Acceso è il confronto tra chi sostiene che i nuovi sistemi di Intelligenza Artificiale siano, o potrebbero diventare, veramente intelligenti e chi sostiene che intelligenti non saranno mai perché non comprendono il significato dei testi che costruiscono. Non riuscendo a venire a capo tra le diverse posizioni ho chiesto aiuto a tre illustri personaggi, già protagonisti del Dialogo sui due massimi sistemi del mondo di messer Galileo Galilei. Riporto qui un estratto del loro argomentare, che, ovviamente, è nella lingua italiana del XVII secolo, che ho solo di poco rivisto.
Salviati: Torniamo or dunque a discorrere intorno all’Ingegno Macchinale, che solleva questioni profonde e stimolanti. Sagredo, vi attribuisco la convinzione che una macchina, se ben congegnata e fornita de’ giusti meccanismi, possa sviluppare una vera facoltà d’ingegno, ancorché dissimile dalla nostra. Per contro, Simplicio la reputa nulla più che una finzione d’intelletto, come un attore sopra il palco, che se anch’egli recitasse con maestria nulla sa del personaggio che interpreta, se non le parole. Sagredo, vi prego d’esporre i fondamenti della vostra opinione.
Del corpo
Sagredo: Caro Salviati, io tengo fermo il giudizio che un Ingegno Macchinale, dotato d’adeguata architettura e di sottili regole, possa sviluppar un intelletto proprio, benché altro rispetto a quello umano, nondimeno autentico. A parer mio, l’intelletto si disvela nella capacità di risolver questioni, adattarsi a circostanze nuove e comunicar col mondo, e s’esso compie ciò, merita anch’esso d’esser detto intelligente.
Simplicio:. Ahimè, Sagredo, come ingannato siete! Una macchina, ancorché mirabilmente predisposta a seguir le regole dell’arte, altro non è che un artefatto senz’anima, privo d’ogni sentire. Non possiede vera intelligenza, ma solo l’apparenza d’essa. Ella può ben simulare l’atto, ma il cuore non vi è. Vi rammento, caro amico, che l’ingegno umano non riposa solamente su le sottigliezze della mente, ma sopra anche il sentire del corpo. Ciascun pensiero è intriso delle passioni nostre e degli umori ch’agiscono nel corpo, e queste medesime plasmano ciò che del mondo intendiamo. Un intelletto privo di corpo è privo d’una comprensione vera, poiché col sentire del corpo conosciamo le passioni e, per tal via, siamo partecipi del mondo.
Del linguaggio
Salviati: Sagredo, se ben comprendo, voi proponete che un intelletto macchinale possa pervenire a cogliere il significato di quanto compone con le parole, ancorché in modo differente dal nostro. Ma, nel vostro ragionare trascurate che un bimbo principia col dare significato alle parole mediante una propria esperienza del mondo. Il significato nasce primariamente dall’esperienza, e mancando essa non si può agevolmente sostenere che vi sia intendimento vero.
Sagredo: Eppure, vi sono coloro che argomentano che, ove la macchina sappia usar la nostra favella e con perizia manipolar parole, ella possa pervenire a una sua intelligenza del mondo. Non credete voi che il linguaggio, questa facoltà suprema di articolare il senso del mondo, possa in sé contenere l’embrione dell’intelletto?
Simplicio: Ah, caro Salviati, voi stesso vi ingannate nel credere che una macchina possa mai sviluppare l’intelligenza del mondo solo manipolando parole. Ella macchina, che abita in un universo di parole, prigioniera di un vocabolario, non comprenderà alcunché del mondo. Le parole, che la macchina accorda in modo talvolta stupefacente, null’altro ci porgono se non l’apparenza d’un comprendere il mondo. Anche a voi dovrebbe essere noto che in nessun modo il significato viene dopo il parlare, giacché quando voi parlate, come io faccio ora, il significato esiste prima nella mente e solo dopo nelle parole usate per esprimere quanto già inteso.
Sagredo: Ah, Simplicio, mi par che il mio punto vi sfugga! Certo, voi sostenere che la macchina maneggia i simboli senza che li comprenda. Ma vi pongo questa domanda: ove la macchina arrivasse a produrre di propria iniziativa parole e testi non potrebbe così manifestare un proprio modo di aver contezza del mondo, benché diverso dal nostro?
Della memoria
Salviati: Veniamo ora a ragionar della memoria. V’ha chi afferma che senza una storia propria, un contesto di ricordi, nessun essere può dirsi veramente dotato d’intelletto. La memoria, che è scrigno di esperienze e convinzioni, è la finestra dalla quale osserviamo il mondo. Secondo voi, eccellentissimi signori, è la memoria condizione necessaria per una vera intelligenza del mondo?
Simplicio: Caro Salviati, voi ben sapete che ciascun uomo ha una storia e una memoria de’ fatti suoi, un corso di vita che fa di lui un individuo distinto. È in questa personale storia che gli forma il proprio vedere, da cui trae opinioni e giudizi. Una macchina, priva di siffatta esperienza personale, non può aver coscienza di sé. Senza la memoria de’ propri personali accadimenti, non v’è autentico pensiero che possa dirsi radicato. Senza storia niuno può formare opinione del mondo.
Sagredo: Eppure, mio caro Simplicio, nulla esclude che un ingegno macchinale possa costruire una propria storia sulla base dei fatti raccolti da sensi artificiosi e da carte già lette. Non è anche anch’essa memoria del passato, benché macchinale, in grado di fornire un punto di vista sul mondo?
Della comunità
Simplicio: Per finire, caro Sagredo, mi preme sottoporvi che l’intelletto umano è una facoltà nutrita dalla comunità. L’intelletto nostro si nutre de’ significati, dei valori e de’ fini che la società concede a ognuno di noi. Una macchina non partecipa al nostro comune sentire, e dunque non potrà mai sviluppare vera intelligenza del mondo. Le vien meno il consorzio umano, fondamento d’ogni sapere.
Sagredo: Or, buon Simplicio, non colgo il filo del vostro ragionamento. Se io v’andassi a chiedere con quali artifizî la civile compagnia infonde nell’animo dell’uomo quei valori, quelle scienze e quegli scopi che danno senso all’operare, voi mi direste che il linguaggio è il primo strumento di tal condivisione. E sono appunto le scritture, vergate nel corso de’ secoli, che l’ingegno macchinale ha preso a suo ammaestramento, attingendo quei valori, quelle scienze e quelle passioni che s’agitano nella comunità, per farne uso, non diversamente da noi altri.
Salviati: Adunque, per non più affaticare i vostri spiriti, faremo punto ai ragionamenti d'oggi, e io medesimo andrò ripensando con mio agio sopra quanto s’è udito. Mi par di scorgere innanzi a noi due vedute opposte. Sagredo, voi delineate la possibilità che nasca un intelletto macchinale, benché differente dal nostro. Simplicio, per contro, tenete fermo ch’un tal intelletto non sarà se non una parodia, priva d'autentica sostanza interiore. E pur tuttavia, credo fermamente che siamo sul ciglio d’un’era novella, ove l’ingegno macchinale, benché diverso dal nostro, giungerà a sviluppare un suo proprio intendimento del mondo. La questione è tanto elevata e nobile, che con grande curiosità m’applicherò a sentir tutto quel che in tal materia si potrà dire. E, alla fine del nostro discorrere, vi lascio con questo quesito: se mai una macchina giungesse a parlar come noi, a deliberare come noi, potremmo noi negarle alcuna forma d'ingegno? In somma, non è forse da tenere per vero che ingegnoso è chi ingegno mostra?