermiglio protagonista, a terra con la spada e il cappello nero atterrati e con gli occhi misticamente diretti verso l’alto, armati di un’asta vermiglia e di una spada dalla lama bianca. Dietro la vegetazione reitera l’alternanza dialogativa e ambivalente, mistica ed alchemica, fra rosso e verde, vecchio e nuovo, secco e umido, zolfo e mercurio. Tale scena conferma il carattere mercuriale e materico di Filandro, sostanza prima su cui agiscono i fattori dell’Opera, novello Prometeo, vittima e protagonista del travaglio ermetico, e quindi figura dell’alchimista. Si può ricostruire anche un dialogo fra Gabrina e la Donna innalzata: dalla Venere terrena, materia incessante e desiderante, che fa morire per essa stessa morire (impiccata nell’Orlando all’albero, saturnino come l’albero che usa Bradamante per scendere nella caverna di Merlino) alla Venere uranica e liberatoria.
La triangolazione Donna/Asino/Filandro ci parla quindi mirabilmente della materia e dei componenti dell’Opera, indicando in una stupenda, innovativa e sapiente sintesi, sia l’inizio del processo che la via per svilupparlo fino a felice conclusione. La statua di sale è elevata, arde verso il Cielo, confitta nella sua testa dal Nodo di Iside o di Ank, dalla Croce egizia, da essa uscirà il latte vivo di Galatea.