In occasione della 64esima edizione della Berlinale 2014, sul sito Mymovies.it è stato possibile visionare gratuitamente il film austriaco Shirley, visions of reality di Gustav Deutsch, presentato lo scorso anno nella sezione Forum del festival berlinese. Forum è la selezione delle opere sperimentali, d’avanguardia o che semplicemente volgono lo sguardo a paesaggi ancora inesplorati dalla cinematografia e Shirley è una di queste.

La macchina da presa di Deutsch anima l’arte pittorica del celebre artista Edward Hopper che costituisce la scena: il film si sviluppa difatti all’interno di tredici quadri magistralmente ricostruiti in tridimensione e dunque praticabili, vissuti all’interno da personaggi reali, mobili, sebbene il loro dinamismo spesso si riduca a un complesso eloquio interiore senza nessuna corrispondenza fattiva o interazione con la scena. Shirley, la protagonista, è un’attrice teatrale che ci conduce, tramite la sua personale vicenda, dagli anni ’30 della Grande Depressione agli anni ’60 delle lotte per i diritti civili, passando per la Seconda guerra mondiale e l’era McCarthy.

Shirley (Stephanie Cumming) ci rende costantemente partecipi della propria visione delle cose, della storia e degli eventi in cui è immersa, spesso esprimendo una volontà di travalicare la realtà, di non arrendervisi, ma di partecipare al cambiamento mediante il suo coinvolgimento nella storia in prima persona. Shirley è una donna che agisce, e il suo microcosmo si apre alla collettività, come la potenzialità personale che volge le mire al teatro sociale, mediazione tra arte e impegno politico.

Partendo dalla convinzione che la Storia sia costituita dalle vicende delle singole persone, il regista illustra trent’anni di storia politica e dei suoi effetti sociologici mediante l’ombra portata sul corpo della nostra protagonista e di pochi altri personaggi che intervengono nella scena. Il dibattito sulla questione del “Reale” viene traslato dal luogo del palcoscenico teatrale a quello diegetico della scena del film, tangendo l’ontologia creatrice delle opere alle quali il film si ispira: anch’esse rappresentano il risultato di un immaginario storico collettivo, costituito dalle pulsioni soggettive dei singoli che insieme hanno fatto la Storia.

Attraverso un solipsistico monologo interiore, sviluppato all’interno della bidimensione pittorica espansa in una minuziosa riproduzione, Gustav Deutsch raffigura l’impressione comune che la Storia a sua volta distribuisce ai singoli attori, come un copione di sensazioni da vivere e interpretare. La realtà soggettiva e quella collettiva si compenetrano, si alimentano e si rincorrono in una danza circolare. L’espediente della meticolosa ricostruzione di uno scenario così noto come le tele di Hopper - che acquisisce una sinistra poeticità nella sua finzione plastica - riconduce allo stereotipo, alla realtà concepita come costrutto sociale, che l’essere umano alimenta e in cui al tempo stesso è immerso, ma che non costituisce l’unica visione possibile in virtù della dialettica aperta tra individualità e struttura sociale