Le mutilazioni genitali femminili (MGF) e in particolare l’infibulazione sono azioni cruente che ancora oggi in diversi Paesi vengono collocate tra le tradizioni che segnano il passaggio dall’infanzia all’età adulta; un rito attraverso il quale si diventa “donna”. Come riportato dal Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA) e ripreso anche dal rapporto dell’UNICEF del 06 febbraio 2023, quest'anno 4,3 milioni di ragazze sono a rischio di Mutilazioni Genitali Femminili. Un fenomeno in continua crescita che si prevede raggiungerà i 4,6 milioni entro il 2030.
Sull’infibulazione
La mutilazione genitale femminile si riferisce a pratiche di origine tribali che comportano la rimozione parziale o totale dei genitali esterni femminili o altri tipi di lesioni ai genitali femminili per motivi non medici. Di solito vengono eseguite da un circoncisore che opera secondo tradizione con una lama e senza uso di anestetico. Nell’ultima classifica dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) le citate mutilazioni sono state suddivise in 4 tipi:
- asportazione del prepuzio, con o senza l’asportazione di parte o di tutto il clitoride;
- asportazione del clitoride con asportazione parziale o totale delle piccole labbra;
- asportazione di parte o di tutti i genitali esterni e restringimento del canale vaginale (infibulazione);
- interventi di varia natura dannosi per i genitali femminili per scopi non medici (taglio, foratura, incisioni, cauterizzazione con bruciature).
Nel presente articolo, per brevità, verrà trattata solo l’infibulazione che dei quattro interventi sopra citati è sicuramente quello più devastante e rappresenta circa il 30% delle mutilazioni genitali femminili. Si tratta dunque di un’antica ben nota e cruenta operazione particolarmente brutale e invasiva con la quale vengono asportati il clitoride (escissione), le piccole labbra e parte delle grandi labbra vaginali (con cauterizzazione). Successivamente avviene la cucitura della vulva, lasciando aperto soltanto un foro per consentire la fuoriuscita dell’urina e del sangue mestruale. Terrificante è anche il modo di cucitura delle grandi labbra nei luoghi dove invece dell’ago si utilizzano le spine dell’acacia orientale che sono lunghe e resistenti. Durante la cucitura si utilizzano creme a base di latte ed erbe varie. Per evitare che si crei un’otturazione totale, durante la convalescenza può essere inserito un divaricatore in legno, così da mantenere un foro molto piccolo per evidenziare anche il buon esito dell’operazione. Si tratta di un’operazione odiosa, brutale e invasiva che incide pesantemente sul corpo e sulla psiche della donna annullando la sua dignità. Perfettamente appropriato il termine “infibulazione” che deriva dal latino "fibula" (spilla) per indicare la "chiusura" del lume vaginale; il termine deriva dall’osso della gamba detto perone o fibula. Questo perchè i primi accessori usati per tenere insieme lembi di tessuto e pelli animali erano grosse spine di piante (che fungevano anche da spille) e schegge di selce o di osso acuminate, in particolare ossa di animali di piccola taglia che ben si prestavano a tale utilizzo.
Scrivere su tali usanze barbare e cruente turba già chi le descrive, ma la citazione di alcuni particolari si rende indispensabile per tentare di fare comprendere meglio come questa operazione sia dolorosa e possa offendere anche la dignità delle donne. Sembra il ritorno ad un passato che purtroppo è ancora tristemente presente. L’infibulazione è praticata prevalentemente alle bambine, con età che, in funzione della tradizione e della cultura della comunità in cui viene operata, varia da pochi anni all’adolescenza. È comunque indispensabile che, per le motivazioni di seguito descritte, venga effettuata prima del matrimonio.
L’infibulazione è considerata anche dall’OMS una violazione dei diritti umani nel significato più ampio del termine, come una forma estrema di discriminazione di genere con conseguenze devastanti per la donna. Infatti, viola il diritto alla salute sessuale e riproduttiva, alla sicurezza, all’integrità fisica, ad essere le donne libere da ogni forma di tortura o di crudeltà, a potere ogni donna disporre del proprio corpo impedendo tutte le forme di violenza fisica e psicologica. La violenza fisica lascia spesso danni visibili sul corpo che talvolta sono meno gravi dei danni, apparentemente invisibili, lasciati dalla violenza psichica. Bambine e giovani donne che sono costrette ad essere mutilate delle loro parti più sacre. Mutilate senza alcuna anestesia, quasi come si procede in un macello, con l’uso di lamette e col supporto di bacinelle con acqua e sale. Donne che, oltre ad avere perso completamente la loro dignità di donne, sono costrette per sempre alla sottomissione.
Per quale motivo si fa l’infibulazione?
L'infibulazione ha lo scopo di ridurre il rischio che una donna possa avere rapporti sessuali prima del matrimonio, conservando così la sua verginità e l’impossibilità a procreare. A garanzia di ciò sono i "tagli" e le "chiusure" che rappresentano, nello stesso tempo, un elemento prematrimoniale per l'onore della famiglia. Tradizionalmente, le donne infibulate vengono poi incise o “aperte” dallo sposo, prima della consumazione del matrimonio. In alcuni casi vige anche la credenza che questo rito apporta benefici igienici ed estetici e promuova la fertilità delle ragazze.
La mutilazione viene praticata per una serie di motivazioni che possono essere legate al sesso per soggiogare o ridurre la sessualità delle donne, ma anche per motivazioni sociologiche per iniziare le ragazze all’età adulta. Una donna non infibulata non è ritenuta pura e non può trovare marito. Ed è questo uno dei principali motivi per cui sono quasi sempre gli stessi genitori che incoraggiano le figlie a sottomettersi all’infibulazione. Vengono così maggiormente garantiti un buon matrimonio e l'accettazione sociale, soprattutto da parte delle donne anziane che hanno ancora un peso decisionale forte in molte società tribali. Ovviamente i maggiori pretendenti del mantenimento di questo crudele rito sono gli uomini per assicurarsi il loro totale controllo sul corpo delle donne.
Cosa succede dopo l’infibulazione?
Subito dopo l'infibulazione si può subire un forte shock causato dal dolore (l'amputazione viene praticata senza anestesia) e dalla perdita di sangue. L'emorragia è infatti molto comune, poiché l'amputazione della clitoride e delle labbra può provocare danni alle arterie e alle vene e in particolare all’arteria dorsale della clitoride. Un altro grave pericolo è dovuto all’infezione che può essere provocata per le scarse condizioni igieniche durante l’operazione, dovute anche all'uso di strumenti non sterili, con potenziale formazione di tetano e trasmissione di virus letali e al fatto che, soprattutto nelle bambine che sono tenute legate, si può avere minzione e defecazione sulle ferite. Le scarse condizioni igieniche durante l’intervento e talvolta la poca illuminazione possono anche provocare delle lesioni ai tessuti adiacenti.
Ci sono poi le potenziali conseguenze a lungo termine, quali la sterilità per i danni che possono essere causati dalle infezioni pelviche croniche riscontrate in molte donne infibulate, dalle fistole per perforazioni tra la vagina e la vescica o tra la vagina e il retto a causa della mutilazione, da disfunzioni sessuali con manifestazioni di dolori durante i rapporti sessuali (dispareunia), da problemi durante le mestruazioni per la parziale occlusione dell'orifizio vaginale, da problemi durante la gravidanza e il parto per la cattiva dilatazione del canale del parto a causa del tessuto cicatrizzato e la conseguenziale difficile espulsione con potenziali danni al neonato, ecc. Sono poi altrettanto gravi i problemi psichici e sessuali della donna quali: disturbi del comportamento, malattie psicosomatiche, ansia, depressione, incubi, psicosi; frigidità, ecc. In definitiva, l’infibulazione può compromettere fin da subito la vita della bambina, ma se il danno non si manifesta subito, potrà manifestarsi successivamente con probabili rischi che minacceranno la donna durante tutta la sua vita.
Islam e infibulazione
Sfatiamo innanzitutto il fatto che si tratta di pratiche rituali legate all’Islam, poiché la loro origine, a seguito di tracce riscontrate in diversi paesi, si fa risalire a migliaia di anni prima della nascita dell’Islam. In Africa tale pratica è stata anche riscontrata in appartenenti a diverse religioni: tra i falascia (ebrei etiopi trasferiti quasi tutti in Israele), tra i cristiani coopti in Egitto e in Sudan, ecc., e non risulta che l’abbiano realmente combattuta, ma di fatto legittimata, difesa e giustificata. Una pratica antichissima, come risulta da ritrovamenti archeologici in Egitto che ne hanno evidenziato l’esistenza in mummie di donne di oltre quattromila anni fa che risultavano infibulate. Dunque non a caso all’infibulazione completa, di massimo livello, è stato dato l’appellativo di “infibulazione faraonica”. In definitiva, tali cruente tradizioni non sono legate all’Islam, né attraverso il Corano, dove non è prevista alcuna forma di mutilazione similare, né attraverso specifici Hadith1 , ma si tratta di tradizioni legate a culture tribali esistenti prima dell’Islam e del cristianesimo. Anche perché si tratta di una pratica che andrebbe contro la purificazione rituale prevista nell’Islam e in altre religioni, per l’eccessiva difficoltà a rimuovere le impurità residuali nella vagina che, di fatto, vanificherebbero l’atto stesso della purificazione.
La diffusione nei paesi africani
La mutilazione genitale femminile viene praticata principalmente in circa 30 paesi dell’Africa e del Medio Oriente, in alcuni paesi dell’Asia e dell’America Latina e tra comunità provenienti da queste regioni e oggi sparse in diverse parti del mondo. L’Africa detiene il primato per tali mutilazioni e la relativa percentuale di mutilazioni genitali femminili per i diversi Paesi è riportata nell’articolo Eliminare Mutilazioni genitali femminili, una dichiarazione inter-agenzie tra OHCHR, UNAIDS, UNDP, UNECA, UNESCO, UNFPA, UNHCR, UNICEF, UNIFEM, WHO, pubblicata da World Health Organization (WHE) nel 2008. Nell’Allegato 3 della citata pubblicazione, intitolato “Paesi in cui sono state documentate mutilazioni genitali femminili”, si riscontra che il triste primato per le MGF, su donne dai 15 ai 49 anni, è della Somalia col 97,0%, seguito da Egitto col 95,8%, dalla Guinea col 95,6%, Sierra Leone col 94,0%, ecc.
I paesi africani dove tale fenomeno è stato vietato
I ripetuti interventi di sensibilizzazione della Comunità internazionale, per intraprendere azioni e iniziative di prevenzione e contrasto contro le MGF, hanno fatto ridurre sensibilmente il fenomeno e in alcuni paesi hanno determinato la proibizione per legge di tale pratica. Nell’articolo Status delle legislazioni africane sulle MGF, pubblicato sul sito di Non c’è pace senza giustizia, è riportata in maniera dettagliata la situazione legislativa per i diversi Paesi. Di seguito sono stati brevemente riassunti i dati, suddividendoli in due gruppi.
Nel primo sono indicati i Paesi nei quali o esiste una specifica legge o è possibile adottare provvedimenti facendo ricorso alle disposizioni vigenti sulle “lesioni personali gravi”. Per ognuno di detti Paesi è riportata la data di emanazione della legge o delle disposizioni in vigore: Benin (2003), Burkina Faso (1996), Camerun, Repubblica Centrafricana (1996), Ciad (2002), Costa d'Avorio (1998), Repubblica democratica del Congo, Gibuti (1995), Egitto (1996), Guinea (2006), Guinea Bissau (nessuna legge, ma potrebbero essere applicabili disposizioni penali, Kenya (2001), Mali (2002), Mauritania (2005), Niger (2003), Senegal (1999), Tanzania (1998), Togo (2016).
Nel secondo sono indicati i Paesi in cui non risulta emanata alcuna legge: Eritrea, Etiopia, Gambia, Liberia, Nigeria, Sierra Leone, Somalia, Sudan.
Principali azioni internazionali di condanna delle MGF
Le mutilazioni genitali femminili rientrano nell’ambito delle più ampie persecuzioni legate al genere, come lo stupro, i matrimoni forzati, la violenza legata a questioni di onore, la violenza domestica, ecc. Di ciò ha già tenuto conto l'UNHCR (Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati) che ha inserito le MGF nella lista delle azioni che possono essere utilizzate per definire un atto di persecuzione e che, dunque, possono giustificare la richiesta di asilo. A tale scopo nelle “Linee Guida sulla Protezione Internazionale n. 1” dell’UNHCR del 20022 è espressamente scritto «Non vi è dubbio che lo stupro e altre forme di violenza di genere, come le violenze legate alla dote, la mutilazione genitale femminile, la violenza domestica e la tratta, sono azioni che infliggono grave dolore e sofferenza - sia mentale che fisica - e che sono state utilizzate come forme di persecuzione, sia da parte di Stati che di attori privati».
Il Parlamento Europeo, con la Risoluzione del 26 novembre 2009 sull'eliminazione della violenza contro le donne, al punto 26 ha invitato gli Stati membri ad adottare misure adeguate per far cessare le mutilazioni genitali femminili. Successivamente, con le risoluzioni del 5 aprile 2011 e del 25 ottobre 2012, ha proposto una strategia di lotta alla violenza contro le donne. Non si deve trascurare che in Europa, nel 2020, è stato stimato che circa 600 mila donne che vivono in Europa siano state vittime di questa pratica. Sono stati inoltre attivati diversi progetti europei, come “CHAT Plus”, per prevenire e combattere tutte le forme di mutilazione genitale femminile in Europa. In Italia è stata emanata la Legge 9 gennaio 2006, n. 7 per prevenire, contrastare e reprimere le pratiche delle MGF, prevedendo la reclusione da 4 a 12 anni, pena aumentata di 1/3 se la mutilazione viene compiuta su una minorenne e in tutti i casi in cui viene eseguita per fini di lucro. L’art. 6, comma 1, della citata legge ha fatto aggiungere al codice penale l’art.583 bis “Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili”.
Rito alternativo
Purtroppo, anche se la pratica della mutilazione genitale femminile è vietata per legge in molti paesi esiste una minoranza di medici che la effettuano clandestinamente. Ci sono state diverse proposte di effettuare un rito alternativo che possa mantenere “simbolicamente” la tradizione, ma senza compromettere l’integrità fisica e psichica della donna. Nessuna proposta è stata però definitivamente accettata da tutti. Nel presente articolo farò riferimento ad una pratica alternativa suggerita dal Dr. Omar Hussen Abdulcadir3, coadiuvato dalla moglie Dr.ssa Lucrezia Catania4, entrambi ginecologi, con la collaborazione di altri loro colleghi. Ho conosciuto Omar e Lucrezia in occasione di due conferenze nel 1999 e nel 2004 organizzate dall’associazione “AISI Sicilia – Mediterraneo per la Pace”. Già da allora i coniugi Abdulcadir manifestavano il loro grande interesse professionale e grande senso umanitario prestando le loro cure e la loro assistenza alle ragazze che avevano subito tali violenze.
Con tale rito, per non provocare sofferenza nelle bambine, si prevedeva di effettuare una puntura sul clitoride per fare fuoriuscire una goccia di sangue. I medici che seguirono tale iniziativa si posero subito il problema se era meglio adottare questo rito simbolico, che sembra venisse richiesto da molte madri africane, oppure continuare a lottare soltanto per l’estinzione totale dell’infibulazione e nel frattempo lasciare perpetrare questa insana violenza sulle donne.
La proposta di questo rito simbolico alternativo prevedeva che venisse effettuato sol quando si rendeva inapplicabile ogni tentativo di convincimento ad abbandonare totalmente quello tradizionale, cioè quando si aveva di fronte donne che, per motivi vari e non certamente religiosi, si rendevano irriducibili. D’altra parte, il rito simbolico era impensabile che potesse annullare tale cruenta tradizione senza l’accettazione dell’uomo che, di fatto, era l’altro importante attore di tale sacrificio. Dunque l’obiettivo di Abdulcadir era quello, nel caso di assoluta impossibilità alla rinuncia del rito tradizionale e nelle more che tale antica tradizione venisse annullata, di mantenere integro il rituale preparatorio e la festa del matrimonio evitando però le inutili sofferenze e i gravi rischi alla donna. Era ben evidente che il successo della rinuncia al rito originario dipendeva dal reale coinvolgimento della società nella sua completezza, poiché venivano interessati l’aspetto religioso, scolastico, e familiare, un coinvolgimento indispensabile per fare crescere una nuova cultura e sfatare alcune credenze che hanno contribuito certamente al mantenimento dell’antica tradizione.
A tal proposito desidero riportare un aneddoto che mi ha narrato il Dr. Abdulcadir, tra i tanti vissuti durante la sua intensa vita professionale. «Una mattina venne da me per una visita una donna di 28 anni, con dolori pelvici, ma non era possibile fare una visita ginecologica in quanto era infibulata. Dopo aver fatto un’ecografia pelvica, avendo riscontrato un endometrio5 molto disomogeneo e ispessito, ho consigliato alla paziente una isteroscopia da fare dopo la deinfibulazione. La paziente ha rifiutato categoricamente tale intervento, in quanto ha detto che se veniva deinfibulata nessuno l'avrebbe sposata, mentre lei desiderava arrivare vergine al suo matrimonio. Ho dovuto riunire la comunità in quanto la paziente poteva avere una patologia maligna. Dopo avere spiegato che l’infibulazione non garantiva la verginità, poiché l'imene era sotto la cicatrice, ha accettato. Eseguita la deinfibulazione e isteroscopia è stata fortunatamente riscontrata una patologia non maligna e la paziente è stata curata e guarita. Questo semplice aneddoto ci evidenzia che ancora in alcune comunità c'è la falsa credenza che infibulazione è uguale a verginità ed è il motivo per cui gli uomini pretendono una donna “chiusa”». Omar aggiunge al suo racconto che «fortunatamente, grazie alle azioni congiunte di associazioni e governi la cultura delle nuove generazioni su questa orribile pratica sta cambiando».
Un altro interessante racconto è riportato nel libro scritto dai due medici Abdulcadir e Catania dal titolo Ferite per sempre. Le mutilazioni genitali femminili e la proposta del rito simbolico alternativo6. È la storia di una ragazza di 5 anni e della sorella di 7 anni che chiedono con insistenza al padre, medico, di essere infibulate, perché le loro amiche, che hanno già avuto la “gudnin” 7, si danno tante arie e non le vogliono nei loro giochi; non le accettano. Il padre dopo i ripetuti pianti e insistenze delle figlie finalmente comunica loro che saranno infibulate da un esperto di Mogadiscio e le rassicura che verrà utilizzato un anestetico così potente che non sentiranno alcun dolore. In verità il padre, nettamente contrario all’infibulazione, fece predisporre quanto necessario per la festa rituale da tenere in quelle occasioni e fece eseguire un finto intervento, con una messinscena perfetta, con tutti gli strumenti pronti per l’operazione, che sono stati visti anche dalle ragazze per rassicurarle che l’intervento veniva fatto realmente. La messinscena continuò anche durante l’operazione, provocando un leggera fuoriuscita di sangue, ma con meraviglia delle ragazze tutto avvenne senza dolore.
La scoperta dell’inganno avvenne quando una delle ragazze, a quattordici anni, litigando con una coetanea concordarono di confrontarsi per sapere chi delle due avesse avuto la migliore infibulazione, con riferimento alla minore apertura lasciata dall’infibulatore.
Grande fu la sorpresa e la vergogna quando la ragazza scoprì che non era stata “chiusa”. Fu umiliata e derisa, ma tutto svanì quando andando dal padre seppe delle grandi sofferenze patite dalla madre a seguito dell’infibulazione e della promessa che il padre aveva fatto di non fare vivere alle figlie le stesse torture. La ragazza poi si laureò e grande fu la sua meraviglia quando chiese alla madre di mostrarle i segni della sua infibulazione, perché fino ad allora non li aveva mai visti.
Grandi successi ottenuti per l’abolizione delle Mutilazioni Genitali Femminili
Per sperare concretamente nel cambiamento di questo insano costume occorre che si mettano assieme oltre alle donne, giovani e uomini di tutte le età e occorre investire in corsi di formazione che coinvolgano tutta la società dei paesi dove tale pratica è in uso. Questi adempimenti occorre metterli in atto al più presto, poiché, come scritto da note dell’UNICEF e dell'UNFPA (Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione), questa cruenta pratica sta interessando fasce di età sempre minori.
Una particolare lode va all’iniziativa che sta conducendo AMREF (African Medical and Research Foundation), assieme ad altre Organizzazioni non governative alla stessa collegate, promuovendo il superamento della pratica delle MGF con la "circoncisione attraverso le parole". Un rito alternativo che prevede l’indottrinamento delle ragazze attraverso nozioni di anatomia, igiene, salute riproduttiva e sessuale che si completa nell'ultimo giorno, quando si celebra il passaggio delle donne alla maggiore età, con una cerimonia che si svolge con una festa collettiva con musica e danze che coinvolge tutta la comunità come si è uso fare per l’infibulazione. Amref Health Africa si è positivamente distinta nella proposizione e diffusione di questo rito alternativo, lavorando con i governi e i ministeri competenti per sensibilizzare le comunità a cambiamenti comportamentali delle loro antiche usanze e ottenendo un grande successo con alcune comunità Masai. Tale attività è stata svolta coinvolgendo tutta la comunità, sono stati effettuati riti di passaggio all’età adulta con celebrazioni culturali innocue eliminando totalmente le mutilazioni genitali femminili. Questo è forse uno dei primi casi di una vera svolta storica per tutto il popolo Masai e non per le solo donne, poiché i capi clan sono quelli che hanno detto no alle mutilazioni genitali femminili e con loro hanno assentito le donne anziane.
Considerazioni finali
Quando è impossibile, in tempi ragionevoli, sradicare in alcune culture quest’antica e orrenda tradizione così come è stato fatto per alcune popolazioni Masai, poiché normalmente i tempi per l’attuazione di tale processo sono lunghi e imprevedibili, allora si potrebbe rendere utile, come extrema ratio, adottare un rito simbolico come quello proposto dal Dr. Abdulcadir, rappresentando un’alternativa temporanea utile a ridurre il numero delle ben note violente soluzioni dolorose e mutilanti. È vero che tale rito simbolico non rappresenta un’azione di piena libertà della donna nell’uso del proprio corpo, ma evidenzia comunque l’accettazione da parte dell’uomo che la donna non è più vincolata a dimostrare aspetti della sua sessualità prima del matrimonio e potrebbe anche rappresentare il primo passo perchè la donna possa successivamente e presto raggiungere la sua piena libertà prematrimoniale.
Quanto sopra è stato espressamente scritto nel parere del 9 marzo 2004 della Commissione Etica della Regione Toscana, in relazione al rito simbolico proposto dal Dr. Abdulcadir: «La Commissione regionale di Bioetica ritiene, pertanto, che la proposta di tale procedura possa trovare accoglienza in ambito sanitario, solamente quale eventuale risposta da offrire a quei genitori che richiedono di poter effettuare sulle figlie minorenni, senza rischi per la loro salute, un rito simbolico sostitutivo all’infibulazione, in quanto atto compatibile con la legislazione italiana e con la deontologia degli operatori sanitari, purché essa, proprio per il suo carattere di ritualità, non venga inclusa nell’elenco delle prestazioni sanitarie che il servizio pubblico ha l’obbligo di erogare. Tale procedura, comunque, deve essere intesa come parte integrante di un percorso volto al completo superamento di ogni forma di mutilazione e manipolazione dei genitali femminili».
Nelle more che i grandi successi già ottenuti da diverse associazioni internazionali possano portare alla totale abolizione delle MGF, la proposta di Abdulcadir ha comunque rotto quel muro di silenzio che sembrava coprire queste tragiche e continue mutilazioni, rappresentando un vero rito simbolico e un primo passo per il raggiungimento dell’indispensabile e improcrastinabile totale eliminazione di questi riti cruenti e disumani.
Io credo che ancora oggi, questi riti tribali violenti siano poco attenzionati dalla maggioranza delle popolazioni del mondo e, soprattutto, siano poco note le vere modalità esecutive e soprattutto le foto dell’intervento, la cui diffusione è fatta soprattutto da riviste di medicina. Molte foto sono comunque largamente diffuse su internet e vederle e leggerne i commenti suscita emozione e rabbia. A mio avviso è necessario che la loro diffusione venga fatta, senza alcun limite di censura e a tutti i livelli, con la partecipazione delle istituzioni pubbliche e delle associazioni e organizzazioni di solidarietà e assistenza sociale, a partire delle scuole elementari, perché anche i ragazzi conoscano e prendano coscienza di ciò che accade ai loro coetanei e, in alcuni casi, a qualche loro compagna di scuola.
In considerazione della larga diffusione anche in Europa di aderenti a tali tradizioni, ove possibile, ognuno di noi ha il dovere di conoscere e diffondere i significati profondi che contribuiscono al mantenimento di questa usanza disumana. Ai padri, non ancora sufficientemente sensibilizzati contro questo triste fenomeno, chiederei come reagirebbero se le loro figlie dovessero essere sottoposte a tale tortura.
Note
1 Sono piccoli racconti della “tradizione musulmana”.
2 Linee Guida sulla Protezione Internazionale n. 1- La persecuzione di genere nel contesto dell’articolo 1A(2) della Convenzione del 1951 e/o del Protocollo del 1967 relativi allo status dei rifugiati 7 maggio 2002.
3 Abdulcadir Omar Hussen, ginecologo, nato a Mogadiscio (Somalia) nel 1947, dove ha iniziato i suoi studi presso una scuola italiana dedicata a Leonardo da Vinci gestita dai preti. Dopo avere conseguito il diploma di liceo scientifico ha proseguito gli studi in Italia, dove si è laureato in medicina e specializzato in ginecologia. Ha lavorato presso l’ospedale Careggi in Toscana dove è stato direttore del Centro di Riferimento Regionale per la Prevenzione e la Cura di Complicanze MGF. È stato Coordinatore sociosanitario immigrati presso il Ministero della Salute e rappresentante per l’Italia della Municipalità di Mogadiscio. Attualmente è Presidente dell’associazione nazionale dei medici e sanitari africani in Italia (AMSAI) di recente costituzione.
4 Lucrezia Catania, ginecologa, nata a Vibo Valentia (Italia) nel 1952. Si è laureata in medicina e chirurgia e si è specializzata in ginecologia presso lo stesso ospedale Careggi, collaborando con il Centro di riferimento per la prevenzione e la cura delle complicanze delle MGF. Esperta internazionale, autrice di molte ricerche è membro del tavolo di lavoro regionale per le MGF della Regione Toscana, istituito dalla commissione regionale per la medicina di genere.
5 È il tessuto che ricopre internamente l’utero e si addensa durante il ciclo mestruale per permettere all'embrione di impiantarsi in modo che possa avvenire una gravidanza.
6 Lucrezia Catania e Abdulcadir Omar Hussen, Ferite per sempre. Le mutilazioni genitali femminili e la proposta del rito simbolico alternativo, Roma, Derive Approdi editore, 2005.
7 Come viene anche denominata l’infibulazione in Somalia.