Corre voce che i musicisti, in generale, siano di poche parole. Perché la musica, per loro, è di gran lunga più espressiva di ciò che possono esprimere parlando. Ecco, alla conferenza stampa di presentazione della mostra di pittura del cinofrancese Yan Pei-Ming, intitolata Pittore di storie, la sensazione era che le sue risposte minimaliste alle domande del pubblico fossero dovute ad un motivo simile, nel senso che l’artista ha la pittura come suo mezzo di comunicazione preferenziale.
E infatti i suoi quadri lanciano messaggi molto forti. I motivi sono molteplici. In primis, la dimensione dei quadri stessi. Per dare un’idea, personaggi come Mao e Bruce Lee occupano in parete uno spazio di più di 12 metri quadrati ciascuno. Un richiamo allo schermo cinematografico, nel caso di Bruce Lee. Mao è invece molto importante nella sua vita, perché Yan Pei è nato e cresciuto durante il maoismo. Altre caratteristiche potenti vengono dai soggetti scelti e dall’ originalità della sua tecnica, un misto di Oriente e Occidente.
Sono orientali i pennelli che usa, che gli permettono di far colare il colore in righe sottili e di movimentare gli sfondi dei quadri con pennellate descrittive di forme, che inducono nello spettatore la stessa pareidolia con cui vede volti, animali, paesaggi ed oggetti nelle nuvole del cielo. È dell’Occidente la tecnica olio su tela, anche se l’artista è perfettamente capace di usare l’acquerello, come mostra nelle triadi di Putin e Zelensky, ritratti a partire dalla loro foto sulla prima pagina del Times, il primo perché uomo dell’anno nel 2000, il secondo come uomo dell’anno dei giorni nostri.
Alla domanda sul motivo per cui ogni quadro, salvo alcuni, è di un solo colore, risponde che il cinema, ad esempio, dimostra che il bianco e nero è perfettamente in grado di descrivere la realtà. Aggiunge una frase arguta e disarmante a un tempo: «Dato che alcuni miei quadri ridipingono quadri famosi (come la Gioconda), farli a colori non introduceva alcuna originalità».
A chi gli chiedeva quale influenza ha avuto su di lui l’America, dove ha soggiornato a periodi, risponde che, in questo mondo di social, la globalizzazione è ormai generalizzata, e quindi non occorre soggiornare in un luogo per assorbirne dei tratti culturali. Però dai social non si ottiene la matericità di un quadro, che, visto in fotografia, possiamo pensarlo di pochi centimetri, mentre nella realtà è grandissimo.
E ci spiega che con la pittura vuole dare emozioni. Scopo che è oggi poco diffuso o addirittura contestato da molti pittori e critici d’arte.
Quando mi trovo di fronte ai suoi quadri, mi aiuta avere conosciuto il loro autore attraverso le sue stesse parole. Mi viene in mente anche che egli sostiene che il racconto su tela degli argomenti da lui scelti è perseguito in modo da non voler influenzare chi lo guarda. Si considera un cronista per immagini. Alcuni particolari però sono indicativi delle sue emozioni, come il volto della Gioconda, da cui è sparita l’indecifrabilità, sostituita da una espressione accogliente, benigna, solo lievemente ironica. Titolo: Il funerale di Monna Lisa. E mi sento libera di non vederci nulla di mortifero, ma invece un avvicinamento al mondo femminile da parte di un uomo che non lo considera irraggiungibile.
In diretta connessione con l’Italia la mostra ospita una sequenza di dipinti legati a immagini fotografiche che hanno documentato drammatici momenti della storia italiana del Novecento: l’esposizione a testa in giù dei corpi di Benito Mussolini e Claretta Petacci a Piazzale Loreto a Milano nel 1945; Pier Paolo Pasolini a terra morto all’idroscalo di Ostia nel 1975; il ritrovamento di Aldo Moro assassinato, nel bagagliaio di un’auto a Roma nel 1978. Una trilogia che mette in luce il profondo interesse di questo cittadino del mondo per le storie degli uomini di altre nazionalità.
Il suo sguardo, sorretto da una grande cultura di storia e storia dell’arte, si è posato anche su altri capolavori della pittura del passato, di autori quali Diego Velasquez, Francisco Goya e Jaques Louis David. Ha nuovamente dipinto un loro quadro, per portarli nel presente con la sua interpretazione pittorica.
Lavora anche alla sua storia personale. Ci mostra sua madre, con un ritratto dipinto dopo la sua morte. Ad esso accosta due quadri a lei dedicati, un paesaggio ideale in cui vorrebbe che lei vivesse e un Budda per accompagnarla nelle sue pratiche religiose, da lei sempre seguite malgrado qualsiasi religione fosse proibita all’epoca di Mao. Espone anche un vibrante autoritratto, dove, grazie ai sapienti chiaroscuri, fa emergere la sua personalità contraddistinta da grande determinazione. La sua biografia ci dice che da quarant’anni, da quando venne a Firenze per la prima volta, ha lavorato per diventare un pittore.
Il suo grande affetto per la madre appare chiaramente attraverso i quadri descritti. Più difficile è interpretare la sua relazione col padre. Lo ha dipinto in un letto di ospedale. Di fronte ha collocato un quadro di se stesso giovane a letto, morto. La più straziante delle disgrazie , il fatto che un figlio premuoia al padre, sta ad indicare la difficoltà di rapporto che l’artista vive con suo padre. Non aiuta sapere che c’è un detto cinese che recita “i capelli bianchi partecipano ai funerali dei capelli neri” perché non ne conosco il contesto.
Un trittico in cui l’artista si ritrae in posizioni che ricordano la crocifissione, pur senza la croce, ci dà l’idea che voglia interpretare Gesù, ma anche i due ladroni. Che il messaggio sia che, nel rivivere episodi della storia degli uomini, abbia sentito a volte la stessa sofferenza che si immagina patisca un uomo crocifisso?
La mostra, che espone più di trenta quadri, resta aperta fino al 3 settembre.