Da diversi anni, con il riscaldamento delle acque marine, anche nel mare ravennate sono arrivate le meduse. E la mia vita marina è cambiata. Tre estati fa, dopo il primo incontro scontro con questi esseri gelatinosi e urticanti, sono andata in un negozio specializzato in indumenti e accessori per il nuoto e ho tentato inutilmente di infilarmi una muta. Allora sono passata ad occhialini speciali, ma non c’è niente da fare. Ne ho una collezione, ma devo avere una conformazione particolare degli zigomi, per cui l’acqua passa.
È diventato un sogno il tragitto boa contro boa; ora nuoto praticamente a riva. Tutte le mattine, quando m’immergo scrutando le acque, vedo, proprio all’altezza delle boe, due creature che nuotano ben sincronizzate. Sono tutte nere. Vedo maschera, mani, teste, pinne; nere. Una mattina sono andata a trovarle alla partenza; la loro è una muta integrale, niente occhiali, ma una maschera che copre anche il viso. Ecco, per evitare le meduse è necessaria la muta integrale. Solo per infilarla impiegherei tutta la mattina. Sono passata ad una pomata con un odore che dovrebbe allontanare le meduse; parola di farmacista. Il suo fetore allontana gli umani, ma non le meduse.
E va bene. Non mollo.
Da tempo sto vivendo l’insopportabile certezza che, quando mi capita di raggiungere uno stato di grazia e di bellezza, ecco che accade qualche accidente per il quale lo stato di bene in esserci mi viene tolto. Mi viene tolto, ma non subito. All’inizio si tratta di qualche sfumatura fastidiosa, di qualche particolare, poi arriva il botto finale. Se c’è una sedia rotta quella è mia, in generale qualsiasi oggetto mal riuscito quello è mio; dal tappo dello spray che non funziona, alle pesche dure che invece di maturare passano direttamente alla muffa. Ci sono poi luoghi di ritrovo nei quali stavo bene ed ora non ci sono più, ma anche cibi, come i grissini alla curcuma che il forno non fa più, oppure l’ora solare che hanno tolto per problemi di risparmio energetico, e io con l’ora legale sono sempre in ritardo di un’ora esatta.
Una settimana fa, nonostante il caldo infernale, sono andata in studio. Ho creato un po’ di corrente e ho aperto la sdraio. Ho preso uno sgabello con cuscino per tenere i piedi in alto (fa bene alla circolazione) e finalmente mi sono sdraiata con il quotidiano, pronta per la lettura. Quasi immediatamente lo sdraio ha ceduto e sono rimbalzata in aria come una piuma: così, stesa a terra, mi sono detta: “al pronto soccorso non vado, ma come faccio ad alzarmi?” Ci sono riuscita, anzi la risalita è risultata più semplice del previsto; ero solo leggermente indolenzita, ma Angelo, il mio amico, mi ha consigliato un piccolo cellulare da portare sempre al collo.
Allora se una come me, su trenta sedie, si siede nell’unica che zoppica e riesce a cadere anche sdraiata, è inevitabile che si scontri con meduse urticanti.
Sto bene solo quando nuoto. Ed allora ecco che si scatenano forze negative per cui l’acqua si riscalda un po’ troppo e arrivano, insieme ai granchi blu e alle schifosissime noci di mare, le meduse e altre specie di pesci che non mi sono neanche parenti. Magari, anzi sicuramente, sono profughi come accade tragicamente a migliaia di esseri umani. Il loro habitat è talmente mutato, che creando problemi vitali di estrema gravità, sono costretti ad emigrare in altri mari. Dovevano stare veramente male perché anche le nostre acque non sono limpide e neppure pulite.
Ora potrei scegliere la via ecologica dell’inquinamento degli oceani con le nuove isole di plastica, oppure continuare con le forze negative che m’impediscono di fare ciò che mi piace fare. Continuo con quest’ultime perché sulla crisi climatica e sulla distruzione dell’ambiente ho scritto decine di racconti e ora, che è anche domenica pomeriggio e i vicini di casa sono in moto perpetuo con trapano o con grigliate di carne e io, guardando i rami secchi del mio albero, raggiungo il massimo della depressione (ma anche se i vicini fossero tutti al mare e fossi avvolta dal silenzio anche il silenzio mi deprimerebbe) posso solo indagare le forze negative e con queste giocare un poco.
Ero rimasta alle meduse. Nell’ultimo incontro-scontro ho avuto metà viso gonfio e molto dolore; quindi, per rientrare di nuovo in acqua ho dovuto superare lo stato della paura. E dire che ho visto nella vetrina del negozio “tutto per il nuoto” una maschera con naso, meno invasiva di una maschera integrale, dovevo solo entrare e provare. E qui si apre il baratro dell’acquisto. Ormai entro solo in negozi dove vendono cibo biologico di buona qualità, già pronto. Dopo sessant’anni ai fornelli ho deciso che sono stanca. Sono stanca di cucinare, sono stanca di entrare nei negozi in genere. Sono stanca dei lavori di casa, sono stanca di controllare e dividere in due le quasi invisibili pillole di Manlio e discutere e parlare, ma sono stanca anche di stare zitta quando dovrei dire quel che penso e invece scelgo il silenzio. Sono stanca di andare alle conferenze. I professori e i fini dicitori mi annoiano.
Sono in buona compagnia: “…eccetto la natura, e cioè l’anima, ed eccetto l’anima, cioè la natura, nulla mi tocca: né l’opinione pubblica, né la tecnica, …Per questo non vado da nessuna parte: mi anno-o-io! Un professore tiene una lezione, e io conto: i minuti che mancano alla fine. […]”
È Marina Cvetaeva in una lettera del 1927 ad un’amica. Ecco. Io che vivo di perdite, anche di perdite di libri, amo i suoi libri a tal punto che li tengo vicino al letto e così li posso controllare con lo sguardo.
Continuo a lottare contro la paura e la stanchezza nuotando per ore, soprattutto in questi giorni perché l’acqua ormai fredda tiene lontane le meduse. Continuo a lottare ancora contro la paura di automobilisti, ciclisti e pedoni impazziti tutti attaccati al cellulare (non mi vedono) e la stanchezza per andare, verso il tramonto, lungo l’argine del fiume dove solitudine e silenzio sono forze inesauribili.
Mi sbaglio. Non c’è niente di inesauribile: da qui, dal fiume Montone, in maggio per due volte, è passata la fiumana.