La seconda guerra mondiale stava continuando nel tardo autunno del 1944, malgrado le speranze di rapida soluzione del conflitto si fossero materializzate con la liberazione di Roma, lo sbarco in Normandia, il procedere della lotta partigiana in Italia, la creazione di repubbliche partigiane libere nell’Italia del Nord. L’offensiva alleata procedeva ancora troppo lentamente per l’opposizione dei nazifascisti che impedivano l’irrompere nella Pianura Padana ad americani e inglesi.
Proprio la certezza che l’avanzata militare sarebbe stata rapida, aveva portato le formazioni partigiane italiane ad agire in modo da creare zone libere nel territorio occupato che davano pesantemente fastidio soprattutto ai tedeschi, capitanati dal feldmaresciallo Kesserling. Egli organizzò quindi pesanti rastrellamenti e operazioni a tappeto per riappropriarsi dei territori liberati dai ribelli e ribadire il potere sull’Italia.
La Val d’Ossola venne attaccata da oltre tredicimila uomini a partire dal 9 ottobre, costringendo la popolazione a fuggire verso la Svizzera per non incorrere nelle rappresaglie. Il 2 novembre verrà attaccata la città di Alba, costituitasi in repubblica libera: la resistenza fu tenace, tanto che, pur ripiegati sulle colline, grazie agli aiuti paracadutati dagli alleati, i partigiani tennero testa ai nazifascisti fino al 20 dicembre, rallentandone notevolmente l’azione e l’avanzata.
Gli scontri divennero duri nelle Langhe, dove l’attacco nazifascista venne sferrato il 2 dicembre con la conseguente ripresa del territorio, mentre la difesa partigiana continuava accanitamente sulle colline. Sono solo alcuni esempi di valore e di tenacia che, però, ben presto si dovettero scontrare con la dura realtà.
Il 13 novembre 1944, il generale Alexander diramò un comunicato con il quale chiedeva ai resistenti italiani di non organizzare più azioni contro il nemico, aspettando la ripresa dei combattimenti e dell’avanzata alleata della primavera successiva. La notizia avvilì pesantemente le formazioni partigiane: alcune si rassegnarono a restare nascoste, altre si ribellarono alle decisioni dall’alto, dettate da corrette necessità strategiche, ma viste come un’ingiustizia nei confronti della situazione contingente e delle condizioni reali in cui vivevano partigiani e popolazioni.
La demoralizzazione, il freddo particolarmente intenso di quell’anno, la mancanza di aiuti aviolanciati, le repressioni nazifasciste, misero fortemente in crisi il movimento resistenziale. La situazione causò una profonda riorganizzazione dei reparti con la tendenza a scendere in pianura, date le proibitive condizioni di vita della montagna. Intanto, il nuovo comandante in capo Clark, bisognoso di aiuto nelle retrovie tedesche, fece riprendere le forniture di armi e di altri prodotti necessari ai partigiani, ridando coraggio a chi si sentiva abbandonato.
Nel Natale 1944, il militare italiano Tullio Battaglia, internato come altri seicentomila soldati arrestati dopo l’8 settembre 1943, realizzò di nascosto nel campo di Wietzendorf un presepe con poveri materiali di recupero per poter celebrare degnamente la santa festività, e con la speranza di vedere finito quell’incubo nel quale l’umanità era tragicamente finita. Egli cercò, nella creazione della natività su modello francescano, di riprodurre la varia umanità del lager, affinché ciascuno fosse ricordato e perché la scena così dolce e sacra della nascita di Gesù ricordasse proprio a loro, abbrutiti nel campo di concentramento, che erano vivi ed erano delle persone.
Usando un coltellino che riuscì chissà come a nascondere alle perquisizioni, piccole porzioni di margarina sottratte dai detenuti al già magro pasto giornaliero per farsi luce, ambientò la Natività in una cascina lombarda. Ci sono i Re Magi e san Francesco, una tessitrice, lo zampognaro dell’Abruzzo e il pastore della Calabria, lo stracciato internato italiano, un militare tedesco che depone le armi ai piedi del Bambino.
Il presepe è giunto fino a noi. Mancava il bue che è stato donato dai cittadini di Wietzendorf come gesto di fratellanza per cercare di allontanare dal presente gli orrori di quel passato di ottant’anni fa.