Pochi giorni fa il Cortona On The Move, celebre festival internazionale di fotografia, ha chiuso i battenti sulla edizione 2023. Ho avuto occasione, come ogni anno da diverso tempo a questa parte, di visitare la prestigiosa rassegna e le sue splendide esposizioni.
Una in particolare, in questa tornata, ha avuto il merito di conquistare la mia attenzione fin dai primi istanti; ma non per la qualità delle immagini, quanto piuttosto per la storia annessa ai personaggi ritratti e al paese coinvolto: Africo, una piccola realtà dell’entroterra calabro divenuta una vera e propria città fantasma.
Era il 1948 quando sul luogo giunsero il giornalista Tommaso Besozzi e, al suo seguito, il fotoreporter Valentino “Tino” Petrelli. Il servizio, commissionato da L’Europeo, doveva servire a far luce sulla questione meridionale, ma delle decine di fotografie scattate vennero utilizzate solamente sette istantanee.
Sette spaccati di vita che contribuirono, però, a fornire una buona panoramica su ciò che purtroppo non era mutato da circa venti anni a quella parte. Ovvero, da quando il meridionalista Umberto Zanotti Bianco aveva visitato il borgo e redatto un’approfondita inchiesta, poi confluita nel racconto Tra la perduta gente (Africo), pubblicato nel 1928.
Case diroccate, malattie, sostanziale assenza di istituzioni ed infrastrutture, analfabetismo dilagante, alta mortalità infantile ed un terreno in gran parte inadatto alla coltivazione, sono le problematiche principali dell’isolato agglomerato cittadino. Il pane stesso, elemento base dell’alimentazione anche ai livelli di povertà più diffusa, veniva realizzato con una inusuale farina a base di cicerchie e lenticchie, data l’impossibilità di far crescere del frumento.
Una condizione che non durerà ancora a lungo, ma non grazie all’intervento dello Stato o delle amministrazioni locali. È il 1951 quando una tremenda alluvione devasta l’abitato, rendendo inagibili le case e costringendo la popolazione a ripiegare, per ordine delle autorità, in vari comuni della provincia.
Inizia qui la costruzione di una nuova Africo, lontana dalla precedente. I cittadini vengono spinti verso condizioni di vita inedite, legate a nuove e difficili coltivazioni, oltre che a forme di assistenzialismo incapaci, purtroppo, di dare concreti sviluppi all’economia del nuovo centro urbano e di renderlo immune dalla piaga della ‘ndrangheta.
La vecchia Africo diventa una vera e propria città fantasma a partire da questo momento, rendendo i preziosi contributi letterario-giornalistici le uniche testimonianze di quel contesto così isolato e difficile, ma anche simbolo di grande resistenza e adattabilità.
L’edizione 2023 del Cortona On The Move è stato il palcoscenico su cui rinnovare il ricordo di quel piccolo e incredibile angolo di mondo, portando alla luce tutto il reportage fotografico di quella spedizione del 1948, conservato nell’Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo. Una storia che si snoda attraverso le decine di scatti realizzati da Petrelli, con un corpus finalmente reso disponibile nella sua grande ampiezza e forza.
Ma anche il cinema ha saputo, in tempi recenti, fornire il proprio contributo per mantenere viva la memoria di quel piccolo paese. Anime nere (Francesco Munzi, 2014), ad esempio, ha visto la realizzazione di alcune sequenze proprio nel piccolo borgo fantasma.
Il nome di Africo riecheggia però ancora più forte in Aspromonte – La terra degli ultimi (Mimmo Calopresti, 2019), interamente dedicato alla sua memoria ed ambientato proprio nel fatidico 1951. Il personaggio-guida della maestra Giulia (Valeria Bruni Tedeschi), trasferitasi per lavoro da Como, trascina per mano lo spettatore in una realtà che pare fuori dal tempo e immune alle grandi trasformazioni che il Paese stava vivendo in quella stagione.
Pare di trovarsi, insomma, ben più lontani degli oltre settanta anni che separano quegli ultimi momenti di Africo dai giorni nostri e da una contemporaneità che, fortunatamente, ha saputo ravvivare il ricordo del borgo che fu.