Come è noto la civiltà nuragica non ha lasciato delle fonti scritte esplicite che contengano la descrizione degli avvenimenti, dei rapporti sociali interni ed esterni, intrattenuti dai membri di quella società, dell’organizzazione stessa della società nuragica (e a maggior ragione, ancor meno, di quella pre-nuragica).
Per questi motivi diviene assai arduo per chiunque ricostruire l’organizzazione sociopolitica dei gruppi e delle istituzioni all’interno della società nuragica.
Dobbiamo rilevare inoltre che la nostra cultura di apprendimento è alquanto grafocentrica e appare totalmente dipendente dalle fonti scritte per la ricostruzione della storia delle civiltà che ci hanno preceduto.
In altri termini i Sardi, per cercare di ricostruire la loro storia, sono costretti a ricorrere a delle fonti estranee ed esterne (per non dire ostili o, quantomeno, quasi mai imparziali). Tuttavia la scrittura non appare la sola fonte alla quale attingere per tentare di ricostruire la storia nuragica; oltre tutto non è neppure la più attendibile. Le fonti scritte, infatti, hanno un grado di attendibilità variabile verso il basso, anche in considerazione del fatto che esse hanno origine e provengono dai popoli che nei secoli e nei millenni hanno vinto le guerre. Gli storici, pertanto, talvolta anche senza volerlo, sono stati portati ad esaltare nei loro resoconti, i condottieri vincitori, a discapito degli sconfitti.
Ecco allora che nell’opera di ricostruzione della civiltà nuragica, assumono un significato fondamentale gli edifici in pietra di cui la civiltà nuragica ha lasciato ampia testimonianza: parliamo di settemila nuraghi ancora visibili, in tutto o in parte (pare che ve ne fossero all’origine oltre trentamila); parliamo altresì di una sessantina di pozzi sacri e di svariate centinaia di altri monumenti megalitici, come tombe dei giganti, domus de jana, menhir e tutto il resto delle costruzioni megalitiche rinvenibili in Sardegna.
Accanto agli edifici megalitici e nuragici, ci soccorrono nel nostro sforzo di ricostruzione della civiltà sarda, anche i numerosi reperti d’uso quotidiano che sono venuti alla luce a seguito delle diverse campagne di scavi succedutesi nel tempo: parlo principalmente dei bronzetti nuragici, del vasellame e dell’oggettistica di vario uso, quali asce, frecce, macine, lacrimatoi, mortai, pestelli, ecc.
Secondo un’antica leggenda greca in Sardegna esistevano degli edifici favolosi che vennero battezzati daidaleia, dal nome del leggendario architetto Dedalo. Secondo questa leggenda fu lui a concepire il famoso labirinto del re Minosse a Creta, prima di sbarcare in Sicilia e trasferirsi successivamente in Sardegna, accompagnato da un gruppo di coloni.
Se il mito di Dedalo e lo stesso grande architetto della Grecia antica è davvero giunto in Sardegna, ha sicuramente portato con sé, assieme alle sue capacità architettoniche, anche la leggenda del Minotauro, l’uomo toro, Aristeo, nato dalla sfrenata passione di Pasifae per il toro di Poseidone, il dio del mare e delle acque.
Non è un caso che le tombe dei giganti, in Sardegna, siano tutte a forma di protome taurina e che le navicelle votive ritratte nei celebri bronzetti, abbiano anch’esse una protome taurina a prua.
Le tombe dei giganti (tumbas de sos mannos in sardo), sono riutilizzate come cimiteri collettivi in età nuragica, tra il Bronzo Antico e il Bronzo Finale (1800-1100 a.C.) e sono presenti in tutto il territorio sardo.
I membri della tribù, del clan o del villaggio, venivano a rendere omaggio ai morti della comunità, senza distinzione di rango, senza particolari privilegi e senza apportare offerte di valore. Col tempo sono state utilizzate come ossari nei quali depositare le spoglie dei defunti, una volta che queste erano divenute degli scheletri.
Molto probabilmente venivano scarnificate prima della sepoltura (sono state rinvenute tracce di questa pratica sulle ossa), e venivano seppellite quando raggiungevano un numero consistente. I culti legati alle tombe di giganti sono da collegarsi sia al dio Toro e sia alla Dea Madre e, secondo alcune ipotesi, la forma della costruzione si richiama sia a una testa bovina, sia ad una partoriente (la morte era infatti legata alla nascita, secondo il principio della rinascita).
Altri monumenti di grande importanza e bellezza erano i pozzi nuragici e le fonti sacre.
La presenza dei pozzi sacri testimonia che gli antichi Sardi avevano il culto delle acque sotterranee.
La loro presenza in tutto il territorio isolano testimonia la forte religiosità che albergava negli animi dei Sardi sin dall’antichità.
Dal numero dei bronzetti ritrovati si può e si deve desumere che questi luoghi di culto fossero gestiti dai sacerdoti, coadiuvati dalle sacerdotesse.
Non è da escludere inoltre che i sacerdoti fossero gli stessi architetti che concepivano con precisione la costruzione di questi monumenti, che avevano una funzione eterogenea: fungevano infatti da luoghi di culto, da luoghi di cura, grazie alle proprietà curative delle acque; ma anche da osservatori astronomici.
Gli stessi sacerdoti poi li gestivano, facendosi interpreti, non solo delle capacità curative delle loro magiche acque, ma anche dei cicli astronomici collegati alle attività agropastorali, fatte di periodi di semina, di raccolto, di fecondazione e di nascite.
Insomma, i sacerdoti erano degli sciamani capaci perfino di entrare in contatto con il mondo dell’al di là grazie alle conoscenze di erbe, funghi e sostanze psicotrope che essi somministravano alle sacerdotesse nel rito della Cumbissia, capace di mandarle in trance e di riportarle alla realtà, dopo avere appreso i segreti delle vicende future proprio dagli dei delle acque.
In ogni caso, al di là dei dubbi e delle possibili polemiche, possiamo sostenere che i sacerdoti dovessero avere un ruolo centrale nella vita della società nuragica, fungendo persino da architetti e da depositari della conoscenza e della cultura della società.
Essi erano delle figure di riferimento, che gestivano il potere affiancando i capi tribù nella conduzione degli affari più importanti, presenziando allo svolgimento delle udienze per dirimere le controversie e alle decisioni politiche da prendere in seno al Gran Consiglio degli Anziani.
Purtroppo, come abbiamo già sottolineato, non abbiamo fonti scritte che ci possano delucidare meglio sul ruolo svolto da questi importanti personaggi nella società nuragica.
Tuttavia, anche qui, ci baseremo sulle tradizioni e sull’osservazione e l’analisi dei reperti archeologici di diversa provenienza.
È fin troppo facile, e lo diamo quindi per certo, che esistessero dei sacerdoti e delle sacerdotesse. Questo ce lo dicono a chiare forme i bronzetti rinvenuti nei diversi siti archeologici; questi bronzetti sono in parte esposti al museo archeologico nazionale di Cagliari e, in altra parte, in altri musei e collezioni.
Ma chi erano e cosa facevano all’interno della società nuragica questi personaggi?
Prima di rispondere è opportuno stigmatizzare, oltre al ritrovamento dei bronzetti, il rilievo che assumono nella civiltà nuragica questi monumenti architettonici: i pozzi sacri (e, anche se meno eleganti nella struttura architettonica, le fonti sacre).
Ne esistevano centinaia, forse perfino migliaia, diffusi in tutto il territorio isolano, anche se attualmente se ne contano (quantomeno di quelli meglio conservati e più importanti) soltanto una sessantina (comprese le fonti sacre censite), per lo più concentrati nella parte centromeridionale dell’isola.
Nei pressi di questi templi a pozzo di natura sacra, in genere dentro a dei vestiboli a forma di pozzetto, sono stati rinvenuti dei materiali dove si raccoglievano le offerte (stoviglie, vasellame, cristalli di rocca, pasta vitrea, ambra e altri contenitori per l’offerta di cibo e le armi in bronzo: spade, pugnali, puntali di lancia, punte di freccia, oltre a una varia utensileria fatta di accette, piccozze, bipenni, scalpelli, falci e seghe).
Tutto l’apparato monumentale architettonico, fatto di pozzi sacri, vasellame, bronzetti e offerte votive, dimostra la grande attività religiosa delle genti nuragiche.
Questa attività doveva necessariamente prevedere delle figure di coordinamento, dei responsabili, per così dire, che regolassero gli accessi ai pozzi sacri, le cerimonie, la manutenzione e la gestione delle acque e dei pozzi.
Ecco che assurgono nella loro fondamentale statura i grandi sacerdoti e le sacerdotesse della civiltà nuragica, che i bronzetti ci hanno restituito nella loro maestosa e regale ieraticità e che i monumenti archeologici fanno immaginare figure istituzionali di vitale importanza.
Secondo alcuni studiosi di archeoastronomia i pozzi sacri (e per molti gli stessi nuraghi), avrebbero potuto essere osservatori lunari e solari. In particolare il pozzo sacro di Santa Cristina, secondo Lebeuf, sarebbe stato un osservatorio astronomico «tra i più perfetti dell'antichità»: la luna, infatti, si riflette ogni diciotto anni circa sull'acqua nel fondo del pozzo, attraverso l'oculus (foro sommitale) della tholos, in occasione della sua declinazione massima nel suo ciclo mensile. Tutto ciò sarebbe la prova della profonda conoscenza astronomica dei popoli nuragici.
Anche le osservazioni del Sole fanno parte di possibili culti nuragici, in particolare attraverso la scalinata di accesso al pozzo come evidenzia Juvanec per il pozzo di Santa Anastasia di Sardara.
La ricerca dei miti si interseca con la perfezione riscontrata in certi edifici sacri, quali erano sicuramente il pozzo di Santa Cristina, di Santa Vittoria a Serri e di Sant’Anastasia a Sardara.
È importante qui osservare che anche nel medio oriente (da dove, secondo accreditate teorie sarebbe venuta la seconda ondata migratoria che ha popolato la Sardegna nell’antichità), si rinvengono dei pozzi sacri che mostrano identità di struttura con quelli sardi: così come quello di Garlo in Bulgaria, quello sito nella antica capitale ittita Ḫattuša, presso l'attuale cittadina di Boğazkale in Turchia, e infine quello in Crimea che sorge nella zona archeologica dell'antica città di Panticapeo, presso l'attuale città di Kerč'. Questo ha fatto dire all’archeologa bulgara Dimitrina Mitova-Dzonova di sentirsi una bulgara con il cuore sardo; e a me, quando ho visitato il pozzo di Garlo, in Bulgaria, mi ha fatto pensare, mentre ne visitavo l’interno, di essere anche un poco bulgaro. Questi pozzi hanno tutti un grande fascino e presentano una perfezione architettonica e uno stile che li contraddistingue e li caratterizza.
Anche i settemila nuraghi sono avvolti nel mistero. Anche se qualcuno preferisce dire che essi non hanno niente di arcano, pur tuttavia resta il fatto che gli studiosi ancora non si sono messi d’accordo sulle funzioni che svolgevano questi monumenti caratteristici della Sardegna. Il professor Giovanni Lilliu, il Sardus Pater, scopritore del sito nuragico de su Nuraxi di Barumini sosteneva che fossero delle fortezze adibite alla difesa del territorio.
Le sue teorie, secondo i più recenti studi, sarebbero superate.
Non mancano studiosi di archeoastronomia che hanno dimostrato come alcuni nuraghi fossero sicuramente degli osservatori astronomici, o quantomeno, svolgessero una funzione di osservazione del sole e della luna, in occasione dei ricorrenti fenomeni astronomici dei solstizi e dei lunistizi. Ma l’intesa tra gli studiosi non è stata raggiunta.
Quel che appare certo e inconfutabile è però che questi monumenti sono in piedi da migliaia d’anni e sfidano le intemperie, fieri e orgogliosi come gli abitanti dell’isola che, finalmente, stanno incominciando a capire la grandezza dei loro progenitori.
E aumenta l’interesse a preservarli, oltre che a capire meglio come siano stati costruiti e perché. E io sono anche curioso di sapere in base a quali calcoli e con quali tecniche costruttive questi giganti di pietra, sfruttando la forza aggettante dei singoli massi, senza l’uso di malta o cemento, abbiano retto nel corso dei millenni a ogni sorta di offesa, umana e sovrumana, e siano ancora lì, a testimoniare l’ingegnosità e la grandezza dei nostri antenati. E quando si scoprirà il segreto della costruzione di questi edifici, anche molti Sardi dovranno ricredersi sulle proprie origini.