Sovrappeso, affannato, ingobbito e rosso in viso come se dovesse esplodere da un momento all’altro. Così appariva Freddy, seduto da solo spalle al muro in un tavolo per due: Freddy, la leggenda del circolo “il Ritrovo”.
Ho trascorso tanto tempo in quel posto per analizzare l’attività dei pensionati che ci passavano intere giornate, non era il massimo ma era necessario per alcuni articoli che stavo scrivendo sul giornale locale. Era un luogo ricco di persone di una certa età che si divertivano con carte, biliardo e bocce quando era bel tempo, le classiche attività post pensione unite a commenti sportivi, attualità e politica spicciola. Freddy era diverso, per nulla socievole, se ne stava lì seduto con un mazzo di carte poggiato di fronte a lui, bevendo vino e sfogliando il giornale di tanto in tanto. Inutile dire che l’articolo non mi sembrò molto impegnativo quindi la mia attenzione si spostò immediatamente nella sua direzione. Svegliò in me un animo giornalistico più vivo del momento storico che stavo vivendo professionalmente, volevo saperne di più su quella figura che appariva un po’ mitologica, come se avesse l’aura di una reliquia azteca intorno. Quindi dopo l’ennesimo colpo d’occhio era diventato per me la più grande distrazione; chiusi il portatile e mi misi a chiedere un po’ in giro.
Mi fermai vicino ad un gruppetto di tre anziani poggiati sul biliardo: c’era il tipo alto, quello basso e quello più in carne, sembravano un trio comico ben rodato. Mi fermai vicino a loro e chiesi educatamente: «Scusate signori, mi chiamo Giovanni e sono un giornalista, lavoro per il giornale locale, posso farvi qualche domanda?». I tre annuirono senza particolare entusiasmo e continuai: «Sapete dirmi qualcosa su quell’uomo seduto lì?» chiesi accennando col capo a Freddy cercando di non farmi notare. Rispose subito quello alto: «Quello è Freddy, una brava persona… credo, non parla mai», prese una pausa poi continuò, «era un militare da quel che so». «Un militare?! Nient’affatto, era un cuoco» intervenne quello basso, «non so se ha mai cucinato per l’esercito ma di sicuro era un cuoco». «Un cuoco?... sì come no gli piacerebbe; quello non ha mai lavorato in vita sua, non li sa nemmeno accendere i fornelli ve lo dico io, è pensionato da quando ho memoria, sa giocare solo a carte altroché» concluse l’ultimo.
Temevo Freddy potesse sentire le nostre parole visto che gli uomini avevano usato tutto meno che la discrezione, ma girandomi verso di lui notai che non si era spostato di un millimetro, potevo confermare che fosse ancora vivo solo per il pesante respiro che lo faceva innalzare di pochi millimetri ogni tre secondi circa, per poi crollare di nuovo giù.
«Tranquillo non può sentirti» mi disse uno dei tre, notando forse la mia apprensione. «È sordo» aggiunse un altro. «Davvero molto sordo», continuò il terzo, «in compenso a carte non perde mai». «Confermo, a carte non perde mai». «Mai…» concluse il trio in perfetto sincronismo.
La mia curiosità era volata alle stelle. Ringraziai il simpatico tridente del biliardo e andai verso il bar interno al circolo pensando che un barista sa sempre tante cose e conosce sicuramente meglio di tutti la flora e la fauna del luogo. Freddy era diventato l’esemplare più raro del circolo e io un esploratore che gira un documentario. Chiesi la stessa cosa di prima anche al barista che rispose in modo poco esaustivo: «Freddy... è quello che vedi, un vecchio sordo che beve vino e legge il giornale». «Che lavoro faceva?», «Era un impiegato ne sono sicuro, ma più di questo non so... posso dirle con certezza che a carte non perde mai». In quel momento l’intraprendenza del giornalista vinse contro il freno generato dall’aura leggendaria avvolta attorno a quell’uomo che ora appariva ai miei occhi come un leone, un re silenzioso di quella savana un po’ attempata. Decisi di andare al suo tavolo e sedermi sulla sedia vuota di fronte.
Senza dire una parola Freddy iniziò a mischiare le carte a ritmo del suo respiro. Il mio palese imbarazzo cresceva a vista d’occhio dato che in vita mia ero tutto meno che un ottimo giocatore. I signori del circolo appena videro quella sfida partire si precipitarono intorno al tavolo. Freddy indicò il bicchiere di vino con un cenno del capo e poi subito il bar, chiaro segnale che ci saremmo giocati una bevuta. Durante la partita, la più tesa della mia vita, il gruppetto che si era formato intorno a me continuava a scambiarsi opinioni su mosse che avrei dovuto fare, anche i signori del tridente del biliardo si avvicinarono curiosi ma quando tutti capirono che davanti a loro c’era un pessimo giocatore iniziarono a scemare finché non rimasi solo con Freddy.
La partita non durò molto. Gli strinsi la mano e andai verso il bancone del bar per prendere un paio di bevute della sconfitta. Dopo qualche secondo, con un rumore di sedia che struscia sul pavimento, Freddy si alzò. Sembrava un’azione che non faceva da una vita, era come la rimozione di un albero secolare dal centro di un parco pubblico in una grande città. Si mosse lentamente verso di me e si poggiò subito sullo sgabello di fianco al mio. Con voce roca e tono basso mi disse: «Ti hanno detto che sono sordo». «Si beh, tra le altre cose…» tentennai. «E tu ci hai creduto».
Ci fu un momento di silenzio che Freddy spezzò con un colpo di tosse.
«Ti hanno detto che sono stato un ladro, un soldato, un prete e chissà che altro». «Ehm sì, più o meno» risposi sempre più esitante. «E tu ci hai creduto».
Altra pausa densa di respiri affannati come se per lui parlare fosse l’azione più stancante del mondo.
«Ti hanno anche detto che a carte non perdo mai». Io feci solo un segno di assenso con un piccolo sorriso. Freddy iniziò le manovre per alzarsi accompagnate da un colpo di tosse catarrosa che tuonò nell’aria. «Insomma di me sai tante cose, ma ora te ne voglio dire una io: non pago mai da bere a nessuno». Poi lasciò un paio di banconote accanto al bicchiere vuoto e se ne andò lentamente.