Il suo nome ormai è una leggenda, così come il tesoro che raccoglie in due grandi magioni storiche, appollaiate sulle colline di Crespina, tra Pisa e Pontedera.
Lui, Carlo Pepi, spericolato come don Chisciotte, ha sempre sguainato come spade le sue scomode verità a costo di essere esiliato dall'establishment artistico, con cui, comunque, non vuole, né ha mai voluto spartire niente.
Pur autodidatta nel campo dell'arte, da solo ha sgominato stuoli di critici grazie ad un innato talento che alla fine ha sempre ottenuto legittime prove di veridicità. Come quando, unico in tutto il panorama nazionale e non solo, affermò che le sculture di Modigliani ritrovate nei fossi di Livorno erano false. E quando, in tempi più recenti, sentenziò che molte opere esposte al Palazzo Ducale di Genova, sempre del suo amato Modigliani, erano ugualmente false.
La prima volta, nel 1984, furono gli allora giovani autori della 'beffa' a dimostrare inequivocabilmente che quelle teste le avevano prodotte loro con un trapano Black and Decker da famiglia. La seconda - era il 2017- sono stati i tecnici e i periti del Tribunale a scoprire che i materiali usati per quelle opere non esistevano ai tempi di Modigliani.
Conclusione: mostra chiusa e Pepi sui carboni ardenti, sdegnato da chi non gli riconosce l'autorità e la competenza per mancanza di titoli accademici e inneggiato invece dal popolo dei visitatori che lo vedono sempre lanciarsi da solo contro famosi esperti ed avere ragione. Perché il Don Chischiotte di Crespina non se la prende con i mulini a vento, ma con abili falsari che cercano di immettere nei circuiti dell'arte opere di grandi artisti da cifre milionarie. Un 'guastafeste' che non riescono ad ingannare su nessun autore, tantomento su Modigliani.
È un signore particolare Carlo Pepi, toscano fino al midollo ma con la durezza di carattere del nonno sardo, laureato in economia e libero professionista nella vita lavorativa ma con una passione per l'arte che gli ha fatto raccogliere ventimila opere. Una raccolta straordinaria in cui campeggiano artisti famosi insieme ad autori meno conosciuti che non voleva finissero dimenticati solo perché bistrattati dalla critica. Quel numero comunque è incerto e sicuramente in aumento. Nonostante la sua laurea, Pepi, infatti, non ama far di conto, né parlare di prezzi o di valori più o meno alti dei singoli quadri. Solo quando si ritrovò scoperto con sette banche contemporaneamente dovette in qualche modo fare addizioni e sottrazioni, ma alla fine tutto si è sistemato senza dover toccare la collezione. Il suo tesoro leggendario è raccolto nelle due case-museo di Crespina. È qui che si apre un mondo nuovo, magari un po' arruffato, dove ci si fa strada tra le tele ammassate un po' in ogni stanza, chiuse nei cassetti o anche appoggiate nei bagni, sopra i letti o dentro il vecchio frigo. Non c'è un catalogo, perché l'ordine è tutto e solo nella sua testa.
Difficile dare credito alle pesanti accuse di incompetenza che gli sono piovute addosso un po' da ogni dove mentre lo si guarda muoversi in questo caos meraviglioso in cui si incontrano Giuseppe Viviani e Lorenzo Viani, come anche i Macchiaioli - altri grandi amori di Pepi - da Fattori a Lega, da Cabianca a Borrani. E poi ecco anche Picasso, Mirò, Modigliani, Haring. Come essere ad una riunione a casa di amici, anzi, ad una cena, in cui non c'è niente di sacro e di convenzionale. E dove si possono fare anche nuove amicizie. Con Mario Nigro, ad esempio, o con Renato Lacquaniti e molti altri della tradizione labronica che Pepi ha aiutato a non soccombere, acquistando le loro opere e salvandole dalla dispersione. Questo è il suo scopo: far conoscere l'arte. Perciò chiunque può andare a Crespina e, senza pagare alcun biglietto, visitare la sua collezione ogni volta che lui decide di aprire le sue case. Il che succede spesso, anzi tutte le volte che gli viene chiesto.
Signor Pepi, quando è cominciata la sua passione per l'arte?
Quando vidi l'immagine di un quadro di Van Gogh - Campo di grano con corvi - riprodotta a colori su una rivista. Bellissima. Avevo 7 o 8 anni e ne restai scioccato. Così la ritagliai per poterla tenere con me e guardare quando volevo.
Ma c'era ancora la guerra, come fece ad avere quell'immagine?
La guerra era appena finita e non mi ricordo come mi giunse tra le mani. Però mi ricordo che il mio cuore balzò davanti a quella visione.
E dopo cosa successe?
Successe che, nonostante la mia passione per l'arte, mio padre, segretario comunale in varie cittadine della provincia pisana, mi fece iscrivere all'Istituto Tecnico per geometri di Pisa, il Pacinotti, una scuola che ancora esiste. Era il momento della ricostruzione e lui sosteneva che c'era bisogno di tecnici per dare nuova vita al Paese. Aveva ragione, ma io avevo altro nella testa. Comunque lì, al Pacinotti, ebbi la fortuna di avere come insegnante di disegno Salvatore Pizzarello, un artista prestato all'attività didattica per motivi economici. Con lui, che era stato allievo di Kokoschka, potei continuare ad interessarmi di arte, scoprendo a poco a poco cosa era successo nel primo Novecento. E anche prima, anche vicino a noi, nelle nostre zone.
Vuol dire i Macchiaioli?
I Macchiaioli furono il mio secondo colpo al cuore. Quando vidi le loro opere ebbi un altro choc: mi appassionarono subito, come mi aveva appassionato Van Gogh. E non capivo perché non piacevano a nessuno, tantomeno agli storici dell'arte. Quando lessi un commento negativo su di loro da parte di Longhi, considerato un pilastro dagli storici dell'arte ci restai male. Ma proprio male. Forse è per questo che ho preso così tanto le distanze da loro.
Come proseguì la sua passione artistica?
Con il diploma di geometra a quel tempo ci potevamo iscrivere solo ad Economia e Commercio. Cosa che ovviamente feci. E fu l'incontro con un altro professore, Alessandro Faedo, magnifico rettore e docente di matematica, ad aprirmi nuovi orizzonti. Non avevo mai capito Malevich e il suo quadro tutto nero, né l’astrattismo e le forme moderne dell'arte. Le lezioni di Faedo mi aprirono il cervello e, grazie al parallelismo con la matematica, mi permisero di cominciare a individuare i percorsi artistici.
Quando cominciò a comprare quadri?
Più o meno in quel periodo. Prima avevo però ricevuto alcuni doni. Durante il mio perido scolastico a Pisa diventai amico di Giuseppe Viviani, il grande incisore, che, vedendo la mia passione, mi regalò alcune sue opere. Intorno alla Sapienza, sede dell'Università, gravitava anche un signore che mi sembrava un po' strano. Poi capii che si trattava di Alessandro Volpi, un altro importante artista pisano. E io chiaramente cercai di conoscerlo e lui ricompensò la mia amicizia con alcuni regalini. Sono piccole cose che non ho mai venduto. Fanno parte della mia collezione, oltre che dei miei ricordi.
Una collezione copiosa...
Sa, la passione è come una malattia, non ti abbandona mai. Tutto quello che guadagnavo col mio lavoro, e anche di più, andava nell'acquisto di opere d'arte. C'è stato un momento che ero pieno di debiti con uno scoperto in sette banche diverse. Però non mi sono mai pentito.
Oltre ai quadri, nella sua vita non sono mai mancate le polemiche. Perché?
Perché sono un rompiscatole e non posso stare zitto. Così mi sono trovato spesso da solo contro il mondo intero mentre tutti mi sparano addosso. Ma per ora li ho barcocchiati sempre tutti. Anche importanti storici dell'arte hanno cercato di annientarmi, ma non ci sono riusciti.
Si potrebbe dire che lei è il fustigatore dei falsari. Nel corso della famosa 'beffa di Modigliani' lei fu l'unico a sostenere che quelle teste erano false.
Era così evidente! E dopo hanno detto e continuano a dire che le sculture del carrozziere di Livorno sono false. Invece quelle sono assolutamente autentiche. Prima di ritornare a Parigi furono regalate dal pittore stesso a un commerciante di frutta e verdura dei mercati di Livorno, Roberto Simoncini, detto Solicchio perché gli piaceva stare al sole. Si conosce anche la storia di come queste opere sono scampate alla guerra. Comunque, al di là della loro storia, sono vere e basta.
Nelle settimane scorse è stato interrogato come testimone al processo nei confronti del curatore della ormai famosa mostra di Genova e dei proprietari dei Modigliani in odore di falsità. Cosa ha detto?
Il fatto è che mi hanno chiesto se sono laureato in storia dell'arte obbligandomi a rispondere con un sì o con un no e basta... Ora, io non sono laureato in storia dell'arte, come tutti sanno, ma ho rifiutato una laurea honoris causa offertami da un'università americana proprio perché non voglio avere niente a che fare con chi ha solo il titolo. Tra l'altro io avevo già segnalato come false alcune di quelle opere quando sono state esposte in altre mostre, ma allora non mi avevano ascoltato.
Ma lei come fa ad essere sempre così sicuro?
Quando vedo un quadro, lo vedo davvero. È una questione di occhio e di sensibilità. Ci sono opere che ti parlano, ti fanno vibrare, stabiliscono un contatto con l'artista. Altrimenti sono piatte, fredde, mute.
Non c'è niente di razionale o di scientifico in questo... Infatti la accusano di essere il rabdomante dell'arte.
Ma perché i rabdomanti non trovano l'acqua senza bisogno di tecnici e ingegneri? E poi lei pensa forse che a Maradona abbiano insegnato a giocare a pallone? Oppure lo hanno messo davanti a un pallone e lui, senza sapere come e perché, lo ha subito mandato in porta? Glielo dico io: è vera la seconda ipotesi. È un dono di natura rafforzato dalla mia vita per l'arte... c'è poco da aggiungere.
Lei si sente così sicuro solo su Modigliani, o anche su altri autori?
Non conta né il secolo, né l'artista. Ogni giorno ricevo moltissime richieste di autenticazione. Ultimamente mi è successo con un Picasso. La Fondazione sostiene che è un falso, per me invece è autentico.
Si guadagna molto a fare autenticazioni?
Ci sono giri milionari, ma io non ho mai voluto guadagnare dall'arte. Quando un'opera è autentica la certifico gratuitamente sotto la mia responsabilità. Altrimenti non scrivo niente. Ma soldi non ne ho mai voluti.
Sono molti i falsi?
Direi proprio di sì. E io sono stato spesso quello che ha rotto le uova nel paniere. Per questo ho così tanti nemici.
Ma non ci sono mai state opere su cui non era poi così tanto sicuro?
Sì quelle falsificate da Eric Hebborn, un inglese formidabile, bravissimo. Lui studiava l'artista, si immedesimava in lui, e il risultato alcune volte è veramente sorprendente. Mi ricordo dei Corot... mi ci è voluto un po' per capire che non erano originali. Per fortuna anche Hebborn a volte si lasciava andare e allora viene fuori la sua impronta, che permette di scoprirlo.
Più soddisfazioni o più amarezze?
Non sono mancate entrambe. L'arte è stata la mia compagna di vita, 24 ore su 24, e sono orgoglioso di far parte di Artwatch International, un'associazione della Columbia New York University, che mi ha nominato capo della sezione del reparto Falsi e Contraffazioni. Ma sono mortificato per essere stato processato perché ho sostenuto che le sculture del carrozziere di Livorno sono veramente di Modigliani. Alla fine ho vinto, ma queste persecuzioni nel tentativo di annientarmi mi lasciano sempre una grande amarezza.