A metà degli anni Novanta la Nintendo, celebre società giapponese specializzata nella produzione di videogiochi, dopo decenni di incessante crescita e successi planetari, lancia Virtual Boy, un primo prototipo di visore di virtual reality, che si rivelerà da subito essere uno dei più grandi fallimenti commerciali nella storia del gaming. Nonostante il presagio di un crollo societario, appena qualche anno dopo, verrà prodotto il Nintendo GameCube - la prima console ad utilizzare mini-cd - e la sua famosa erede Nintendo Wii che, con oltre dieci milioni di unità vendute, diventerà una delle console più commercializzate al mondo. Il paese del sol levante pone le sue fondamenta millenarie sulla cultura del successo e dell’eccellenza, grazie a disciplina ed ordine. Tuttavia, ciò che viene spesso trascurato è il ruolo essenziale che il fallimento ha nella cultura giapponese, concetto spesso stigmatizzato nella filosofia occidentale. Senza un Virtual Boy, non sarebbe mai esistita una Nintendo Wii.
«Cadi sette volte, rialzati otto» recita un antico proverbio, precursore dell’ormai inflazionata idea di resilienza: non ha importanza quante volte si cada, ma quante invece si riesca a rialzarsi. E se le parole hanno il potere di raccontare un luogo, il termine shippai, che descrive il fallimento costruttivo, definisce i tratti più intimi del Giappone, dove il valore di una persona si riconosce per come affronta, appunto, il fallimento e dove si preferisce lasciar sbagliare piuttosto che, repentinamente, correggere e proteggere. Esiste una scienza moderna, la shippaigaku o fallimentologia, che, a livello ingegneristico, analizza le misure sociali per prevenire il ripetersi degli errori e che studia l’immenso potenziale del fallimento, le ripercussioni emotive ad esso collegate e la forza con cui l’essere umano riesce ad accettare un fallimento: a livello statistico, solo una volta su dieci riusciamo ad avere successo, nonostante ciò continuiamo a riprovarci.
La società giapponese abbraccia lo shippai come un’opportunità preziosa per preferire il silenzio all’attaccare, all’assalire e al combattere. È proprio quel silenzio che diventa occasione, incanalando un’informazione fondamentale che permetterà al fallimento di non ripetersi. Questo atteggiamento, che in parte deriva dalla filosofia kaizen, si riflette, di conseguenza, nel lavoro, nell’istruzione e nella vita quotidiana, enfatizzando il miglioramento continuo attraverso l’esperienza. E non è un caso che sia stata proprio l’azienda giapponese Toyota a dare i natali al concetto di miglioramento continuo, originariamente impiegato come elemento chiave nel sistema produttivo della catena di montaggio, "facendo le cose nel modo in cui andrebbero fatte".
Nel sistema educativo, gli studenti sono incoraggiati ad affrontare sfide difficili e ad accettare il rischio di commettere errori. Gli insegnanti incentivano gli studenti ad imparare dagli sbagli, riconoscendo che, attraverso lo shippai, si possono acquisire lezioni e competenze, e contribuendo a coltivare una mentalità di perseveranza e tolleranza, incoraggiandoli a non temere il fallimento. Nel dizionario giapponese c’è un termine anche per questa forma di resistenza stoica: gaman significa “sopportare l’apparentemente insopportabile con pazienza e dignità”, dove l’accettazione vince sulla rassegnazione, attraverso autocontrollo e disciplina.
Shippai e gaman si fondono reciprocamente nella vita quotidiana dei giapponesi in una filosofia profonda, radicata, viva.
Il terremoto e conseguente maremoto del 2011 che vide vittime quasi sedicimila persone, nella regione di Tōhoku, ne è un lucido esempio. Quell’equilibrio precario che solitamente vacilla e si spezza in seguito a disastri e tragedie, rimase inalterato, perfettamente in asse. Non furono segnalati atti di sciacallaggio né tantomeno atteggiamenti di panico incontrollato. Ma perseveranza, disciplina e accoglienza radicale del fallimento e della transitorietà.
Una filosofia talmente radicata da trovare espressione nell’arte del wabi-sabi, il cui concetto si riferisce all'accettazione dell'imperfezione. Gli artigiani, ad esempio, mettono in evidenza i difetti nei loro manufatti per enfatizzare la bellezza dell'imperfezione stessa. Attraverso l’antica arte del kintsugi, spesso considerata emblema di resistenza e rinascita, gli oggetti danneggiati che mostrano i segni del tempo vengono riparati utilizzando polvere d’oro per saldare le crepe. Gli errori, i danni, i fallimenti non vengono nascosti bensì esaltati.
Ciò ha un impatto significativo nella forma mentis nipponica rispetto all’idea di fallimento, in quanto è parte integrante e propedeutica del percorso verso il successo. In questo momento storico, dove l’errore è uno tsunami indelebile, dove il tu-hai-sbagliato prevale sull’io-ho-sbagliato, fallire è un atto rivoluzionario. E allora falliamo, cadiamo sette volte, per rialzarci otto, nove, dieci.