Chi è Vania Elettra Tam?
Uno dei tanti volti gentili della melanconia celata dietro uno spocchioso sorriso.
Cosa, del mondo che ti circonda, attrae la tua attenzione e cosa riesce ad avere un effetto tale da influenzare la tua ricerca artistica?
La semplicità, i gesti quotidiani, le fragilità umane. La maggior parte della gente è a caccia di sensazionalismi, di cose estreme, di opulenza … io sono attratta da ciò che molti probabilmente nemmeno vedono, da cose apparentemente banali. Della gente osservo l’andatura, come gesticola, il modo in cui siede, come muove le labbra, gli occhi… cose che poi mi tornano utili quando dipingo, perché utilizzo il linguaggio del corpo per esprimere uno stato d’animo. Focalizzo le mie attenzioni soprattutto sulle donne, le osservo per strada, nei supermercati, nei vari ambienti di lavoro e noto che spesso c’è della distonia fra come vogliono apparire e ciò che il loro atteggiamento comunica. Sono tutte molto più fragili di quanto vogliano sembrare.
Da artista, quali immagini del tuo lavoro, che in qualche modo rappresentano dei punti di snodo fondamentali, ci proporresti?
Partendo dai miei primi lavori del 2004, potrei proporre Mi ricompongo dove rappresento la donna che, come fosse un manichino, cerca di ricomporre il proprio corpo (veicolo dell’anima). Poi nel 2006 ho iniziato un ciclo pittorico intitolato Luci.A, in cui rappresento donne che nel buio della propria solitudine esistenziale vengono illuminate solo da fonti di luce artificiale. Potrei scegliere come opera rappresentativa di quel periodo 17 pollici perché è attraverso un social network che la protagonista dell’opera tenta di sopperire all’isolamento. Ma è nel 2008 che ho iniziato il periodo della svolta, quello in cui ho sfoderato il mio senso ironico e autoironico dipingendo il ciclo delle casalinghe disperate, dove rappresento donne che svolgono faccende domestiche sognando però di vivere in un’altra dimensione, in cui si sentono più appagate. Come opera rappresentativa potrei scegliere Sailing away del 2008 mentre per quanto riguarda il ciclo successivo denominato “cronaca rosa” selezionerei l’opera I want to ride my bike del 2010.
Nel 2011 ho iniziato un nuovo ciclo dove tratto il tema del precariato e fra le opere realizzate proporrei come rappresentativa SOSpesa n1 del 2011 in cui una donna è in bilico su un filo intenta a reggere le proprie fragilità, rappresentate da una pila di uova. Nel 2012 mi sono concentrata sulla tematica delle ombre, che invece di corrispondere alle figure rappresentate in primo piano si trasformano in qualcos’altro, facendo emergere sogni, ambizioni e paure. Come esempio proporrei Un cappuccino con cappuccetto del 2012 in cui la donna in primo piano proietta la propria ombra in secondo piano, che si trasmuta sia in cappuccetto rosso sia in lupo. Mentre nel ciclo Cielo le ombre celano il desiderio di voler tornare a pensieri leggeri, come quelli dell’infanzia e dei giochi vissuti in un ambiente naturale, come ad esempio nell’opera Voglia di leggerezza del 2012. Seguendo la naturale evoluzione della mia ricerca sono lentamente passata da una critica sociale trattata con ironia a una visione sempre più onirica, come se solo attraverso il sogno ci si potesse liberare delle proprie ossessioni. Ed è così che è nato il mio nuovo ciclo nel 2013, denominato Rhodiola Rosea di cui scelgo come opera rappresentativa Rhodiola Rosea in Fa diesis una delle prime realizzate e ancora dipinte a olio su tela, tecnica e supporto che ora ho accantonato privilegiando l’inchiostro su carta.
Come definiresti il tuo lavoro: su cosa vuoi farci riflettere e quali messaggi vuoi trasmettere?
Il mio lavoro? Precario. Lo definirei così non solo per ragioni legate alle difficoltà di poter vivere di questo mestiere, ma anche al fatto che l’instabilità è un tema ricorrente nelle mie opere da sempre. Non ho la pretesa di far riflettere nessuno né tanto meno di trasmettere messaggi, dipingo perché è così che riesco a esprimermi meglio, ovvero con le immagini invece che con le parole.
_ Rhodiola Rosea _ … ce la racconti?
Nel ciclo pittorico Rhodiola Rosea raffiguro strane creature ancestrali e tentacolari che si avvinghiano a figure femminili in una sorta di danza rituale, intessendo un rapporto di commistione. In questa mia ultima ricerca tento di rappresentare un atto di rinascita e di ricostruzione (la Rhodiola Rosea è una pianta dalle proprietà straordinarie usata nella medicina naturale, assunta regolarmente ridona equilibrio emotivo). In seguito a un fortuito ritrovamento di alcune cartelle d’archivio di un’azienda tessile comasca, contenenti parecchi disegni fatti rigorosamente a mano, ho pensato di inserire alcuni di quei lavori all’interno dei miei. Così manufatti destinati al macero, perché considerati ormai inutili, hanno recuperato una nuova validità, diventando parte di un’opera. Facendo una ricerca sull'origine dei disegni ritrovati, ho scoperto che il soggetto rappresentato (la stilizzazione di una goccia ritorta, o di un mango, o di una foglia stilizzata di palma... ) è di origine iraniana e indiana, ma che in occidentale viene chiamato Paisley, come la città scozzese che dal 1800 confeziona pregiati tessuti jacquard con quel tipo di fantasia dal sapore orientale riadattato però ai gusti vittoriani. Anche se, tramite i primi processi di stampa tessile, il disegno Kashmir (altra definizione di Paisley) venne già realizzato a Marsiglia nel 1640, in Inghilterra attorno al 1670 e in Olanda nel 1678. Nel '700 la "goccia ritorta" era molto in voga nella regione baltica, dove la popolazione riteneva che quella fantasia avesse un potere protettivo in grado di allontanare i demoni del male, mentre in tempi più recenti lo stesso soggetto è stato utilizzato dai giovani come simbolo di ribellione. Ma per conoscere il significato originale, bisogna fare un grande salto indietro nel tempo, fino ad arrivare alla dinastia sassanide (Persia 200-650 d.C). Alcuni studiosi di design credono che sia un motivo floreale chiamato Buteh, la stilizzazione di un mazzo floreale e di un cipresso: simbolo zoroastriano della vita e dell'eternità. Per tutte queste ragioni, aggiunte al semplice desiderio di appagare il puro senso estetico e al bisogno di riscattare il lavoro eseguito a mano da pazienti disegnatori tessili (attività che fra l'altro ho svolto anche io per tredici anni), ho sentito la necessità di utilizzare i disegni Paisley nel ciclo Rhodiola Rosea.
Che io risenta del fascino della cultura orientale non lo si nota solo dall'inserimento dei disegni Paisley all'interno delle mie opere, ma anche dalla chiara ispirazione alle antiche opere erotiche giapponesi denominate Ukiyoe. La parola Ukiyoe è formata da due parti la prima delle quali (ukiyo) significa "mondo fluttuante" mentre la seconda è composta dal kanji utilizzato per la parola "quadro, disegno". Disegni del mondo fluttuante sono opere che ritraggono la vita spensierata di geishe, attori e personaggi famosi, spesso ambientate tra le mura dei quartieri di piacere. Anche la natura ebbe un ruolo particolarmente importante all'interno di questa corrente artistica: tra queste, famosa è l'opera Il sogno della moglie del pescatore di Katsushika Hokusai (1760–1849). La natura e i sentimenti umani, anche quelli più drammatici e scabrosi, trovano nell'arte ukiyoe una forma di catarsi simile a quella del teatro kabuki, concedendo di trattare anche ciò che le rigide convenzioni morali della società giapponese non avrebbero altrimenti permesso. Quell'opera era una delle illustrazioni presenti nel libro intitolato Kinoe no komatsu (I giovani pini) del 1814. Edmond de Goncourt nella sua monografia su Hokusai del 1896 recita: "In uno di questi album si trova la sconvolgente tavola raffigurante un corpo nudo di donna disteso sugli scogli verdeggianti di erbe marine: in preda al piacere, è in uno stato di deliquio tale - sicud cadaver - che non si riesce a capire se trattasi di un'annegata o di una persona viva; un'immensa piovra dalle pupille spaventose, simili a neri quarti di luna, le sta suggendo le parti basse del ventre mentre un'altra piovra, più piccola, le divora avidamente la bocca". A mio modesto parere la donna non solo è viva ma fa dono di se stessa all’esistenza abbandonandosi al puro piacere carnale. Nelle mie opere l’atto sessuale non è così esplicito, le donne da me raffigurate non sono nude ma i tentacoli delle creature che le avvolgono si insinuano comunque fra le loro cosce, sfiorano i loro rosei capezzoli e le invitano a lasciarsi andare sensual-mente.
Che musica ascolti? Qual è l’ultimo libro che hai letto? Chi sono gli artisti che ami?
La musica provoca in me emozioni che nemmeno la pittura sa darmi, per questa ragione non l’ascolto mai quando lavoro, perché mi distrae e assorbe i miei sensi, privandomi della capacità di concentrazione su ciò che sto facendo. Detesto quando viene imposta, come accade nei negozi e nei locali. Trovo sia una violenza. La musica andrebbe scelta, come andrebbe scelto il momento in cui ascoltarla. Fra quella che prediligo ci sono Space Oddity di David Bowie, Shine On You Crazy Diamond dei Pink Floyd, Wrong dei Depeche Mode, Creep dei Radio Head, ma anche O Superman di Laurie Anderson, Once In A Lifetime di David Byrne, o cambiando totalmente genere The Sacrifice di Michael Nyman: insomma, dipende dallo stato d’animo.
Per quanto riguarda la lettura, un tempo amavo la narrativa, perché riusciva a stimolare la mia fantasia suggerendomi immagini interessanti, nonostante ciò ultimamente prediligo letture di saggistica sull’arte. Ora sto leggendo Marcel Duchamp. La vita a credito di Bernard Marcadè, perché sebbene io dipinga, sono molto attratta da altre forme d’espressione artistica. E poi chi dichiara “Preferisco vivere, respirare piuttosto che lavorare” non può che suscitare la mia curiosità. Eppure Duchamp non è uno degli artisti che più amo. La mia ammirazione invece va alle pennellate veloci e sicure di Jenny Saville e di Marlene Dumas, alle potenti creazioni di Louise Bourgeois, agli autoritratti concettuali di Cindy Sherman e alle denunce sociali di Shairin Neshat, alle visioni fluttuanti e psichedeliche dei video di Pipilotty Rist e alle coraggiose ed estreme performance di Gina Pane…
Come spiegheresti il sistema dell’arte contemporanea italiano a una persona che non lo conosce? Che suggerimenti le daresti?
Ecco… se qualcuno lo spiegasse anche a me ne sarei felice. A parte gli scherzi non è un argomento facile da affrontare, soprattutto in poche righe. E comunque, nonostante vari tipi di letture sul tema, come ad esempio il libro Il sistema dell’arte contemporanea di Poli, per me l’argomento rimane ostico. Il consiglio che darei a una persona completamente digiuna sull’argomento è di non concentrarsi tanto sul “sistema” quanto sull’"arte".
Nel tuo lavoro c’è una matrice antropologica che si spinge aldilà della rappresentazione … ce ne parli?
Nelle mie opere c’è la volontà di dare un’identificazione sociale, geografica ed epocale. Chiaramente il tipo di rappresentazioni che sviluppo sono strettamente legate al mondo che mi circonda e mi appartiene, ciò esclude di conseguenza alcune etnie e categorie. Tratto le problematiche morali che maggiormente mi coinvolgono in quanto persona appartenente a uno specifico apparato sociale. Attraverso la raffigurazione di alcuni elementi come oggetti e vestiti, rendo riconoscibile l’epoca in cui sto vivendo e per quanto io possa attingere idee da culture orientali o citare opere del passato, la matrice occidentale odierna è lapalissiana. Ho l’assurda ambizione che in futuro, chiunque avrà modo di vedere una mia opera, sia in grado, anche senza sapere chi sia l’autore, di riconoscere che sia stata dipinta nel ventunesimo secolo in Europa da una donna che ha vissuto sulla propria pelle tutte le tensioni dell’epoca.
Ultimamente su cosa stai concentrando la tua attenzione? Che progetti ci sono in cantiere per i prossimi mesi?
Il mio fare artistico si è spostato da una visione cinico-ironica a una onirico-fiduciosa. Sarò un’illusa, ma mi piace lasciar spazio alla speranza. Il presente non ci suggerisce grandi prospettive per il futuro e sarebbe più coerente dipingere panorami più simili a quelli suggeriti da certa letteratura e cinema. Perciò è su questo che mi voglio concentrare, sulla possibilità di una rinascita. Come? Attingendo ai sentimenti del passato, a quelli dell’infanzia in cui la vita viene affrontata con sguardo positivo e propositivo. In cantiere ci sono vari progetti espositivi di tipo collettivo in sedi istituzionali. Esporre con altri artisti è di grande stimolo, perché il confronto permette la crescita. Questi sono alcuni eventi a cui parteciperò nel 2014: L'interiorità, lo sguardo dentro a cura di Alessandra Redaelli, che si terrà a Palazzo Marazzani Visconti, sede di Biffi Arte, a Piacenza. La 6° tappa della mostra Aliens. Le alienazioni del contemporaneo, ideata da Sergio Curtacci, direttore della rivista digitale di arte contemporanea Frattura Scomposta, che si svolgerà presso la Casa dell’Ariosto a Ferrara. Inoltre sono stata invitata da Nila Shabnam Bonetti, critico d’arte e presidente dell’Associazione Culturale Laboratorio Alchemico, a partecipare alla mostra itinerante Tessere Storie, assieme ad artisti di fama internazionale, che si terrà a Como, Biella e Prato in sedi ancora da definire.