Un turista solitario che non è un turista come lo si può chiamare? Una persona che a volte viaggia per lavoro, questo sono. Primo quesito del viaggio in auto in solitaria risolto. Il secondo vien da sé una volta imboccata l’uscita dell’autostrada e presa la strada del lungomare. Se le scelgono bene le località delle riunioni. Paesino di mare con poche anime felici di non appartenere al dominio urbano delle metropoli, e qui vi parla una vittima delle suddette che da bambino sognava il mare in costume e ciabatte e ora ci va in camicia per i meeting aziendali. Dove si può andare a perdere un po’ di tempo quando sei in un luogo del genere? Esatto proprio lì, al bar dello stabilimento che affaccia sulla spiaggia, quello che gestisce il traffico balneare di quella porzione di mare dalle sei del mattino fino ai primi accenni della notte, quello che fa i ghiaccioli e i caffè per le calde giornate di sole e gli aperitivi per i mitigati pomeriggi, anche se questo era vuoto. Quindi, seduto sulle scomode sedie, di quelle che s’impiantano nel terreno, piene di sabbia anche quando non c’è stato nessuno prima di te, ordinai un caffè fronte mare.

Il proprietario, che è anche barista, gestore dello stabilimento, bagnino, gelataio e chi più ne ha più ne metta… me lo portò senza trattenere il commento:
«Non proprio l’abbigliamento tipico per il mare».
Effettivamente avevo delle scarpe che portarle sulla sabbia era un delitto, completo scuro e camicia bianca che con il mare non c’entravano veramente niente; ma come si fa a non rispettare le regole aziendali sul vestiario?
Guardando il mare pensai al me bambino che guardandomi così mi avrebbe preso come il nemico dello stabilimento, il cattivo del film immaginario che si sarebbe fatto appena arrivato in spiaggia con il costumino rosso e la maglia molto più larga ereditata dal fratello maggiore che non la metteva più. Risposi al barista con un sorriso e continuai a fissare il mare finché una figura comparve a rubare la scena. Come per magia sulla spiaggia: capelli lunghi castano chiaro con dei riflessi ancora più chiari regalati dai raggi del sole, mossi dalla natura stessa e dal venticello fresco che aiutava il moto; un vestito leggerissimo che sembrava essere trascinato a forza per non volersi staccare dal corpo di quella donna.

«Non fissarla troppo che rischi di affogare senza toccare l’acqua».
La voce del barista interruppe la trance.
«Chi è?» Chiesi.
«Non pensarci proprio, è una guerra persa».
Mi uscì un sorriso spontaneo di quelli maliziosi e ironici allo stesso tempo, come se quell’uomo mi avesse letto nella mente, come farebbe un amico di vecchia data che ti conosce meglio di chiunque altro.
«Ci avete provato tutti in paese immagino».
«Non mi aspettavo un commento migliore da uno che viene con il completo in spiaggia».
«Non mi piace essere ipocrita quando non serve».
«Probabilmente ci riesci ma non ma non per questo sei diverso dagli altri».
«Altri?».
«Tutti quelli che guardano Marina e sognano di farla loro per una notte o per sempre».
«Parlare di una donna come fosse un oggetto da possedere, non mi aspettavo di meglio da un barista di un paesino di quanti? Mille abitanti?».
«È bellissimo come sia riuscita a generare una battaglia tra noi stando solamente lì a raccogliere conchiglie», continuò il barista, «sai quante volte la vedo io?».
«Posso immaginarlo».
«Ogni singolo giorno… e pensi che non abbia mai sognato quello che hai sognato tu nel secondo in cui l’hai vista; e sai quanti ne ho visti come te?».
«Posso immaginarlo», risposi, «perché non ti sei mai fatto avanti?».
«Tu vai forte con le donne in città vero?» Eluse la mia domanda con un’altra domanda.
«Non mi lamento».
«Hai un bel lavoro, la macchina sportiva, l’appartamento pieno di confort e via dicendo… ti basta spendere 200 euro per una cena, parlare un po’ dei tuoi successi professionali e la mattina dopo sconosciuti come prima».
«In tutto questo non hai menzionato il fatto che potrei essere affascinante e saperci fare, è scorretto non inserirlo nel bilancio».
«Colpito», rispose alzando le braccia, «facciamo così allora: se riesci a conquistare Marina ti lascio lo stabilimento».
«Stai scherzando?».
«Mai stato così serio».
«E se fallisco cosa vuoi in cambio?».
«Se non ce la fai…», buttò un occhio alla mia auto parcheggiata sulla strada poco distante, «niente, sconosciuti come prima» rispose ridendo.
«Quasi quasi me la sarei giocata l’auto lo sai?».
«Non saprei che farmene».
«Affare fatto allora» conclusi.

L’unica cosa da fare in quel momento era andare lì e dimostrare il mio valore, quindi sacrificai le scarpe e feci un passo verso la spiaggia. Lei era lì a raccogliere conchiglie con la leggerezza di chi non ha mai conosciuto il peso del tempo. Per quanto io possa saperci fare con le donne come avevo millantato poco fa, ero in un contesto del tutto estraneo, giocavo fuori casa. In questi casi cosa si dice? Per fortuna non dovetti fare nulla perché quando si alzò dalla sua ultima conquista portata dal mare parlò lei per prima:
«Ci sono solo belle conchiglie qui».
«Vedo».
«Guarda questa quanto è bella». Ne prese una e me la mise davanti. In effetti era bella ma non più e non meno di una qualsiasi altra.
«Lo è».
«Ne hai qualcuna a casa?» Chiese.
«A dire il vero no».
«Molto male, anche se vivi in città un po’ di mare devi portarlo, viene tutto da lì».
«Sai, mi sarei aspettato un commento sul mio abbigliamento».

Lei mi guardò per bene, finora non l’aveva fatto. Aveva degli occhi incredibili, verde acqua, poi azzurri, poi non so… gli occhi fanno la differenza spesso e questa volta mi spinsero a buttarmi come quando vedi il mare dalla scogliera più alta e vuoi solo lanciarti giù senza pensare alle conseguenze. Non rispose.

«Visto che manca un po’ di mare nella mia vita pranziamo insieme?» Chiesi.
«Fai sempre così in città?».
«Così come?».
«Vedi un persona sola e la inviti a pranzo perché sei gentile».
«Non puoi sapere se sono gentile, magari scopri che sono un serial killer».
«Non mi preoccuperei di questo», rispose serena al mio commento fin troppo pungente, «la domanda è: l’avresti fatto comunque? Anche se fossi stata vecchia, deforme, un uomo o chiunque altro?».
«Non voglio pranzare con chiunque, voglio pranzare con te».
«Falso» rispose toccandomi con un dito sul petto dal lato del cuore. Una scossa mi arrivò dalla sua mano alla punta dei capelli fino alla punta delle dita passando per ogni millimetro del mio corpo.
«Fai così con tutti quelli che si avvicinano?» Chiesi.
«Oh no, di solito non si avvicina nessuno».
«Non hai amici?».
«Te li presento, seguimi» disse trascinandomi verso il mare.

Cercai di frenare i suoi passi ma era troppo tardi e ormai le scarpe, già distrutte dalla sabbia, erano nell’acqua insieme ad un pezzo di pantaloni.
«Guarda che belli» indicò l’acqua con alcuni pesciolini che nuotavano.
«È vero sono belli».
Scosse la testa.
«Non ci siamo, è già la terza bugia che mi dici».
«Terza?».
«La conchiglia non la trovavi più affascinante delle altre, non sei venuto qui per essere gentile e ora stai pensando che questi pesci non sono così belli».

Questo era uno scacco.

«Funziona così in città? Mentite con questa facilità?».
«Non credo che quelle possano considerarsi menzogne».
«Tu lo pensi ma non ci credi davvero, un po’ come quando sorridi al tuo capo… sorriderai al capo sicuramente».
«Non credo tu possa capire a pieno quello che dici, che lavoro fai?».
«Oh, se te lo dicessi non mi crederesti».
«Provaci».

Iniziò a camminare verso la strada tagliando la spiaggia e dopo qualche passò si girò verso di me che ero rimasto fermo lì con le piccole onde che mi sbattevano sulle caviglie; poi si voltò e disse: «La prossima volta che passeggiamo qui cerca di venire scalzo».

Accennai una protesta che si strozzò in gola. Non sarei tornato lì, che motivi avevo?

Tornai verso l’auto parcheggiata passando per lo stabilimento; il barista mi guardò, fece un sorriso: «Come è andata?» chiese.
«Non hai ancora vinto» risposi.
«Non ti ho dato limiti di tempo, quindi accomodati pure alla tua perseveranza».

La settimana seguente ero di nuovo lì, non per lavoro stavolta, a dire la verità non sapevo il perché, volevo solo quella passeggiata. Per tutta la settimana avevo pensato a quel momento.

Scesi di nuovo verso lo stabilimento, senza un appuntamento con lei, poteva benissimo non esserci e sarebbe anche stato giusto da un certo punto di vista. Stavo tentando di vincere una scommessa con uno sconosciuto eppure questo aspetto non mi era passato per la mente nemmeno un secondo durante quella settimana di lavoro perché il pensiero della sua figura e del suo modo strano di parlare avevano occupato la mia testa come un rumore di sottofondo costante e impossibile da zittire. Pensai alla scommessa solo arrivando lì e guardando il barista.

«Non sei sorpreso?» gli chiesi ordinando il caffè.
«Per niente».
«Come sapevi che sarei tornato?».
«Non lo sapevo ma non sono sorpreso», rispose, «come sono le donne di città ora che hai visto Marina?».

Domanda strana da parte sua ma non faceva una piega. Ancora una volta come se mi avesse letto nella mente aveva capito che durante quella settimana ogni donna che guardassi perdeva un paragone immaginario che non avrei mai fatto prima di vedere Marina. Io non so cosa significa innamorarsi, non sono il tipo che va da un amico a raccontargli l’incontro con la donna più bella che abbia mai visto, andavo dritto per la mia strada, testardo come sempre.
Elusi la domanda e rilanciai:
«Ti piace il mio outfit?».
«Mmh… oggi ci siamo dai».
Questa volta portavo un pantalone leggero, una t-shirt chiara e le infradito, tutte cose che avevo comprato appositamente per l’occasione.

Dopo qualche minuto comparve lei dalla spiaggia. Era identica alla settimana prima come se avesse congelato la sua figura e l’avesse fatta riemergere per l’occasione. Quanto può cambiare in così poco tempo? Forse nulla, ma sul suo viso non c’era lo stress di una settimana, il peso di qualche responsabilità o scadenza improvvisa… niente, era come se fosse libera da ogni influenza di un possibile contesto negativo.

Andai verso di lei ma non feci in tempo a parlare che lei m’incalzò: «Un punto per esserti presentato che subito viene annullato per quelle…» disse indicando i miei piedi.
«Perché?».
«Avevo detto scalzo, non sai cosa ti perdi senza il contatto con la sabbia».
«Perché ti piace così tanto il mare e la spiaggia?».
«Sono nata qui».
«Non è un buon motivo».
«Spiegati».
«C’è chi nasce in un campo di rifugiati e non credo lo ami solo per il fatto di esserci nato».
«Non si sceglie di nascere, ognuno ha i propri demoni».
Quella luce negli occhi si oscurò. Una nuvola era passata a coprire il sole.
«Non volevo…» tentennai.
«In realtà volevi solo che non lo sai, non per cattiveria, sei un tipo curioso e non puoi evitarlo a volte… camminiamo».

Iniziammo a passeggiare sulla spiaggia. La sua andatura non seguiva una linea retta e si accomodava al modo che aveva il mare di poggiarsi a ritmo continuo e costante sulla spiaggia, chissà se con un mare più mosso l’avessi trovata più agitata… o magari con lei più agitata si vedesse un mare meno paziente. Tutte domande che non pensavo mi sarei mai posto nella vita.

«A che pensi?» chiese lei interrompendo il mio filosofeggiare con la mente.
«A te» risposi.
«Forse è la prima cosa del tutto sincera che mi dici, la mia presenza ti fa bene».
«Tu dici sempre la verità?».
«Non pensare che sia una cosa bella».
«Non lo penso affatto».
«È un tema divisivo nel mondo, anche se nessuno se ne accorge, potresti avere accanto una persona che per tutta la vita l’ha pensata diversamente da te su questo tema e non scoprirlo mai».
«Le persone che non sanno mentire pensano che tutti dicano loro sempre la verità».
«E quelle che non possono?».
«Esiste chi non può mentire?» chiesi in maniera marcatamente retorica.

Avevamo fatto un bel pezzo di costa senza accorgermene e arrivammo a una scogliera. Si fermò seduta e disse:
«Sai qual è la principale differenza tra l’acqua di mare e tutte le altre?».
«Il mare è salato».
«E da fuori l’avresti mai detto? Prendi un bambino che non ha mai saputo tutto questo, come potrebbe scoprirlo?».
«Allora: va al mare, si fa un bagno e beve per sbaglio, scoprendo così che l’acqua non ha un buon sapore come quella che beve dalla bottiglia».
«Sei molto intelligente» commentò lei sorridendo.
«Dubitavi?».
«Dalla quantità di bugie che riesci a dire anche per le cose più semplici come dei pesciolini e una conchiglia beh…».
Mi avvicinai.
«Sono convinto che un bravo bugiardo sia anche una persona intelligente, dalle mie parti i bugiardi fanno carriera».
«E chi dice sempre la verità com’è?».
«A patto che esista; un illuso».
«Allora hai davanti a te una stupida illusa».
«Non credo che tu dica sempre la verità».
«Ognuno ha i suoi demoni te l’ho già detto».
Stessa risposta di prima, stessa nuvola a ingrigire i suoi occhi brillanti.

Alzai la testa al cielo. Non era più bel tempo; il cielo sembrava volerci mandare via dalla spiaggia.
«Non credo a ciò che non posso provare, quindi non credo al caso, alla sfortuna… ma perché si fa grigio il cielo quando parli dei tuoi demoni?» chiesi. È vero che non credevo a queste cose ma per me due indizi sono quasi una prova.
«È un caso».
«Vedi che anche tu sai mentire».
«È davvero un caso, non succede spesso da queste parti e di certo non succede per causa mia».

Il mio istinto mi portò a credere di essere la causa di un cambio meteorologico e questo di certo non è da persona razionale e pragmatica quale ero, ma in quel momento pensai a cosa potesse far tornare il sole e mi avvicinai istintivamente per baciarla.
Lei si bloccò a un centimetro dalle mie labbra e mi sussurrò:
«Perché?».
«Perché penso che così possa tornare il sole».
Lei si fermò per una frazione di secondo ancora che sembrò eterna e disse:
«Stai dicendo la verità».

Ci baciammo.

Il sole non tornò e sinceramente aveva smesso d’interessarmi, ma con questa scusa l’ultima cosa che mi disse prima di salutarmi fu:
«Te l’avevo detto che era un caso, il sole non è tornato».
«Non credo al caso te l’ho già detto».

Durante le giornate la mia vita era identica in tutto tranne che per le donne che incrociavo a cui avevo smesso di dare attenzioni, quasi come non esistessero. Per quello e per una cosa che non riusciva a togliersi dalla mia testa: una piccola frazione di secondo come quella che intercorse prima del nostro bacio si poneva ogni volta che dovevo dire qualcosa, ogni volta che mi trovavo a rispondere a una domanda c’era quel piccolo lasso di tempo impercettibile nel quale la mia testa si bloccava e si domandava se stessi dicendo la verità, come se aspettassi la sentenza di Marina prima di parlare. Nessun capo o collega in ufficio o persona incrociata al supermercato s’interroga se tu le stai dicendo la verità, magari ci pensa e poi se ne frega, è una cosa scontata. Nessuna persona era come Marina, aveva scoperto ogni mia piccola e innocente bugia, eppure si era lasciata baciare. Come poteva aver capito tutto tranne che la mia conquista era partita da una scommessa con quel maledetto barista dello stabilimento? Non lo stavo facendo per quello ma lo stavo facendo per quello allo stesso tempo, quindi la verità era nel mezzo. Non mi sento in colpa nel dire alla signora in fila alla cassa che il suo bambino nel passeggino è bello anche se non me ne frega niente e penso che sia uguale a tutti gli altri, forse anche più bruttino; mi sento in colpa nel pensare che tutte queste sensazioni, magari per la prima volta in vita mia definibili “amore”, siano partite da una stupida scommessa lasciando così la verità a morire soffocata nel mezzo.

Decisi che le avrei detto tutto.

Il fine settimana andai lì, con una faccia che si portava dietro tutti i dubbi stampati sopra. Lei non poteva non accorgersene ma sul suo viso non notavo il minimo segno di oscurità.
Parlai diretto:
«Lo so che tu hai questa specie di potere, lo sento…».
«Non te l’ho mai nascosto».
«Tu riesci a capire sempre se qualcuno mente, per questo sei sola».
«Come ti ho già detto, ognuno ha…».
«I suoi demoni, sì… lo so» la interruppi bruscamente per evitare che si oscurasse il cielo.
Sul suo viso passò comunque quella nebbia leggera che ormai avevo imparato a conoscere.
«Cosa vuoi dirmi?» chiese.
«Chiedimi se sono innamorato di te».
«Sei innamorato di me?».
«Sì» risposi.

Ci fu un momento di pausa.

«E…?» parlai come se mi aspettassi qualcosa da lei.
«Hai detto la verità».
«Allora non è la domanda giusta», dissi muovendomi freneticamente sulla spiaggia, «ce l’ho! Chiedimi se sto facendo tutto questo per stare con te tutta la vita?».
«Stai facendo tutto questo per stare con me tutta la vita?» chiese sorridente.
«Sì».
«Hai detto la verità».
«No no no non è possibile, sto mentendo, sto facendo tutto questo anche per una scommessa, anzi, è partito tutto da una scommessa» sbottai.
«Stai facendo tutto questo per una scommessa?».
«Sì».
«Mmh… qui stai mentendo, ma devo dire che sei bravo, con i pesciolini e le conchiglie è stato più facile» rispose sorridendo ancora di più. Emanava felicità, era raggiante e guarda caso il sole splendeva in cielo senza nubi a minacciarlo.
«Seguimi, ti dimostro che stai sbagliando».
«Non posso sbagliarmi, credimi, a volte vorrei ma non posso».
«Seguimi».

La portai allo stabilimento ma quel giorno era chiuso. C’era un ragazzo a pulire e sistemare la zona come se fosse stata lasciata così da più di qualche giorno.

«Scusi, lei che sta pulendo…». Cercai di richiamare la sua attenzione.
«Dice a me?».
«Sì dico a lei: dov’è il barista, il capo di questo posto?».
«Non c’è nessun barista qui, nessun capo. Questo posto è abbandonato da tempo, non lo vuole nessuno».
«No, non è possibile, c’era un signore mi ha fatto un caffè, abbiamo parlato…».
«Si sente bene?» chiese il ragazzo rivolgendosi a Marina che nel frattempo era rimasta vicino a me in silenzio senza perdere il sorriso, «se ci tiene tanto glielo lascio, io vengo a pulire ogni tanto, se dovesse prenderlo in gestione qualcuno che mi assume mi fa anche un favore».

Feci qualche passo verso il mare e mi fermai a osservarlo in silenzio. Marina si avvicinò da dietro poggiandomi una mano tra le scapole.

«Che vuoi fare?» chiese.
«Ti ho mentito» risposi con le lacrime che scendevano dagli occhi senza poterle controllare. Non ricordavo nemmeno quanto fosse passato dal mio ultimo pianto sincero, «anche se da oggi in poi non mentissi mai più, ormai l’ho fatto, è partito tutto da una bugia».
«Sai come ho scoperto che l’acqua di mare è diversa da tutte le altre?».
«Come?».
«L’ho assaggiata».
«E poi?».
«Ho deciso che sarebbe stata tutta la mia vita».