Lo scritto “La questione della tecnica” di Martin Heidegger del 1953 è contenuto in un’opera chiamata Saggi e discorsi.
Il volume è composto da diverse riflessioni heideggeriane. La questione della tecnica è il primo saggio/discorso a cui seguono: Scienza e meditazione; Oltrepassamento della metafisica; Chi è lo Zarathustra di Nietzsche?; Che cosa significa pensare?; Costruire abitare pensare; La cosa; ... Poeticamente abita l'uomo...; Logos; Moira; Aletheia.
Heidegger declina due definizioni di tecnica: la tecnica come mezzo in vista dei fini e l’attività dell’uomo. Le due definizioni sono connesse in quanto la tecnica è un dispositivo, ovvero mezzo, apparecchio, strumento che serve all’uomo.
La rappresentazione comune della tecnica per cui essa è mezzo e attività dell’uomo si può esprimere come strumentale e antropologica. La definizione afferma Heidegger è esatta ed è giusta per la tecnica modernamente intesa.
Heidegger, dopo la definizione strumentale e antropologica, si domanda «e se la tecnica non fosse un mezzo che ne sarebbe della volontà di dominarla?».
Infatti, la constatazione di una realtà non deve solo definire il che cosa sta di fronte ma deve svelare la realtà e condurre al vero. Il filosofo scrive, dunque, ciò che è esatto non è necessariamente vero (l’indagine deve condurre al vero e non all’esatto). In sintesi: per quanto la definizione di tecnica (dispositivo, mezzo, apparecchio, strumento che serve all’uomo) sia esatta essa non è necessariamente vera (il vero indaga l’essenza non l’esattezza).
Pur essendo difficile sintetizzare il saggio in questione si può affermare che i punti chiave sono:
Heidegger comincia il saggio scrivendo: «noi poniamo la domanda sulla tecnica, il domandare lavora a costruire una via» (p.5).
La domanda sulla tecnica quindi porta alla costruzione di una via, una via di accesso all’essere. La costruzione della via serve a “disvelare” e ad uscire dal nascondimento.
Si vuole trovare della tecnica non l’esattezza di una definizione (che può essere strumentale o antropologica) ma l’essenza di essa; l’indagine di Heidegger non verte sulle manifestazioni della tecnica ma sull’essenza della tecnica.
Si indaga sulla verità della tecnica o, meglio, sulla aletheia, wahrheit (questi termini non sono come veritas ma l’accezione fa cogliere quello che Heidegger vuole intendere con verità).
Il problema della tecnica e la domanda sulla tecnica riguardano la metafisica; quindi, il discorso che Heidegger tiene non è un discorso sulla tecnicità ma sull’essenza stessa.
Heidegger dichiara che la tecnica è «un modo del disvelamento» (p.9), non è semplice produzione ma pro-vocazione.
La tecnica così come declinata da Heidegger non è un discorso sulla tecnologia ma è una forma del pensiero con la quale facciamo ciò che facciamo.
La tecnica, allora, è una modalità con la quale l’essere viene disvelato.
Questo discorso sulla tecnica è tale anche per arte e linguaggio e pertanto la tecnica ha una essenza di per sé vicina all’arte e al linguaggio.
La tecnica, inoltre, si presenta come modalità dell’espressione della metafisica. In “Essere e Tempo” (paragrafo 7), quando scrive di fenomenologia, si parte proprio dalla tecnica per giungere alla scienza che teorizza la tecnica stessa.
Per descrivere l’essere della tecnica Heidegger usa il termine di gestell (in tedesco scaffale) e la scompone in ge-stellen (insieme-porre) così da produrre la parola totalità del porre tecnico.
In quanto disvelamento il gestell dipende dall’essere e dal suo destino «l’imposizione è un invio del destino come ogni modo del disvelamento» (p.18), l’uomo, quindi, provoca la realtà e la riduce a fondo.
Heidegger giunge a dire che la tecnica per l’uomo è destino (p.6) e pericolo (p.19): destino in quanto arte, linguaggio e tecnica sono espressioni umane; pericolo perché si assiste alla dimenticanza dell’essenza di arte, linguaggio e tecnica.
La physis (la realtà prima e fondamentale, quella a disposizione dell’uomo) della tecnica è secondo Heidegger fondo in tedesco bestand (p.12) ovvero destino; il pericolo è invece il momento in cui l’uomo diventa fondo perché esso (l’uomo) ha il potenziale, rispetto alle altre cose della realtà e rispetto alla relazione con l’essere.
L’uomo coglie l’essere in un istante di illuminazione come quando riesce a vedere la foresta solo durante l’emissione di luce di un lampo. L’istante di illuminazione lo si può trovare nel rapporto estatico con l’essere per questo la tecnica ha parentela con l’arte.
La tecnica, allora, mette al mondo qualcosa come l’illuminazione del lampo nella foresta.
Secondo Heidegger il produrre non dipende dall’uomo ma dal contatto estatico. Téchne, allora, non è solo produzione artigianale ma anche Poiesis. Alla fine del saggio si cita un passo di una poesia di Holderlin: «Ma là dove c’è pericolo, cresce / anche ciò che salva … e … poeticamente l’uomo abita la terra» (p.22).
I versi di Holderlin esprimono la portata della problematicità, dove l’uomo è destinato a percepire l’essere (destino) ed esso può esserne contemporaneamente inconsapevole (pericolo).
La tecnica, dunque, contiene anche una chance ovvero la possibilità di un disvelamento più originario in grado di fare spazio alla verità dell’essere.
In conclusione, le domande sulle quali si invita il lettore a riflettere sono: che ruolo ha l’uomo? Che cosa significa uomo moderno? Come può l’uomo trovare la sua autenticità in questa società dove lui stesso potrebbe diventare fondo? L’uomo può uscire da questo circolo vizioso? Come possiamo far sì che arte – linguaggio – tecnica non siano meramente merce di scambio e sfruttamento ma siano novità? Come la creazione di un’opera artistica è novità così anche la tecnica, che rivela l’essere, dovrebbe essere novità?
La traccia buttata da Heidegger conduce ad una via di uscita? L’uomo può uscire da questo sfruttamento solo nel momento in cui diventasse davvero fondo?
Il nichilismo estremo, la nullificazione del senso dell’essere si rivela davvero nella tecnica? Si può trovare anche qualcosa di positivo in essa? Nel pericolo rappresentato dalla tecnica si può annunciare anche una via di salvezza per l’uomo?
Infine, l’uomo che ruolo ha? L’essere gettato (definizione heideggeriana di uomo) come si rapporta alla tecnica?
Bibliografia
M. Heidegger, Saggi e Discorsi, traduzione di G. Vattimo, Mursia, Milano, 1991.