La leggenda delle streghe ha radici profonde e su di loro ci sono favole, credenze e superstizioni che si rifanno al luogo e alla storia delle città a cui appartengono. Sono diverse e uniche ma presenti in ogni angolo del mondo. Ci sono “città delle streghe” in ogni angolo del mondo che rivendicano la paternità e sono una meta ambita dai turisti e curiosi.

Radici profonde legano le leggende che si narrano alla cultura antropologica del luogo in cui ci si trova e spesso in base alla città le streghe prendono un nome diverso.

Anche a Benevento la leggenda ha radici profonde e la strega poteva avere tre nomi diversi in base alla sua origine, si chiamava Janara, Manolonga o Zucculara.

Ognuna di loro aveva una caratteristica diversa, la Manolonga (bracciolungo) abitava nei pozzi e se ci si affacciava su di essi lei tirava giù il malcapitato, la Zucculara era zoppa e si aggirava in uno dei quartieri antichi della città e infine, la “famosa” Janara che usciva di notte e si intrufolava nelle stalle o nelle case ed era solitaria e con carattere aggressivo.

Forse in tutti e tre i casi, la figura delle streghe, si può considerare un’invenzione degli adulti per spaventare le nuove generazioni e dissuaderla dalla disobbedienza. Per questo motivo, i bimbi avevano paura di sporgersi nel pozzo, i giovani di rimanere per strada fino a tardi (prima dell’arrivo della Zucculara) e la Janara li convinceva a non andare nelle campagne circostanti.

Le radici della leggenda si fondano in epoca longobarda, quando gli abitanti erano per la maggior parte cristiani ma continuava la devozione verso divinità pagane come Diana, Iside ed Ecate. Il nome della Janara probabilmente derivava da Dianara, cioè, “sacerdotessa di Diana” la dea romana della luna. A Benevento, Domiziano fece erigere templi dedicati ad Iside (oggi non se ne ha più traccia) dea che si fondeva in altre due figure, Ecate (dea degli inferi) e Diana (dea della caccia).

Il luogo in cui si riunivano le streghe cambiava in base alla tradizione, poteva essere un cimitero, un crocicchio, una radura o una montagna. A Benevento le streghe si riunivano sotto un noce, e attorno ad esso si svolgeva il sabba, definito anche messa delle streghe. Era un convegno durante il quale venivano fatte pratiche magiche in presenza del diavolo. Si svolgeva di notte in date ben definite e veniva raggiunto dalle streghe di tutto il mondo attraverso particolari unguenti che davano poteri divini.

Pietro Piperno, storico e autore del trattato Della superstitiosa noce di Benevento, fa risalire la leggenda delle streghe a quando la città era la capitale del Ducato Longobardo e il popolo germanico, anche se convertito al cristianesimo, continuava a praticare i suoi riti pagani.

I riti si svolgevano sulle sponde del fiume Sabato, veniva appesa ad un albero la pelle di un caprone e i guerrieri, correndo velocemente sui loro cavalli, la colpivano con le frecce. I cristiani che assistevano ai riti “dentro le mura” della città vedevano i guerrieri a cavallo come mezzi uomini e mezzi animali e le ombre davano luogo a immagini sataniche e blasfeme.

Secondo la leggenda il noce aveva poteri magici era un albero potente e attorno ad esso vi era un enorme serpente d’oro che nella mitologia nordica era il Jormungand, figlio di Loki e della gigantessa Angrboða. Il noce era probabilmente un luogo consacrato a Odino o ad altre divinità, attorno ad esso si potevano fare riti propiziatori prima di importanti guerre. Aveva la funzione che il tempio aveva per greci o romani.

Quando il Ducato venne assediato dai Bizantini e i Longobardi riuscirono a respingerli e ne videro la ritirata, San Barbato li convinse che era opera di Dio e da questo momento iniziò una vera e propria conversione. Il primo gesto compiuto dal santo fu l’abbattimento del noce per sradicare le usanze pagane e che risultavano fuori dal controllo della chiesa.

Ci si dimentica però che le streghe di Benevento non erano famose solo per i loro riti e la loro malvagità verso chi le aveva derise ma anche per essere delle guaritrici. Queste donne usavano erbe medicamentose per creare analgesici, calmanti o digestivi. Creavano anche preparati per alleviare i dolori del parto che la chiesa non vedeva di buon occhio perché a causa del peccato originale la donna doveva partorire con dolore.

Le streghe erano delle medichesse o farmaciste che sapevano riconoscere nei campi le erbe con cui fare tisane e infusi medicamentosi. Alla base di questi “intrugli” c’erano erbe che ancora oggi si usano per la creazione di famaci o la medicina alternativa. Le streghe-guaritrici avevano una profonda conoscenza erboristica e una grande esperienza nell’ostetricia.

La conoscenza si tramandava tra madre e figlia o nel ramo femminile della famiglia e si praticavano terapie dolci e non invasive. Le erbe venivano raccolte durante le notti magiche come quella di San Giovanni ed erano: l’iperico, l’artemisia, la ruta, la verbena, la belladonna, il giusquiamo, il rosmarino, la salvia e il prezzemolo. Dopo la raccolta c’era la preparazione di unguenti, balsami e impiastri.

Erano donne sapienti e temute dalle istituzioni e per questo in loro veniva visto un capro espiatorio e solo così la società riusciva a spiegare le disgrazie degli uomini comuni. L’uso di tradizioni pagane e di erbe difficili da dosare veniva considerato una minaccia dalla chiesa del tempo e come tale doveva essere eliminata. Rischiavano ogni giorno accuse per essere seminatrici di terrore o di morte e spesso venivano perseguitate ingiustamente.

Nella storia la donna è sempre stata vista come un essere impuro e inferiore, doveva essere manipolato e sottomesso. La figura della strega era una figura forte e quindi negativa, cattiva, accusata d’esser in grado di fare del male anche ai più piccoli e agli indifesi. Questo pregiudizio le portava ad essere allontanate dalla società o trattate con freddezza e distacco.

Perché gli uomini chiamati maghi venivano inseriti all’interno delle fiabe come modelli positivi e portatori di magia buona? La magia femminile, forse ancora oggi, era considerata come magia cattiva da estirpare e non far progredire. La società moderna tende a tornare alle vecchie tradizioni, alla ricerca del contatto con la natura al biologico. Se avessimo imparato dalle nostre antenate come fare quelle che vengono chiamate pozioni o unguenti potremmo ristabilire un equilibrio che si è perso con il passare dei secoli.

Sono presenti diversi musei, in molte città d’Italia, che conservano il ricordo della leggenda delle streghe e delle guaritrici, forse per riscattare agli occhi della società la figura della strega. Il museo di Benevento Janua è un percorso che, oltre a mostrare la leggenda, mostra quali erano gli oggetti e le erbe che esse utilizzavano. Il viaggio che viene fatto quando si visita il museo è un viaggio nelle tradizioni del territorio e delle nostre nonne. Di donne coraggiose che mettevano il bene comune al sopra di ogni altro pregiudizio e si prodigavano per gli altri anche a discapito della propria incolumità.

Al giorno d’oggi, spesso viene chiamata strega una donna forte che cerca di rivendicare la propria identità e il proprio carattere. In tal senso, sicuramente la società ha ancora molti passi da fare verso le future “streghe” come, ad esempio, non vederle come degli esseri malevoli ma come semplici donne che difendono la propria identità potrebbe essere un passo importante per una società più consapevole.

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