I polimeri che Plastic Food ci mette di fronte, in grandi quantità, sono i nostri rifiuti, sono quello che noi abbiamo prodotto ieri, sono un nostro prodotto. Potremmo dire che Plastic Food è di tutti. È un orrore, basta osservare le espressioni delle persone che vedono le presse invadere gli spazi della città, le piazze, le campagne: è quello che noi, siamo in grado di creare. Ecco allora il bisogno dell'artista di essere visto e compreso.
L'artista non ha bisogno del polimero per inventare nuovi utilizzi di esso, per riciclarlo, e mostrare quanto sia un bravo cittadino; ma utilizza il polimero per mostrare alla società il suo declino morale, la sua essenza. Artisti che utilizzano i polimeri per dare un senso alla società odierna, che vedono il polimero come forma d'arte e di espressione del cammino odierno.
Plastic Food, vuole, quindi, disseminare l'arte nelle città, per far conoscere gli artisti alla collettività italiana, attraverso la provocazione e il mescolamento, in un progetto comune che vuole far conoscere le eccellenze territoriali, attraverso le piazze di altri, ma tutti portatori di messaggi condivisi.
Raccontare la vita, il mondo, l'arte attraverso la plastica, significa anche collocare l'artista dentro la sua società, nel suo tempo. È quello che tende a fare Plastic Food; ad una prima visione, infatti, è qualcosa di estraneo, sconvolgente e aberrante, ma riesce a portare alla riflessione, alla comprensione di dove la società e l'umanità si stanno trovando in questo preciso momento. Alcuni tendono a sfuggire, altri a restare. Molti tendono a sorvolare i concetti che hanno portato alla creazione delle eco-presse di Plastic Food.
Mettiamo in una specie di catalogo, il polimero artistico; quello che non si usa per fare arte, o l'arte del riciclaggio, ma che esso stesso è arte. Diventa espressione del paesaggio, mediato dall'occhio attento e sensibile dell'artista. È un ridare vita all'arte, che era stata decretata morta. Un bisogno di riappropriarsi di valori e sentimenti, di osservare per rendere giustizia al mondo. I consumi, il consumismo, la fame di usa e getta, la velocità prepotente con cui tutto si è imposto, hanno portato ad un riverbero forse anche nell'arte.
L'arte ha perso molto di quei valori sociali, morali, che riusciva a mediare, sia che fossero religiosi, o di denuncia civile o morale. Ha perso la capacità di osservare la società e di diventarne interprete; di gettare in faccia a questa i propri orrori e gli sbagli, la propria deriva. Una parte dell'arte ha perso questa sua funzione, mentre un’altra parte, nel tempo è riuscita a portare trasformazioni socioeconomiche evidenti, anche nel quotidiano e per la massa, ha perso però l'unicità.
In nome di quel concetto economico, ha perso anche la capacità di emozionare, sia in senso negativo che positivo, forse proprio perché per la maggior parte delle volte, non trasporta valori e non trascende concetti.
L'artista ha il dovere di tornare a dare all'arte un valore, un senso compiuto, un suo posto all'interno della società e della moralità. Deve tornare a farsi interprete, anche scomodo della vita. L'arte e l'artista devono recuperare i loro ruoli, all'interno di questa società. Tornare ad osservarla e restituire come uno specchio la sua immagine, positiva o negativa che sia.
Plastic Food, di Pierluigi Monsignori, ha messo in evidenza questo amore-odio della società attuale con i polimeri. I polimeri da un lato hanno permesso la massificazione di prodotti e produzioni, ma hanno anche subito la massificazione: sono diventati di massa in una società di massa; sono diventati consumo, nella società dei consumi; sono diventati oggetti vuoti usa e getta, nella società dell'usa e getta.
La land art oggi riesce a portare stupore, anche grazie alle sue grandi dimensioni, allo spazio che occupa, come una città, come un essere che ha vita propria; utilizza lo spazio, senza consumarlo. Lo stupore non è dato dal bello, dal meraviglioso, dall'illusione ottica o dai colori, o dalla tecnica. Ma, lo stupore della land art sta nei suoi messaggi universali che riesce a trasmettere attraverso il linguaggio dell'arte difficilmente chiudibile nel concetto di arte privata, di museo personale. È una mensa comune, una condivisione di prospettive e di spazzi, ai quali tutti possono liberamente attingere, come entrare in una chiesa. Non è de-massificabile per principio e soprattutto, non è intercettabile, nel senso che non può essere comperata dalla massa, ma solo vista, osservata, non replicata. È espressione intima e personale dell'artista che riacquista il proprio ruolo ed esprime la visione della società, come in una dichiarazione.
La plastica, i polimeri, hanno invaso tutto nella nostra esistenza, non c'è quasi più niente senza loro, nemmeno qualcosa di umano. Quello che resta non è nemmeno l'intelligenza, diventata anche essa artificiale, ma restano come esuli la coscienza e i sentimenti. Questi ancora non si è riusciti a replicare, a rendere artificiali, forse è per questo che si tende ad annullarli, massificando usi e consumi. La società dei consumi e dei prodotti di massa, si rispecchia oggi, anche nell'arte. Siamo giunti a quel punto in cui è possibile comprendere i passi fatti nel passato, e il presente in cui siamo arrivati. Ci troviamo così di fronte ad un'arte di massa, che a poco a poco perde il suo valore sia sociale, che economico, ma non a livello di business. Troppo spesso il concetto economico prevarica quello formale e artistico.
Il nostro compito è fare emergere i problemi evidenziandoli, siano sociali, o ecologici, o legati alle migrazioni, ma che sappiano affondare mani e sentimenti, nel cuore dei prodotti della società di massa. Una disarmonia che si è creata dal dopoguerra ad oggi, e che continua a crescere, come prodotto della nostra indifferenza. Gli artisti hanno bisogno di guardare lontano, e attraverso le loro opere darci un senso diverso di vita rispetto a quella che stiamo vivendo.
Redimere l'arte, rimetterla al centro nella storia dell'uomo, ridarle la capacità di sintetizzare il momento attuale che stiamo vivendo; rendercelo distorto, rendercelo attraverso una parodia, ma con un senso profondo di verità. Interagire con più piazze possibili, da Nord a Sud d'Italia, nel mondo intero, non solo nei musei. Così l'arte diviene fruibile a tutti, non è chiusa in sé stessa, interagisce con i cittadini e i loro spazi, non passa inosservata; anche se basta a sé stessa, è destinata a tutti. Deve essere capace di dare voce alla molteplicità della società odierna, riflettere il suo stato, sia di entusiasmo che di decadenza, e in questo caso farci riflettere e portarci a dare delle risposte, cercare delle soluzioni. Un po’ come affermava Ernest Fisher. La società, ha una speranza, non può essere solo decadenza, ma anche speranza per il futuro.
L'arte va salvaguardata da quello che è un usa e getta indiscriminato, e riportare un equilibrio fondamentale al nostro momento storico, salvarci dall'orlo del precipizio, o del collasso, attraverso la coscienza del proprio io personale. È attraverso la presa di coscienza di sé stessa che l'arte ribadisce il concetto fondamentale di non essere morta: riprende il proprio posto di comunicazione, di riflessione, di insegnamento, di esempio, riuscendo così ad andare oltre all'immobilità dell'oggetto e diventare esempio di emozione e di valore alla società odierna, che è stata capace di creare dal nulla un continente di rifiuti che galleggia nell'oceano, e che vive di vita propria, con le sue leggi e la sua deriva. Come un prodotto di quell'arte usa e getta, in mano quotidianamente ai consumatori.
Osservando la società, oggi, l'arte si ribella a questo scempio dell'ambiente, cercando le vie della comunicazione. L’artista Potsy vuole trasmettere la durevolezza nel tempo delle emozioni, degli artisti e delle loro opere. Portare all'attenzione le emozioni, il significato più intimo che queste possono riverberare nell'animo delle persone; che lascino un segno, ci diano un senso, un significato sul quale riflettere, del quale parlare e discutere a lungo. Vogliamo dare spazio a questa arte che sia, autentica espressione dell'animo dell'artista, quella che si può vivere e che dia un significato alla società, quella che può allontanarci dall'usa e getta quotidiano, che sia in grado di allontanare l'arte dall'usa e getta nel quale è caduta.