Un originale e ironico omaggio alla lezione di Miles e Zappa, Area e Perigeo, nel nuovo album del poliedrico bassista veneto. Tra funk, prog e fusion, con l’elettrizzante quartetto di Terragnoli, Bandello, Menato e Veronese.
Elettronica, progressive, funk, reggae, avanguardia. Negli anni hai sperimentato tutto lo scibile musicale e con Fishesé entri in modo pieno e consapevole in territorio jazz-rock. Che tipo di taglio e di interpretazione hai dato a questo genere?
Il jazz-rock ha segnato la mia crescita artistico-musicale dai 12 anni in poi, assieme al Progressive-Rock, senza dimenticare i Beatles e tutta l’area psichedelica… non che non mi piacessero anche generi diversi: Hard-Rock, Blues, West Coast etc (CSN&Y, Joni Mitchell, Deep Purple, Black Sabbath, Led Zeppelin, Bo Diddley, Muddy Waters, John Lee Hooker, Ry Cooder…). I miei ascolti dell’epoca mischiavano i due generi: Frank Zappa, Soft Machine, Gong, Gentle Giant, Nucleus, King Crimson, Miles Davis, Yes, Jethro Tull, Mahavishnu Orchestra, Weather Report, Chick Corea… sono stato allevato a pane e jazz, a 5 anni ascoltavo Gerry Mulligan e ho avuto la fortuna di assistere ai primi jazz festival a Verona, vedendo (al primo per esempio) Phil Woods, Max Roach, Ella Fitzgerald e Charles Mingus. Quando sentii le prime incursioni di quello che chiamavano “jazz elettrico” (visto presentare Bitches Brew da Davis nel ’73) mi innamorai della fusione dei due generi e tutta la mia attenzione si direzionò sulle musiche dette “di ricerca”. Fishes è un “tributo” alle mie origini e allo stesso tempo un fissaggio marcato della mia identità artistica. Ci sono citazioni stilistiche relative a tutti i gruppi descritti poc’anzi, senza dimenticare gli ensemble nostrani come Area, Perigeo, Arti & Mestieri ecc., sperando che risulti anche qualche peculiarità “personale”.
Does humor belong in music?, si chiedeva Frank Zappa anni fa. Ascoltando la tua musica e leggendo i titoli viene da pensare che in effetti musica e senso dell’umorismo con te vanno a braccetto: è così?
Umorismo e ironia fanno parte del DNA di una percentuale consistente degli artisti prima menzionati e (spero) anche del mio. Anche nella scelta dei titoli del cd si evince questa tendenza: quando ho scoperto che la traduzione della “pulce d’acqua” era Sand Hopper mi è venuto naturale chiamare il brano Dennis The Sand Hopper in omaggio a Dennis Hopper, icona dell’era hippie.
Composizione vs. improvvisazione? Quanto c’è dell’una e dell’altra in Fishes?
Io direi un bel fifty-fifty, ci sono brani che mantengono una struttura, diciamo, tradizionale, altri si servono del tema come scusa e piattaforma per incursioni free e un cameo totally free (One Minute Plancton) che è nato all’insegna dello sberleffo: un musicista alla volta in sala da presa a fare un minuto di ciò che più gli aggrada senza sapere assolutamente cosa hanno fatto o faranno gli altri componenti. Il risultato mi ha attizzato parecchio.
All’album partecipano due figure a te molto familiari, ossia Enrico Terragnoli e Nelide Bandello, con cui lavori da anni. Qual è stato il loro ruolo in una situazione così diversa da ReggaeDoompa?
Reggaedoompa è un progetto di Enrico con il 95% di sue composizioni, siamo tutti ”autonomi” e in grado sia di proporre in prima persona, sia di immergerci nell’humus creato dagli altri. Va da sé che il ruolo al massimo si è scambiato da propositore ad interprete attivo, traslando con la propria sensibilità alle varie esigenze artistiche. Aggiungerei che Nelide svolge doppio ruolo: strumentista e produttore, visto che l’etichetta con cui esce Fishes è la Flying Robert Music, di cui è fondatore.
Stefano Menato e Davide Veronese sono invece due presenze nuove, che tipo di contributo hanno dato?
Con Stefano Menato c’è una lunghissima esperienza collaborativa che va dal 1986 (Elektro Style e Blue Neptune, due progetti nati nell’era Elettronica e New-Wave. Lì ero compositore-arrangiatore tastierista e programmatore) e a singhiozzi è arrivata fino a oggi. Davide Veronese si può dire che l’ho visto nascere, figlio di carissimi amici e venuto al mondo con un talento innato ed invidiabile, suoniamo assieme nell’ensemble di Titti Castrini, enorme fisarmonicista jazz, con cui collaboriamo da anni ed è stata l’ovvia scelta per questo lavoro.
Avete registrato ai Ritmo & Blu, studio noto per il lavoro analogico portato avanti da Stefano Castagna. Quanto è importante poter disporre di un luogo da vivere in chiave creativa?
Da ex produttore e con sala di incisione a casa, ove ho più volte ricoperto il multi-ruolo di compositorearrangiatorefonicostrumentista, la sensazione di leggerezza e gaudio che mi dà essere in un’altra place dove posso finalmente occuparmi esclusivamente del lato artistico e strumentale, a Verona si dice in dialetto:”No gh’è schei che le paga”! E poi avere alla console un luminare come Stefano Castagna (anche con lui ho collaborazioni dal 1990) rende ancora più rilassata l’atmosfera. Infatti registrato e mixato, direi, a tempo record: 2 giorni registrazione, 2 giorni mixaggio, ridendo e scherzando… meglio di così non si può.
Negli anni hai attraversato i generi più disparati, dal funk all’avanguardia. Quanto è stato utile apprendere e confrontarsi con tutti questi linguaggi?
È importantissimo avere una visione il più aperta possibile: qualunque tipo di musica può dare degli input creativi. Per esempio, la musica classica ha avuto un ruolo chiave per afferrare il concetto di struttura e dinamica. Da bambino Dvorak e Mussorgsky mi hanno fulminato e quando ho sentito la versione degli Emerson Lake & Palmer di Picture At An Exhibition ho cominciato ad intravedere la possibilità di miscelare i generi per creare atmosfere alternative e ho reso questa visione un punto cardine di tutta la mia attività compositiva.
Fishes resterà solo un’esperienza di studio o prevedi concerti con questa formazione?
Ancora non so, comunque il livello interpretativo, tecnico e professionale dei musicisti coinvolti rende assolutamente possibile una performance live. E spero che la cosa si verifichi.