I traumi scavano dei segni molto profondi. Voragini, che si portano con sé anni e anni di vita lasciando al loro posto un vuoto vivo e confuso. In questi bui interiori si possono trovare tracce del passato, che nonostante siano frantumate dal boato traumatico non sono disperse.

Tra questi brandelli identitari è possibile recuperare modi di amare e di amarsi che permettono non di superare la notte, ma di accettarla come parte naturale di una giornata interiore più complessa. Siamo più grandi dei nostri dolori. Interiorizzare questa verità è fondamentale per guardare oltre, senza dimenticare da dove si è venuti. Infatti, oltre il buio si trova una nuova dimensione, il naturale proseguo del cantiere che è il nostro io.

Sapere ciò e andare avanti nella costruzione di noi stessi non significa dimenticare, ma accettare che alla fine la vita è un libro e ogni capitolo sorregge l’altro. Per fortuna non tutta la nostra storia può ridursi in una voragine, qualcosa sopravvive e cresce, sempre.

Cantata Notturna

Ogni giorno che finisce
è un rintanarsi stanco
tra due fette di coperte
dietro un muro di vetrocemento,
Dormi Federico, basta concentrarsi
Testa, collo, pube, cosce,
gambe, piedi. Inspira e… rifare
piedi, gambe, cosce, pube,
pancia, vuoto, vuoto, vuoto!
Il vuoto non parla
eppure, nonostante i rumori della TV
che rimbalzano tra le foto nei corridoi
ha la voce di mio padre

“Spingi l’Aratro
e non guardare
spingi e urla nel silenzio
e CCCP, col cazzo che piangi Federico
che è un privilegio
l’alto lavoro che ti è concesso
questa terra fruttifera è tua di diritto
anche se non ti piace, spingi
che ti salverai
e se non lo farai tu
lo farà almeno il raccolto
e tu sarai solo terra”

solo questo mi canto dentro
come un mantra
una continua lista di to do
e google task
per ogni minuti, di ogni ora
di ogni mio me domani
e non c’è che ombra
in questi muri digitali
non c’è prigione più pungente
di quella che ti porti dentro
la notte avanza
e lo statico si spegne.

In casa mia tutti hanno bisogno di rumore
per dormire per questo mi suono dentro,
ma non mi basta
che ho il ritmo circadiano rotto
perché filtrano fuochi, ogni notte
dal vetrocemento
che mi molestano lo spirito
e mi ricordano la nonna
che mettendo via i santini
mi diceva

“Ho acceso due candele Federico
ho acceso due candele e fatto un segno
ho acceso due candele e fatto un segno Federico
per parlare con la mamma
e non toccare mai il tavolo
che poi parla
il dolore non è bello se non balla
il dolore non è bello se non balla Federico
il dolore non è bello se non balla”

e il vuoto ora balla
attraversato dal calore
e dalle trame di quello che è stato
un particolato sospeso
di anni bruciati
dalle ceneri non ritiri su una casa
la ricordi e basta
e la notte avanza
scivola nell’ombra
dove tutto è mente
tutto è sogno.

È l’ora delle streghe
e mi compari tu
filtri timida
dalle persiane
sei selenica, diafana, spettrale
e chiudi tutte le ferite
un sepolcro fresco
che spegne le fiamme
posa il pulviscolo
e c’è solo letto e stanza
e mani fredde che avanzano sul lenzuolo
aggrappandosi palmo palmo
trascinandosi sul corpo
unghie affilate puntellano
e si scavano una via tra le pieghe
cieche si dimenano
verso il collo
spasmo spasmo feriscono
e ormai a destinazione
mi rimboccano la coperta
dal fondo del letto due occhi blu
mi compari tu, Mamma
e la pace ha solo cinque sillabe
e due parole

“Dormi Amore”
la notte la passi
solo se ti ami
e mi lascio andare
c’è una pace nera pece tra le stelle
e domani mancherai
ancora.